“Piazze piene, urne vuote”. La nota frase del leader socialista Pietro Nenni, pronunciata dopo la sconfitta del Fronte Popolare che riuniva Pci e Psi nel 1948, è adattissima per riassumere il disastro politico delle cosiddette “liste del dissenso” alle politiche del settembre 2022.
548.474 voti e 1,90% il risultato della migliore, Italexit di Paragone: 348.074 voti e 1.24% per Italia Sovrana e Popolare, lista che metteva insieme 15 fra partiti e associazioni; 0.72% e 201.537 per Vita, lista che metteva insieme il movimento 3V con alcuni ex 5 Stelle e formazioni minori; 0,08% e 21.442 voti per la lista che metteva insieme Ucdl dell’avvocato Erich Grimaldi e il Partito Animalista; 0,06% per Alternativa per l’Italia, alleanza fra Il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi ed Exit dell’ex CasaPound Simone Di Stefano; 0,00 (!) con 815 per Forza del Popolo di Lillo Musso.
Le ultime tre liste sono state superate persino dalla lista guidata dall’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, che ricordiamo per l’ordinanza provocatoria che imponeva l’astinenza sessuale per contrastare la pandemia in tutto il comune e per aver osteggiato durante il lockdown l’ingresso in Sicilia anche delle persone autorizzate.
Questi i dati della Camera.
Al Senato numeri simili con lievi oscillazioni, con un astensionismo del 37% che sfiora il quaranta se aggiungiamo le schede nulle o bianche che sfiorano il milione.
Neanche un milione di voti per le sei “liste del dissenso”.
Tre giorni prima delle elezioni, una fonte sicuramente pro “misure di contenimento della pandemia” come la Fondazione Gimbe ci informa che gli italiani non vaccinati sono 6,8 milioni. Persone che sicuramente costituivano il target base potenziale di queste liste, alle quali si aggiungono le persone che si sono vaccinate sotto il ricatto del green pass, quelle contrarie per principio agli obblighi e quelle che inizialmente hanno creduto al potere salvifico delle chiusure e delle vaccinazioni per poi ricredersi. Un target potenziale di quasi dieci milioni di persone che ha scelto di non votare le “liste del dissenso”: astenendosi o votando liste del “mainstream” che promettevano più o meno le stesse cose.
Giuseppe Conte, con una mirabile giravolta, ha affermato che l’obbligo vaccinale è stato un errore e che lo ha votato per disciplina di coalizione costretto da Draghi e Speranza, prendendo le distanze anche dall’abuso della decretazione d’urgenza che aveva caratterizzato il suo governo.
Il centrodestra ha messo nero su bianco nel programma che in caso di vittoria non sarebbero tornati i lockdown, il green pass e l’obbligo vaccinale, Giorgia Meloni facendo valere la sua coerente opposizione ai governi Conte bis e Draghi e Matteo Salvini (assieme ad alcuni esponenti di Forza Italia) hanno ammesso gli errori fatti.
Le liste antisistema non hanno intercettato quindi il malessere sociale dei cosiddetti no vax e delle persone contrarie alle restrizioni sanitarie. Un fallimento accompagnato da una comunicazione politica suicida, caratterizzata dalla criminalizzazione costante e livorosa dell’astensionismo da parte di personaggi come Montanari, Bianchi, Zhok, Toscano.
Perché questo fallimento?
La nostra tesi è che le “liste del dissenso” (con l’eccezione di Vita) abbiano approfittato della questione Covid per provare a rilanciare istanze che nulla c’entravano con la questione fondamentale: l’autodeterminazione dell’individuo sul proprio corpo e il principio liberale di autolimitazione dello stato: comunismo, nazionalismo, tradizionalismo cattolico.
Dal punto di vista politico e mediatico la corrente più consistente del dissenso che si è presentato alle elezioni è quella dei cosiddetti “rossobruni” ispirati al pensiero filosofico di Costanzo Preve riassunto da Fusaro, ovvero la rilettura da destra del marxismo alla quale si accompagna un conservatorismo sociale e morale vicino al tradizionalismo cattolico. Per questa fetta degli antisistema, i nemici sono due: il “neoliberismo” e il “politicamente corretto”. Gli ideatori di Giubbe Rosse si definiscono “rossobruni” ed è uno dei canali Telegram più amati dal “popolo del dissenso”.
Questa minoranza politica esprimeva gli stessi concetti già prima del Covid, ispirati a maître à
penser quali Diego Fusaro e Alain De Benoist.
La loro battaglia contro il “Partito Unico neoliberista” in Italia è rivolta contro un “sistema” che non è mai esistito. Definire liberismo un sistema nel quale lo Stato ha normato a colpi di Dpcm non solo le relazioni private, ma anche deciso quali attività economiche potevano lavorare e quali no, appare frutto di un enorme riflesso pavloviano. Quello che non piace, è neoliberismo di default perché il neoliberismo è cattivo, è lo stesso nemico immaginario che combattevano prima.
