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Altro che governo, è in Lombardia
che si gioca il futuro di Salvini.
Moratti e Fontana permettendo

  • di Pippo Russo Pippo Russo

3 ottobre 2022

Altro che governo, è in Lombardia che si gioca il futuro di Salvini. Moratti e Fontana permettendo
Le elezioni sono andate peggio del previsto per la Lega, ma ora la grana più grossa non è – paradossalmente – la formazione del governo, ma quello che sta accadendo in Lombardia tra il governatore Attilio Fontana e la vice Letizia Moratti. Il rapporto tra i due si è incrinato e per le elezioni regionali 2023 un centrodestra diviso potrebbe favorire il Pd. E se Matteo Salvini perdesse anche la regione più ricca d’Italia potrebbe davvero dire addio alla sua segreteria…

di Pippo Russo Pippo Russo

Il viaggio di Capitan Fracassa non finisce mai. Matteo Salvini è un disastro ambulante e se soltanto avesse il senso della realtà farebbe la sola cosa utile per il partito e per se stesso: farsi da parte e dedicarsi alla lucidatura invernale dei pedalò del Papeete. Invece non molla e anzi all'indomani dello sfascio elettorale del 25 settembre si è presentato in conferenza stampa per dire che è carico a molla e pronto a rilanciare. Ciò che tutti gli avversari del suo partito si augurano, perché di questo passo basta dare al cosiddetto capitano un altro paio di tornate elettorali. E a quel punto potrà intervenire Marco Cappato per portare in Svizzera ciò che resta della Lega. Le tappe di questo sfacelo sono talmente numerose che ormai se ne perde l'origine. Le ultime due della serie sono arrivate in rapida sequenza. Dapprima la crisi della coalizione che regge la Regione Lombardia e potrebbe portare alla perdita della guida leghista dopo le elezioni del 2023. Quindi l'annuncio che la salma sotto spirito di Umberto Bossi è pronto a lanciare una corrente autonomista dentro il partito. Una bella seduta spiritica, con una spruzzata di mitologia celtica, e riecco bella e pronta la Lega di dio Po. A riscoprire le radici di un partito che per gradi successivi di espansione è diventato nazionale e nazionalista, ma che nel nucleo originario rimane “Lega lombarda”. Per questo sarebbe uno smacco irreparabile perdere la Lombardia, allo stesso modo in cui sarebbe umiliante vedersi infilzare con mossa da contropiede autonomista dall'ex leader che si aggrappa al seggio parlamentare con una foga da ex democristiano doroteo, anziché essere lì dove dovrebbe trovarsi da almeno un decennio: a Villa Arzilla.

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Matteo Salvini e Letizia Moratti

Da dove inizia lo sfacelo? – Ma detto delle ultime due tappe di tanto sfacelo, qualcuno sarebbe in grado di indicare il punto esatto in cui tutto è iniziato? Difficile capire da dove parta il disastro personale e politico di Matteo Salvini, il capitano di un Titanic tutto personale, il leader politico più scarso della storia. Sarebbe facilissimo rispondere che lo sfascio cominci nell'estate del Papeete, quell'agosto del 2019 in cui anziché starsene al Viminale passava le giornate in spiaggia a ingurgitare Mojito. Ma quel delirio di onnipotenza era un effetto e non una causa. Perché il vero motivo dello sfascio personale e politico non va cercato in un evento specifico, quanto piuttosto in una pochezza di elaborazione che hanno fatto del capitan Fracassa leghista un soggetto totalmente incapace di distinguere il fare propaganda dal fare politica. E se nella propaganda era stato molto abile, sia pur con uso di mezzi molto discutibili, nel fare politica Salvino è stato penoso. E lo è stato in modo particolare giusto nel momento in cui avrebbe dovuto spendere al meglio il capitale elettorale.

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Letizia Moratti e Attilio Fontana

L'impietoso confronto fra i due Mattei – Proprio nei giorni in cui si sentiva talmente forte da presentare una mozione di sfiducia contro il governo di cui era parte (e col solo effetto di esserne fatto fuori), Salvini ha cominciato a mettere in mostra quella pochezza che ora lo porta al capolinea. In quel momento il segretario leghista era forte del 34,3% rastrellato alle Europee di due mesi prima, un dato che faceva della Lega il primo partito per distacco poiché l'eterno secondo Pd si era attestato sul 22,7%. E se avesse avuto un minimo di lucidità – lasciamo perdere l'intelligenza politica, che in questa storia personale c'entra nemmeno di straforo – l'auto-nominato capitano avrebbe compreso che un dato del genere andasse preso con tutte le cautele. In fondo sarebbe bastato guardare quale sia stata la sorte dell'altro Matteo, quello di Rignano che avrebbe dovuto lasciare la politica a dicembre 2016 e che alle Europee del 2014 aveva portato il Pd al 40,8%. Salvo sgonfiarsi nel giro di pochi mesi, e ritrovarsi costretto a non mettere la faccia e il nome nel simbolo della coalizione con Calenda pur di garantirsi una manciata di poltrone in parlamento.

Rispetto all'altro Matteo, lo sfacelo di colui che fu il leader leghista è avvenuto in modo più rovinoso. Ché almeno quell'altro è riuscito a essere presidente del consiglio e è pure andato a un passo dal cambiare la costituzione. E invece cosa è arrivato a essere Matteo Salvini? Risposta: il nulla mescolato col niente. Soltanto un leader di partito che utilizzando una comunicazione politica rudimentale ha costruito a gran velocità un capitale di consenso politico ma ancor più velocemente l'ha sperperato, senza nemmeno arrivare a toccare il potere politico vero. E che adesso si dice di essere contento di stare al governo col 9% anziché all'opposizione col 20%. Un argomento da partitocrate della Prima Repubblica, e senza che nemmeno l'enunciante riesca a prenderne contezza. Spiegategli un po' di queste cose e avvisatelo che non sta capitanando più nulla. Perché il caso sta rischiando di diventare pietoso.

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