In campagna elettorale aveva promesso, in caso di un fantomatico ritorno alla Casa Bianca, di porre fine alla guerra in Ucraina in appena 24 ore. Era la torrida estate del 2024, e nessuno faceva caso all'ennesima sparata di Donald Trump. Nessuno, anzi, pensava che il tycoon sarebbe riuscito a sconfiggere Kamala Harris ottenendo un clamoroso secondo mandato. Oggi che Trump è tornato in cabina di regia, e che il timone della prima potenza mondiale è nelle sue mani (deep state, falchi e lobby varie permettendo), gli analisti stanno collegando il possibile ed effettivo congelamento del conflitto in terra ucraina con l'impegno preso illo tempore dal leader repubblicano. Potrà essere solo un caso fortunato, ma la realtà dei fatti lascia presupporre che il braccio di ferro tra Kiev e Mosca sia sul punto di concludersi. Gli ultimi sussulti della guerra potrebbero coincidere con la telenovela sui soldati nordcoreani inviati da Kim Jong Un per sostenere le forze di Vladimir Putin sul fronte di Kursk, e con qualche blitz energetico sferrato dal Cremlino al suo rivale. E poi cosa succederà? Scott Bessent, l'uomo scelto da Trump per ricoprire la carica di Segretario del Tesoro, ha già avvertito la Russia, e in particolare le compagnie petrolifere, che con l'avvento della prossima amministrazione statunitense troveranno ad attenderle sanzioni ancora più severe. Dunque: più sanzioni per Mosca e meno armi a Kiev, che dovrà presto o tardi accettare il fatto compiuto e fare delle concessioni ai russi.
Se Ucraina e Russia sono impegnate a sparare gli ultimi colpi, in Medio Oriente qualcosa è addirittura già successo. Anche qui sarà sicuramente un caso temporale, ma, proprio mentre Biden si appresta a lasciare l'incarico a Trump, e dopo lunghi mesi di colloqui inconcludenti, è stato finalmente raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra il governo israeliano e Hamas. Merito dell'amministrazione Usa uscente, che avrebbe lavorato sotto traccia per arrivare alla fumata bianca, o della vittoria alle elezioni di Trump, grande amico del primo ministro israeliani Benjamin Netanyahu? All'inizio di dicembre, il tycoon ha chiesto pubblicamente che gli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza fossero rilasciati prima del suo insediamento e che, in caso contrario, ci sarebbe stato "TUTTO L'INFERNO DA PAGARE in Medio Oriente" (con tanto di maiuscolo a corredare un messaggio emblematico). Di pari passo, il team di Trump, in particolare il nuovo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, sarebbe stato coinvolto direttamente nel processo di pace, facendo pressione su Netanyahu affinché accettasse un accordo.
Nel caso in cui l'accordo su Gaza reggesse, e se davvero le ostilità tra russi e ucraini scemassero in concessioni comuni e in una sorta di armistizio, Trump potrebbe subito vantare una doppia, clamorosa, vittoria geopolitica e mediatica: risoluzione del rebus israelo-palestinese e russo-ucraino. Attenzione però, perché nei prossimi quattro anni il fresco presidente Usa dovrà affrontare almeno altre due (se non tre) sfide critiche: l'Iran, la Cina e la Corea del Nord. Tra Teheran e Trump c'è un conto ancora aperto, dopo che nel 2020 il tycoon diede l'ordine di far partire il raid che avrebbe ucciso il leggendario generale iraniano Qassem Soleimani. Punto di domanda, invece, su Kim Jong Un, incontrato tre volte da The Donald ma con il quale c'è da ricostruire, semmai, un intero rapporto personale. Diverso il discorso relativo a Pechino: una guerra aperta con il Dragone sarebbe un disastro, in primis a causa delle fitte relazioni commerciali che ancora adesso plasmano i rapporti sino-americani. Alla fine, forse, Trump limiterà i danni. O forse darà retta ai falchi del Congresso. Tutti anti cinesi e convinti che il vero nemico degli Stati Uniti non sia a Mosca ma a Pechino...