La lotta al “politicamente corretto” vede marciare uniti i rossobruni ai tradizionalisti cattolici, che hanno come faro il Cardinal Viganò e la ben nota tesi del Great Reset. Viganò nel 2020 sosteneva che la “pandemia” era una punizione divina per i peccati di sodomia e il matrimonio omosessuale, dimostrando di crederci. Successivamente, per cavalcare le lotte interne alla Chiesa, si è posizionato nel “fronte del dissenso”.
Rossobruni e cattolici tradizionalisti hanno identificato “il sistema” con il politicamente corretto.
Il bersaglio preferito di questa fetta di dissidenti è diventata “l’ideologia del gender” e il movimento Lgbt.
Il declino dei ruoli tradizionali di maschi e femmine viene letto come un pezzo fondamentale del “great reset” per cancellare le identità personali e culturali delle persone.
Se è vero che l’associazionismo Lgbt non si è opposto né ai lockdown né alle discriminazioni operate con il green pass, è altrettanto palese che sia indimostrabile che ci sia una correlazione tra la cosiddetta teoria del gender, in realtà una tesi della filosofa Judith Butler sulla costruzione sociale delle identità di genere non necessariamente corrispondenti al sesso biologico, e le politiche dei lockdown e delle vaccinazioni obbligatorie.
L’ennesima forzatura di una minoranza che ha sfruttato il malessere sociale e personale delle persone piegate dai lockdown e dai cittadini discriminati dal green pass per portare avanti una versione farsesca della rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola.
Come si possono conciliare i discorsi sull’autodeterminazione delle persone sul proprio corpo in tema di vaccini con l’antiabortismo, con la guerra più o meno esplicita all’omosessualità, con l’antidivorzismo inalberato dall’ultimo arrivato nel Fronte del Dissenso, l’ex Pd poi convertito al tradizionalismo cattolico Mario Adinolfi?
Nell’area cattolica del dissenso è diffusa poi la tesi secondo la quale le élites che hanno costruito il famoso “castello” sarebbero dedite al satanismo e alla pedofilia. Anche qua, nihil sub sole novi: si riprendono le tesi complottiste dei cosiddetti qanonisti che nacquero ben prima del 2020.
Nell’universo “rossobruno” vero e proprio, rappresentato oggi dalla lista Italia Sovrana e Popolare, abbiamo visto tornare in campo personaggi politici fuori dal gioco da anni, dal comunista Marco Rizzo che mai ha rinnegato la stagione sovietica all’ex pm Ingroia, a Francesco Toscano, che ha passato l’intera campagna elettorale ad attaccare gli astensionisti (o meglio chi non votava per lui) per poi definirli in un post dopo elezioni gate keeper e persone non perbene.
Soggetti ai margini del sistema e che sembrano aver trovato nel “dissenso” e nel malessere dei cosiddetti no vax un’occasione per rientrare e imporre la loro visione ideale di società: dal comunismo nazionalista e sovranista auspicati da Rizzo e dal leader di Riconquistare l’Italia Stefano d’Andrea alla maionese impazzita di Ancora Italia di Francesco Toscano, ex assessore della giunta di centrodestra di Gioia Tauro che annovera nel pantheon del suo partito Trump, Viganò e Putin, e ha una “visione sacra della vita” come recita lo statuto. In Ancora Italia ha militato per molto tempo Mauro Scardovelli, passato alla storia per aver organizzato nel novembre 2021 un convegno contro il green pass a Sacrofano (Rm) nel quale era richiesto il green pass “base” da tampone. Gate keeper? Sembrano solo politici “falliti” che si attaccano a qualsiasi possibilità pur di rientrare in gioco.
Le stesse piazze, inizialmente plurali e spontanee, sono state progressivamente “colonizzate” dai rossobruni che hanno gradualmente imposto la loro agenda. In autunno e inverno, nelle manifestazioni genovesi organizzate dall’associazione Libera Piazza oggi vicina a Isp, gli organizzatori invitano ad indossare le mascherine nel rispetto delle stesse regole igieniche che in teoria si sarebbero dovute contestare.
Lo stesso accadde nella manifestazione fiorentina organizzata da Nunzia Schilirò, Venere Vincerà. Le priorità degli organizzatori erano forse altre, e infatti a Genova la piazza del 2022 ha messo progressivamente da parte i temi no vax per parlare esclusivamente del conflitto in Ucraina e della necessità di recedere da Ue e Nato.
La lista Italexit di Gianluigi Paragone è stata la meno peggio perché ha puntato al target dei sovranisti di destra delusi: ma la maggioranza degli stessi ha preferito puntare su Giorgia Meloni che aveva maggiori possibilità di incidere, non vedendo sostanziali differenze. Nel 2021 Paragone proponeva la gratuità dei tamponi per avere il green pass temporaneo: una posizione invisa a molti italiani non vaccinati e dissidenti sulla gestione pandemica, contrari a tutto l’impianto narrativo e logico che ha sorretto le restrizioni. Una posizione che in molti non hanno dimenticato.
