Negli ultimi anni pochi giornalisti hanno avuto l'occasione di intervistare Volodymyr Zelensky. Ancor meno sono coloro che hanno avuto l'onore di incontrarlo, faccia a faccia, nella sua roccaforte Kiev, nel bel mezzo di crescenti tensioni internazionali, con in sottofondo le bombe dei russi che continuano a spingere nel Donbass e, soprattutto, con il rischio che qualche agente dei servizi di Mosca possa “seccarlo”. Ci è riuscita Cecilia Sala, la giornalista italiana de Il Foglio e Chora Media da poco liberata dalle terribili carceri iraniane e subito tornata operativa. Tralasciando le polemiche relative al suo rilascio, al fatto che abbia scelto di andare da Fazio - e non sulla Rai - per raccontare cosa le è successo nella prigione di Evin, che non abbia “sentito il dovere di ringraziare Giorgia Meloni” (cit. Bruno Vespa) per la liberazione, archiviato tutto questo vale la pena concentrarsi sull'intervista che Sala ha fatto a Zelensky. Un'intervista uscita, il 25 gennaio, prima come un'anticipazione per il quotidiano cartaceo Il Foglio, e poi il 27 gennaio, per esteso, sotto forma di video, sul canale YouTube di Chora Media.
Il dialogo tra Sala e Zelensky si è svolto in una specie di war room: tavolone bianco al centro, tanti monitor alle pareti, sedie di pelle e immancabile bandiera ucraina alle spalle del presidente ucraino. Vestito, a sua volta, con un'immancabile t-shirt nera, con lo stemma del Bergbauernhilfe, un tridente con al centro una spada all'altezza del cuore... Ok, ammettiamolo: non era forse il contesto giusto per farlo notare a un presidente sull'orlo di una crisi di nervi, preoccupato che il suo nuovo collega statunitense, Donald Trump, possa mediare un accordo di pace per interrompere la guerra in Ucraina con Vladimir Putin senza coinvolgere Kiev. Detto ciò, Sala inizia la sua intervista parlando proprio di Trump e del suo piano di pace, degli effetti della guerra sulle persone e su Zelensky stesso, di paragoni più o meno azzardati del leader ucraino con Charlie Chaplin e Winston Churchill, del nonno di Zelensky e della Seconda Guerra Mondiale. Si passa poi alla mobilitazione forzata, delle barbarie russe nella città ucraina di Mariupol, ancora a Trump (sulla sua imprevedibilità in politica estera), al rapporto tra Zelensky e Meloni, a Israele. Il risultato, dal punto di vista prettamente giornalistico, è un'intervista che non aggiunge alcuna informazione al dibattito pubblico in corso sulla guerra in Ucraina. Per questo possiamo parlare di un'occasione persa, viste le numerose domande “scomode” che Sala avrebbe potuto rivolgere al capo di Stato di Kiev (domanda che potevano essere poste, si badi bene, senza cercare la polemica o la “rissa verbale”).
Tra le questioni non approfondite a dovere, o completamente ignorate, troviamo, tra le altre, lo stato della democrazia in Ucraina (c'è una democrazia in Ucraina?), il perché gli ultimi negoziati di pace tra Mosca e Kiev siano saltati (conosciamo quelle di Putin, ma ci sono state anche responsabilità da parte degli ucraini?), la decisione di chiudere i gasdotti che portavano gas russo in Europa (lo sa Zelensky che questa mossa farà aumentare i costi delle bollette dei suoi alleati europei?). Zelensky, invece, non si è minimamente schiodato dalla sua zona di comfort. Sia chiaro: dal punto di vista scenico, dell'immagine e della simbologia, è uscita un'intervista bellissima. A tratti epica, soprattutto quando il leader ucraino si è prodigato nel raccontare i drammi patiti dai cittadini di Mariupol, la storia del nonno e il suo cambiamento interiore. Ecco, tutto questo, però, cozza con diversi vuoti giornalistici, con il fatto che Sala non abbia mai cercato di mettere il suo interlocutore con le spalle al muro, né abbia mai “affondato” il colpo. Già, perché Cecilia Sala aveva di fronte a sé quello che, almeno sulla carta, era ed è, a tutti gli effetti, un presidente democratico e non un pericoloso tiranno. L'intervista a Zelensky è però perfetta per inaugurare una serie su Netflix, una piattaforma mainstream dove le serie più viste sono quelle più semplici a livello di contenuto ma molto curate sul piano dell'immagine. Non è un'offesa ma una semplice considerazione. O forse una suggestione per il futuro...