Ennesimo caso di attentato, ancora in Germania, e ancora con la stessa modalità: un pazzo idiota invasato, annebbiato dall'ideologia estremista e spesso antioccidentale o anche solo da inutile spirito di emulazione, si lancia alla guida di un auto contro la folla inerme, incolpevole e innocente. Fin qui, la tragedia, sulla quale non vale nemmeno la pena di fare più retorica, anche se troppo spesso attacchi di questo tipo avvengono in corrispondenza delle elezioni, come se fossero utili a spostare le preferenze verso chi propone politiche xenofobe. Ma non è di questo che vogliamo parlare, perché c'è un sottoproblema tutto italiano, collegato a questo genere di eventi, che rischia di trasformare il dramma in farsa: il modo grammaticale con cui vengono trattati. Il refrain? “Auto sulla folla”, che a livello teorico sarebbe anche giusto, non fosse per il fatto che ogni volta se ne parla come se ci fosse di mezzo una Tesla a pilota automatico, o come se l'auto avesse un'intenzionalità propria, e fosse quindi dotata di una coscienza, oltretutto criminale. Dal Corriere: “A Mannheim un auto si sarebbe lanciata contro la folla causando almeno due morti e oltre 20 feriti”. A parte la mancanza di apostrofo tra un e auto, c'è un altro errore che verrebbe corretto in rosso dalla maestra delle elementari.
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Il soggetto della frase è l'auto, e il si riflessivo lascia intendere che l'auto abbia agito di volontà propria, come se nessuno la stesse guidando. Il problema? Tutti hanno titolato in maniera uguale: roba che Chatgpt ha comunque più fantasia. Rainews: auto travolge la folla. Skytg24: auto sulla folla. La Stampa, con dovizia di particolari: un Suv nero contro la folla. Ansa, stringato al massimo: auto contro folla. Il Messaggero: auto si schianta contro la folla. Il Fatto Quotidiano: auto si lancia sulla folla. La polizia chi avrà arrestato? L'auto o il conducente? E la perizia psichiatrica a chi verrà fatta? Al Suv o all'autista? Ma soprattutto: perché fare un titolo del genere? È come se si volesse spersonalizzare l'attentatore, per colpevolizzare lo strumento. Almeno in prima battuta, non compaiono né la parola attentato, né atto terroristico, né cose del genere. Prima si attendono i riscontri delle indagini, come è giusto che sia, però perché non si può già dire che è stato un uomo a causarlo? Il modo in cui viene percepita la notizia, lo dicono le neuroscienze e la linguistica cognitiva, è più importante della notizia stessa. “Un'auto si è lanciata oggi, lunedì 3 marzo, a grande velocità”, come si legge su AdnKronos, rappresenta un enunciato del tutto neutrale, per cui la macchina, in sé priva di responsabilità, è responsabile dell'attentato. Quantomeno, si sarebbe dovuto scrivere che “un'auto è stata lanciata”. Ma non si tratta soltanto di fare le pulci ai giornali.
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Chi è stato? Nessuno, una macchina. Chi legge un titolo del genere è naturalmente disorientato. Le parole creano collegamenti diretti nella mente di chi legge, senza nemmeno che se ne accorga. Se la stampa di parte sarà portata a scrivere che è stato un islamico, facendo in modo che il lettore associ naturalmente i terroristi agli stranieri, scrivere che l'auto si è gettata sulla folla è altrettanto fuorviante, perché trasferisce la sensazione di tragedia a un oggetto che, per sé stesso e per definizione, non ha intenzioni malevole verso le persone. Quindi, che senso ha fare titoli del genere? Il fatto che siano tutti uguali uno all'altro suggerisce la risposta: nessuno. È una porcheria semantica, e il fatto che tutti abbiano titolato nella stessa maniera è soltanto indice del degrado della stampa italiana, sempre più uniforme e conformista, anche nelle tragedie. Copia e incolla, incolla e copia. I titoli, quelli sì, vanno in automatico, non le auto sulla folla. Avete fatto un compito uguale, direbbe la maestra elementare, il voto è annullato.
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