Vita ha presentato un programma confuso, che sembrava scritto da persone diverse e assemblato a caso: un’anima liberale, un’anima ambientalista, una postgrillina, un’anima sovranista più moderata, e una coerente opposizione sul tema delle restrizioni e dei vaccini. L’assemblaggio di queste diverse anime non è riuscito benissimo, forse per lo scarso tempo a disposizione, e gli elettori hanno bocciato anche questa lista. La sceneggiata preelettorale di Montanari che chiedeva in un video l’intervento della magistratura per punire penalmente chi invita al non voto in base a una legge inesistente ha fatto il resto.
Le altre tre “liste antisistema” (non presenti in tutte le circoscrizioni) hanno numeri letteralmente irrilevanti. Gli elettori si saranno chiesti che cosa c’entravano gli animalisti con il dissenso sulla pandemia, o cosa c’entrassero con i vaccini e le restrizioni le battaglie di retroguardia di Mario Adinolfi a favore di un modello di “famiglia” e società che di fatto non esiste più dagli anni Cinquanta.
Anche la “brandizzazione” delle terapie domiciliari dell’avvocato Grimaldi non ha pagato per nulla: gli elettori forse hanno colto un eccesso di personalismo, oltre all’adesione implicita al paradigma pandemico.
E il dissenso che non si è presentato?
Il Cln di Ugo Mattei ha organizzato l’inutile carnevalata del Resistendum, una consultazione interna sull’adesione dell’Italia a Nato, Ue e Oms con risposte scontatissime, del quale si è parlato solo per l’intervento repressivo (provvidenziale per Mattei stesso?) di alcune prefetture per vietare l’evento considerato violazione del silenzio elettorale.
Lo stesso Mattei che nel suo libro “Il coraggio di essere contro” propone di sostituire “la tamponatura a campione” al green pass, dimostrando di non essere contrario alla sorveglianza sanitaria ma di volerne solo una diversa. Senza contare che a differenza del Cln del 1945 quello di Mattei esclude i liberali.
C’è poi “Il Fronte del Dissenso” guidato da Moreno Pasquinelli, esponente storico della sinistra sovranista umbra e organizzatore del “campo anti-imperialista” di Assisi. Il suo fronte del dissenso da contenitore di liste è diventato un movimento personale, che se non altro ha fatto conoscere a livello nazionale un personaggio quasi sconosciuto oltre Narni da un lato e Umbertide dall’altro.
Un’altra minoranza di dissidenti astensionisti? Quella anarco-capitalista, rappresentata dal Movimento Libertario di Leonardo Facco. Ispirati all’anarchismo di destra americano, i libertarians italiani sono contrari alle “misure di contenimento” perché imposte dallo stato, ma pensano che in un’azienda privata il proprietario possa fare ciò che vuole: anche imporre, come ipotesi estrema, green pass e mascherine.
I rossobruni e gli anarcocapitalisti in fondo sono uguali: per i primi è colpa del liberismo e del mercato, per i secondi colpa del socialismo e dello stato. Tutti accecati dal furore ideologico nell’era post-ideologica e autoreferenziali.
Una dinamica che accomuna tutti i movimenti del dissenso è quella del culto del capo, inevitabilmente maschio. Un tipo antropologico, quello del “Maschio Alfa Sovranista” che non ammette figure di contorno che lo possano oscurare. E infatti, i collaboratori di Toscano come Fusaro e Scardovelli hanno lasciato Ancora Italia: il capo è uno solo. Stessa dinamica nel Fronte del Dissenso, dove Pasquinelli ha fatto terra bruciata attorno a sé, e secondo fonti di ex militanti piemontesi, anche in Italexit.
Per settimane ha infuriato la lotta tra dissidenti candidati e dissidenti astensionisti. Peccato che quella lotta si è svolta in una bolla, uno echo chamber come la definì nel 2012 Eli Parisien. Una bolla che è scoppiata brutalmente il 25 settembre dimostrando l’irrilevanza e l’autoreferenzialità di questo mondo, cementata proprio nel periodo del green pass quando fiorirono i “luoghi alternativi” dai ristoranti alle palestre, per “dissidenti”. Lo slittamento progressivo del dibattito sulla questione russo-ucraina, che interessa salvo che per le ripercussioni sulle bollette solo a pochi militanti, ha fatto il resto: l’equazione tra “no vax” e “putiniani” inalberata dal mainstream si è dimostrata insensata (o al massimo in alcuni casi una profezia che si autoavvera).
In conclusione, non è che il Paese e i “no vax” non abbiamo capito le liste del dissenso. Sono le liste del dissenso che non hanno capito l’Italia. Un Paese fondamentalmente moderato e centrista, dove gli estremismi hanno sempre perso.
E i cosiddetti “no vax” sono parte integrante di questo paese condividendone la cultura e la mentalità.
Persone sospese dal lavoro, traumatizzate dai lockdown, impossibilitate a spostarsi con treni e aerei, che alle liste del dissenso chiedevano solo di ritornare padroni della propria vita. Le soluzioni proposte sono state vecchie ideologie novecentesche, comunismo in un solo paese (peccato che lo avesse già fatto Stalin, e non andò benissimo), nazionalismo parafascista, anarco-capitalismo, fondamentalismo cattolico, a volte mixate in maionesi impazzite.
Gli uno virgola e gli zero virgola sono stati la risposta dei loro potenziali elettori.