Il nome di Flavio Briatore è di nuovo in tendenza ovunque, per via delle dichiarazioni che recentemente ha rilasciato: "Non ho detto nulla di terribile - le sue parole riportate da Libero - se non la verità. Sono le aziende ad offrire lavoro, sono gli imprenditori come me che investono, che possono offrire la possibilità alle persone di lavorare e guadagnare. Non riconoscere questo significa non riconoscere un dato oggettivo, e rimanere ancorati all’idea che chi fa impresa sia il male assoluto, e per andare avanti ci si debba aggrappare ai sussidi statali tipo il reddito di cittadinanza”. L’imprenditore difatti è stato accusato di criminalizzare i poveri: “È una follia. Io sono l’esempio di una persona nata povera che lavorando si è costruita la sua ricchezza. Potrei mai criminalizzare i poveri quando io lo sono stato? Il primo a essere criminalizzato sarei io”. Ha poi affermato che al giorno d’oggi è difficile trovare ragazzi con la fame di lavoro, con spirito di sacrifici. Ragazzi che cercano lavoro nella speranza di non trovarlo: “Le mie affermazioni non sono accuse infondate ma il risultato di ciò che capita nelle mie aziende. Quando facciamo colloqui di lavoro le prime cose che i ragazzi chiedono sono se hanno i week end liberi, quali sono i giorni off. Vogliono avere più tempo libero. È cambiata la cultura, manca la motivazione. Credo che in loro oggi ci sia la convinzione di non farcela e quindi pensano che tanto valga stare a casa a far niente ed essere sostenuti dal reddito di cittadinanza. Credo che sia doveroso e sacrosanto aiutare gli inabili al lavoro e chi veramente non possiede altri mezzi di sostentamento. Elargire questo sussidio a ragazzi di età compresa fra i venti e i venticinque anni, in un Paese che vive di turismo, nel periodo compreso fra aprile ed ottobre è una follia. Così facendo mettiamo le imprese del settore in ginocchio e non incentiviamo i ragazzi a lavorare”.
Non ha mancato di esprimersi sulla difficoltà di investire: “L’Italia è un Paese che non investe nelle imprese, che non agevola le aziende. Tra tasse e burocrazia è veramente una guerra. Possibile non capiscano, i governanti in primis, che se le aziende funzionano si possono pagare gli stipendi, si possono generare posti di lavoro e far crescere l’economia? La soluzione non è data dall’elemosina per sopravvivere. Dobbiamo uscire da questa cultura statalista che fa morire le imprese. E se muoiono le imprese, muore il Paese”. Un paese dove a suo dire l’invidia sociale fa da padrona, perché nei momenti difficili invece di ricevere solidarietà la maggior parte delle persone gioisce: “Questo è il modo con cui la gente, divorata dalla sua invidia sociale, il suo rancore, dimostra di non sopportare che a qualcuno le cose possano andare bene. Vorrebbero che andasse male per tutti”. E sul dibattito a proposito del salario minimo: “Io non capisco quando criticano il salario minimo quando hai un governo che paga dottori, carabinieri e poliziotti 1.200/1.300 euro al mese. Un’altra criticità per un imprenditore è il licenziamento. Vorrei avere la libertà di poter licenziare chi non lavora bene. Per un manager, quando licenzi un dipendente è un grosso smacco. Noi imprenditori vogliamo assumere le persone non licenziarle. Il licenziamento è una nostra sconfitta”.