Intoccabili. I tassisti vincono ancora, vincono sempre. L'ultima tacca alla lista delle battaglie concluse con un trionfo su tutta la linea è stata aggiunta nelle scorse ore, quando la conferenza dei capigruppo della Camera ha deciso di rimuovere dal cosiddetto “ddl concorrenza” l'articolo 10, cioè quello che riguardava la categoria e avrebbe portato a una liberalizzazione del mestiere. Non se ne parla proprio di sfidare in piena campagna elettorale un gruppo d'interesse così forte. Per di più da condurre quella campagna elettorale in condizioni così anomale. Ci pensi il governo che a fine settembre verrà espresso dalle urne, se proprio se la sente. E quand'anche dovesse sentirsela, il popolo dei taxi sarà di nuovo lì a usare una forza di pressione che il tempo non accenna a scalfire. Proprio qui sta l'aspetto più rilevante di tutta la storia. I partiti sono soggetti sempre più evanescenti, i sindacati lottano quotidianamente per mantenere una rappresentatività, i movimenti nascono e muoiono a gran velocità. E le stesse corporazioni mostrano alterne capacità nel mobilitarsi e compattarsi. I tassinari no. Hanno una formidabile capacità di persistenza e auto-riproduzione. E se c'è da muoversi compatti e ingolfare il sistema dei trasporti delle nostre città, lo fanno e ci riescono.
Contro il fu articolo 10 la categoria dei tassisti ha animato nelle scorse settimane delle giornate di sciopero che hanno creato gravi disagi nelle città e in piena stagione turistica. E contro quell'articolo, infine, hanno vinto. Ciò che non è riuscito alle altre categorie interessate dal provvedimento legislativo, che invece vanno incontro agli effetti della nuova disciplina. L'effetto di tutto ciò è rafforzare l'autostima, al limite il senso di onnipotenza della categoria. Che in queste stesse settimane ha anche registrato con soddisfazione le rivelazioni sugli Uber Files, dai quali si scopre come il più temibile concorrente portato proprio dall'ondata delle liberalizzazioni abbia parecchie cose da nascondere. Trionfo su tutta la linea e con buona pace di tutti quanti vedono nella Taxi Corp l'emblema del conservatorismo corporativo italiano. Sono gli stessi che li maledicono ma poi non rinuncerebbero mai al loro servizio perché mescolarsi alla folla dei mezzi pubblici proprio no. E perché sanno che se mai un giorno il popolo dei taxi dovesse dare vita a un partito politico, potrebbe mettere insieme percentuali tali da sbaragliare la somma dei petulanti centrini (da Renzi a Calenda, da Toti a Brugnaro, passando per il neo-centrico Di Maio) che si avviano a essere giustiziati nell'urna il prossimo 25 settembre. Li detestano e li temono. Ma rispettarli mai, fieramente ricambiati.