A parte Il Fatto Quotidiano, perlomeno coerente con il proprio antiberlusconismo militante e il proprio giustizialismo moralista, e qualche pirotecnico residuo su La Repubblica (che ancora oggi parla di “notti oscene”), dopo l’ennesima assoluzione di Berlusconi sull’ennesimo processo Ruby, sui giornaloni (teoricamente) progressisti si leggono analisi e commenti garantisti e apparentemente assennati. Sì, assennati con il senno di poi e forse, almeno in alcuni casi, senza guardarsi sufficientemente allo specchio. Ricapitolando la vicenda del bunga bunga (lunghissima, va detto, anche per i molteplici “legittimi impedimenti” di Silvio), il bravo Mattia Feltri sottolinea per esempio che “l’amore mercenario non è reato. E processare un uomo perché paga per il proprio soddisfacimento, è iniziativa da giustizia di ispirazione iraniana, dove il peccato si confonde col delitto”.
Dove leggiamo oggi queste parole? Su La Stampa, in prima pagina, sul Buongiorno. E in seconda pagina c’è Marcello Sorgi che sul suo Taccuino – parlando di “assurdità di un processo che ha già avuto le sue conseguenze ed erogato una condanna, questa sì definitiva, per un leader politico ormai da un decennio sul viale del tramonto” – annota che “si può dire che l’intera Seconda Repubblica, non solo Berlusconi, sia crollata […], che tutto il sistema politico italiano si sia autodistrutto correndo dietro agli sguardi dal buco della serratura di Arcore. […] Berlusconi ci aveva messo del suo, per carità. Ma col senno di poi, era proprio necessario, per la seconda volta in meno di vent’anni, radere al suolo un intero sistema per punire con la pena capitale politica le debolezze di un anziano leader?”.
E su La Repubblica Carlo Bonini, uno di coloro che storicamente ha picchiato più duro contro Silvio, dopo un preambolo sul genere di argomentazione dominante tra gli antiberlusconiani ancora una volta lasciati a secco dalle sentenze (qualcosa come “Berlusconi va considerato colpevole anche se non è stato condannato”), scrive che “c’è poco di fisiologico in una vicenda giudiziaria che dura 12 anni (e che, qualora la sentenza di ieri dovesse essere appellata, potrebbe protrarsi ancora) e in cui una Procura della Repubblica non porta a casa una sola delle imputazioni che aveva costruito”. E che “la verità è che, in questa sua coda, la vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi si rivela per ciò che è stata. Il paradigma malato di un Paese che, incapace di distinguere tra responsabilità penale e responsabilità politica, ha scientificamente e sistematicamente trasformato il processo penale in un’ordalia”.
C'è omonimia con coloro che per anni e anni hanno firmato pezzi su questi temi? Qualcuno ha hackerato giornali come La Repubblica e La Stampa, su cui si sparavano (e a ben vedere si continuano a sparare) pagine quotidiane contro Berlusconi proprio con il meccanismo ora (auto)denunciato? Dopo aver provato in tutti modi a distruggerlo per il reato-non reato di fare delle grottesche feste a casa sua (e, forse, di trombare e, forse, a pagamento), ora si piange e si prova a incolpare qualcun altro? È stato creato il mostro e ora ci si meraviglia di come il mostro sia stato messo sotto tiro per anni e anni? Ma chi lo aveva messo sotto tiro? A monopolizzare per anni e anni i titoli dei giornali “progressisti” sono stati i “festini ad Arcore”, gli spogliarelli, la statuetta di Priapo, le Olgettine come vittime, le vergini al cospetto del Drago, la Polanco travestita da Boccassini (la pm che parlò a proposito della marocchina Ruby di “furbizia orientale”, cosa che se fosse stata detta da Berlusconi o da un non “buono” gli sarebbe costata la messa al bando per razzismo: tra l’altro il Marocco rispetto all’Italia è a Occidente, vabbè) e infinite altre cronache da commedia all’italiana di quart’ordine (tutto criticabilissimo, oltre che divertentissimo, ma il reato?)
Dopo aver fallito anche l’ultima e più assurda campagna (chi vede Berlusconi come il re dei criminali si sarebbe accontentato di vederlo condannato solo per una letterale puttanata come il bunga bunga? A quanto pare sì, tipo Al Capone condannato per evasione fiscale) solo ora ci si accorge che “forse” qualcosa non andava e c’era qualcosa di malato in come ci si è sempre occupati di questi temi intersecandoli con la (supposta) giustizia? Non che le varie prevedibili reazioni sull’altro fronte politico siano molto più “sane”, peraltro: non c’è molto da esultare, perché, e in questo forse ha ragione Bonini, da questa tragicomica vicenda escono tutti sconfitti.