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Che botte tra Dago e Repubblica:
il “caso Monda” solleva un vespaio
sulla direzione del Festival di Roma

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

1 aprile 2022

Che botte tra Dago e Repubblica: il “caso Monda” solleva un vespaio sulla direzione del Festival di Roma
L’ex direttore Antonio Monda ha attaccato il politico del Pd che a suo dire avrebbe posto il veto sulla sua riconferma al Festival del Cinema di Roma e Repubblica, quotidiano per il quale scrive, lo ha sostenuto. Ma Dagospia ha contrattaccato ricordando “7 anni di tirannide (di urla, di minacce, di prepotenza) – da un post di Mario Sesti – e dopo un articolo dell’ex direttore nel quale non faceva nomi e cognomi Roberto D’Agostino è sbottato: “Qual è la motivazione che spinge alcuni a diventare così mirabilmente imbecilli?”. E ha trasformato in "Le Monda" il quotidiano diretto da Maurizio Molinari (e di proprietà di John Elkann). Ottavio Cappellani ci spiega perché in questo mega scazzo non si può che dare ragione a Dago

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Dopo il pezzo di Roberto D’Agostino su Antonio Monda (tutti ne parlano, pochi ne scrivono) pare che il nuovo soprannome di Repubblica sia “Le Monda”. Potete gustarvi l’articolo, di fronte al quale lo schiaffo a Sgarbi fu una carezza affettuosa, a questo link ... In realtà bisogna dargli ragione (a Dago): questo vizietto un po’ codardo un po’ snob di citare qualcuno senza nominarlo direttamente, come ha fatto Antonio Monda nel suo articolo su Repubblica, è molto italico e provinciale, anche se Monda si picca (e si lancia) come un “uomo di mondo”, perché abita in uno di quei quartieri bene di New York fatti a pezzi dal maestro Tom Wolfe. Della faccenda resta appiccicata addosso, infatti, proprio una sensazione di provincialismo, dove nessuno è quello che è bensì è quello che conosce, come se incontrare o ‘conoscere’ qualcuno passi osmoticamente talento e arte e intelligenza.

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Antonio Monda, ex direttore del Festival del cinema di Roma

Nello sciorinare di nomi “olliuddiani” di Monda sento - ma sarà colpa mia - come l’assessore alla cultura di un qualche paesino che fa l’elenco delle proprie iniziative: Raoul Casadei, i Jalisse, Angela Chianello da Mondello, Costantino Vitagliano. Mi è dispiaciuto anche quel certo niccianesimo di Francesco Merlo, che difendendo Monda ha parlato di “mezze calzette” invidiose del “salotto” che sarebbe diventata la “festa” del cinema di Roma. Merlo dovrebbe sapere che lo “stile” non si misura dalla lunghezza di una calza (ricordiamo con affetto - e affettazione - il compianto Sergio Claudio Perroni, che la mezza calza, e bianca, la portava apposta). Insomma, lo si dovrebbe sapere che “snob” viene da “sine nobilitate”, dagli atteggiamenti che i parvenu (male interpretando il codice di stile degli aristocratici) esibivano. Che poi, che minchia vuol dire, oggi, “salotto”? Esso è un concetto settecentesco, dove nei salotti si decidevano le sorti del mondo, essendo sede di diplomazia e cortigiane (e del loro potere). Mi spiega qualcuno, oggi, a cosa servono i salotti? Sarà colpa mia ma non capisco.

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I pezzi di Dagospia contro Antonio Monda

Qui, in Sicilia, mi è capitato di sfiorare il Monda un paio di volte: una volta mi arrivò una telefonata seminotturna da un mio amico, Paolino, molto mondano, molto sposato bene, molto gossipparo, in cui mi si invitava in una elegante gelateria di Acireale, dove sedeva monda. Un’altra volta, di recente, ho ricevuto una telefonata da un assessore alla cultura (in quanto amico, non in quanto assessore, gli assessori lo sanno che non devono permettersi di telefonarmi) che mi invitava alla presentazione di qualcosa di Monda ad Acicastello. Purtroppo, in entrambi i casi, dovevo dare da mangiare ai miei cani (non è snobismo, è che ho delle priorità), e dire che anche qui in Sicilia ci sono persone davvero affrante per la destituzione di Monda dalla festa del cinema di Roma (dove non sono mai stati - mistero!). Insomma, ho trovato inelegante, e inaspettato, l’atteggiamento di Repubblica sulla faccenda, tutto un chi conosce chi è gli altri sono “mezze calzette”. E comunque, per amore di verità, se festa deve essere, se se dovremo diverti’, ma meglio Pascal Vicedomini. E non posso neanche nascondere una certa ammirazione aristocratica per Goffredo Bettini, che con quelle scarpe sempre un po’ così e quei pantaloni sempre stropicciati, non si sognerebbe mai di dire “mezza calzetta” a nessuno. Noblesse oblige.

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