Gli stivali di gomma sporchi di fango indossati con orgoglio politico e identitario da Aboubakar Soumahoro arrivando a Montecitorio risiedono, idealmente, ora accanto alla custodia “Louis Vuitton” per cellulare ostentata nei selfie dalla sua compagna Liliane Murekatete. Fierezza e altrettanta fierezza. Le due istantanee fanno sì, in nome dello Stile, che ogni altra questione, perfino di segno giudiziario, diventi un dettaglio insignificante nella nostra storia.
Una vicenda devastante per ogni possibile supponenza “di sinistra”, dove si ipotizza uno scandalo sull'accoglienza dei migranti sul quale sta indagando la Procura di Latina, e anche il Ministero delle imprese ha inviato ispettori per fare chiarezza su ciò che accadeva nelle cooperative riconducibili a Marie Therese Mukamitsindo, e in cui lavorava anche la signora Liliane, rispettivamente suocera e compagna di Soumahoro. Tra presunte malversazioni di erogazioni pubbliche e le sempre presunte condizioni "malsane" in cui erano costretti a vivere i migranti, abbandonati, secondo alcuni racconti in via di verifica, "senza acqua né cibo per giorni". Ripeto: il dato stridente principale del caso, ancor prima che penale, è di segno e opportunità politici, di più, di stile; ogni altra nota secondaria, inessenziale.
Soumahoro, ospite di Corrado Formigli a “Piazzapulita” su La7, riferendosi proprio ai selfie della moglie che ostentano orgoglio per i brand di ordinario lusso propri dalla più banale società dello spettacolo delle merci non meno identitarie, opportunamente concede una liberatoria etica: “C’è il diritto all’eleganza e alla moda”.
È vero, ognuno ha diritto alla propria pubblica mediocrità come meglio in nome del gusto ritiene, tuttavia, oltre alle considerazioni sui nodi giudiziari ancora da accertare, esiste su tutto una questione, appunto, di Stile, dove le immagini da specchio delle mie brame social, stridono miseramente con il dettato "civile". Una narrazione “wannabe” a fronte delle denunce che vedono in causa i familiari di Soumahoro e, per estensione domestica, comprensibilmente, il neodeputato del gruppo Alleanza Verdi Sinistra italiana che gli ha garantito un seggio alla Camera. Essere sinistra impone, si sappia, in certi casi possesso del senso del limite sociale. Un atto dovuto l’autosospensione “dopo due giorni di un faccia a faccia serrato”, così leggo, con i due leader della lista rosso-verde, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Che hanno chiesto chiarezza sulla effettiva gestione del consorzio Aid e della cooperativa Karibu. Ipotizzando perfino che la sua candidatura sia stata una “leggerezza”, addirittura un errore imperdonabile a se stessi. Si sono poi aggiunte le dichiarazioni di Elena Fattori, ex senatrice di Sinistra Italiana, che già nel 2019, dopo un sopralluogo nelle due coop indaginate dalla procura di Latina, avevano detto trattarsi di posti “indecenti, al limite del fatiscente dove non ospiterei neanche i cani”.
Non sembra che finora da parte di Soumahoro sia giunto un contributo dialettico convincente: chiarezza sull’intera questione. Se non un videomessaggio iniziale autoassolutorio, teatralizzazione vittimistica impropria nella sua posizione, che infatti lo ha perfino costretto a scusarsi e abiurarlo pubblicamente davanti alle obiezioni severe di Corrado Formigli.
Paradossalmente, con Soumahoro ormai sullo sfondo, possibile abisso della reputazione compromessa, il dato culturale più desolante di questa storia risiede nel sostegno “d’ufficio” di chi, proprio da sinistra, per riflesso amichettistico d’appartenenza, nella convinzione errata che nel supporto alla persona Aboubakar risieda la difesa dei diritti e della dignità dei migranti, ha sentito obbligo di manifestare. In risposta alle pulsioni razziste della destra geneticamente nemica dell'ivoriano, del "negro".
Non un tratto di penna sul caso è giunto finora dal disegnatore di “Propaganda Live”, Marco Dambrosio “Makkox”, e neppure da Diego Bianchi “Zoro”, posto che proprio da quella platea mediatica Soumahoro ha ottenuto evidenza pubblica accompagnata da un coro entusiastico, il suo avvento come possibile salvifica figura per la sinistra stessa altrove in disarmo, residuale. Nonostante un video nel quale “Abou” con lacrime stentate si dichiarava vittima di un complotto: “…mi dire cosa vi ho fatto? Mia moglie attualmente è disoccupata, è iscritta all’Inps! Voi mi disprezzate, mi odiate… Voi mi volete morto, ma non riuscirete a uccidere le mie idee!”. E soprattutto non una risposta sul dato specifico, chiarezza sul ruolo effettivo nella gestione delle coop da parte della compagna e della suocera. Il riconoscimento di una eventuale beffa subita per disattenzione o semplice ingenuità. Imperdonabile comunque nella sua posizione pubblica e politica.
Ho conosciuto Soumahoro negli studi di “Agorà” su Raitre prim’ancora che fosse eletto deputato, traendone un’impressione umana e dialettica straordinaria, da lì il mio endorsement pubblico sui social.
Resta ora però, su tutto, l’insufficienza delle sue risposte, nessun chiarimento politico, ancor prima che sullo specifico delle accuse ricevute, e sullo scherno che subisce. Reticenza familiare e familistica, piuttosto. Ciò che la sinistra non si può permettere, poiché questa, ancor prima di immaginare il potere, ha un obbligo di Stile.
Nulla ancora sulla lavagna luminosa di “Propaganda Live”, fosse anche, ripeto, un tratto di penna liberatorio del disegnatore ufficiale. Finirà forse come nel caso pregresso del chitarrista lì residente, che impiegava senza regolare contratto una dipendente, definendola, dopo l’intervento della Guardia di Finanza che l'aveva fermata mentre lavorava come rider, “una pazza incattivita dalla vita”? Prevarrà anche adesso l’amichettismo per convinzione di superiorità morale?
Al momento, nell’ideale blob del politico che illumina il caso, la custodia “Louis Vuitton” per cellulare di Liliane Murekatete svetta accanto alle borse “Kelly” di Ilary Blasi e ai Rolex di Francesco Totti. Tutto si tiene, anche la sinistra ha diritto a una propria oscenità, perfino sullo sfondo delle battaglie civili.