C’era una volta, molto tempo fa, un pezzo di legno da cui prese forma Pinocchio. Un burattino conosciuto in tutto il mondo, ma è tra le mani del suo Geppetto italiano, Francesco Bartolucci, che ha spiccato il volo verso luoghi sempre più lontani. Ed ora, a distanza di cinquant'anni da quando Bartolucci intagliò il suo primo Pinocchio, l’azienda che rappresenta il lavoro di una vita sta per chiudere i battenti. La crisi che il Covid ha portato con sé non ha risparmiato nessuno, costringendo la bottega dei sogni fatti a mano in legno ad alzare bandiera bianca. Non è bastato aver stretto forte i denti, sperando di gettarsi presto alle spalle il momento più buio: arrendersi all’inevitabile è rimasta l’unica alternativa percorribile. E così l’azienda dei burattini artigianali tira giù per l’ultima volta la sua saracinesca, portando via con sé quella magia di cui d’ora in avanti grandi e bambini dovranno fare a meno. Noi siamo andati nel punto vendita di Roma, dove abbiamo intervistato il responsabile del negozio, Emanuel Costanzo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Qual è la storia della bottega Bartolucci?
Siamo un’azienda artigiana nata nel Montefeltro, tra le Marche e la Romagna. Negli anni trenta realizzavamo le casse per le fisarmoniche, poi ci sono state delle evoluzioni fino ad arrivare nel 1980 quando Francesco Bartolucci, amante del legno fin da bambino, ha iniziato a produrre i pinocchi.
E questo ha portato a un cambiamento?
Con il tempo. Inizialmente li vendeva nei mercatini, poi nelle fiere fino ad aprire il primo negozio a Urbino. Altri punti vendita li ha avviati in città d’arte come Firenze e soprattutto Roma, che è stato il negozio che ha dato visibilità nel mondo alle creazioni di Bartolucci.
Realizzavate solo pinocchi?
In un primo momento si, in seguito abbiamo iniziato a produrre anche oggetti decorativi per bambini. È tutto fatto a mano in legno, sono prodotti artigianali.
Poi c’è stata la svolta?
Si, pian piano siamo diventati famosi in tutto il mondo. Ci sono circa 150 negozi che vendono le nostre creazioni. Comprano in Italia per poi rivenderle nel loro paese.
Come mai si è arrivati alla chiusura dell’azienda?
Purtroppo, facendo numerosi investimenti siamo arrivati al primo lockdown nel 2020 con dei mutui aperti e zero risorse. Il lockdown ci ha dato una bella mazzata. In più erano mesi che il turismo non c’era, e non è decollato neanche dopo. All’inizio di quest’anno quando hanno tolto la moratoria sui mutui e siamo falliti.
Voi dipendenti come avete affrontato quel periodo?
Siamo stati in cassa integrazione per alcuni mesi, poi alla fine del lockdown abbiamo ripreso l’attività, anche se non c’era nessuno.
Le vendite scarseggiavano?
Di più, il fatturato è calato dell’87%, sia nei punti vendita che nello shop online.
Non c’è nessuno che si è proposto come acquirente?
In quest’ultimo anno abbiamo sperato che qualcuno investisse su di noi. C’era un’azienda cinese, nostra cliente, che sembrava essere interessata anche se proprio alla fine ha preferito fare un passo indietro. La proprietà in caso di acquisto sarebbe passata di mano, mentre la produzione sarebbe rimasta un made in Italy artigianale.
Cosa accadrà adesso?
La Bartolucci dopo la chiusura non ci sarà più, quindi dovremmo trovare un altro lavoro. Avremmo anche potuto chiudere prima, ma ci abbiamo creduto fino alla fine. La speranza è sempre l’ultima a morire. Anzi, avremmo bisogno di una magia della Fata Turchina.
I proprietari dell’azienda cosa dicono?
Sono molto dispiaciuti, noi siamo una grande famiglia. Francesco Bartolucci, il titolare, è nella produzione. Lavora insieme agli operai venti ore al giorno dalla mattina fino alla notte. Termina veramente un'epoca. Noi abbiamo attraversato cinquant'anni della storia italiana.