Joe Biden ha 81 anni. Ne compirà 82 il prossimo 20 novembre, e cioè 15 giorni dopo le elezioni che potrebbero confermalo presidente degli Stati Uniti d'America. Il punto è proprio questo: come diavolo è possibile che gli Usa, il Paese più potente del mondo, la nazione che è ancora in grado di decidere le sorti di gran parte del pianeta, il deus ex machina dell'economia globale, siano costretti ad affidarsi ad un leader ultra ottuagenario? Certo, non che il suo rivale, Donald Trump, sia un rampollo in erba, visto che anche il tycoon di New York ha da poco festeggiato le 78 primavere. È davvero possibile che tra le file di Democratici e Repubblicani non esistessero candidati più giovani di Biden e Trump sui quali puntare? È questa la domanda che tutti si fanno ma che nessuno osa rendere pubblica, e alla quale ancor meno persone vogliono rispondere. Anche perché provare a fugare un dubbio del genere – come è possibile che Biden sia stato nuovamente candidato alla presidenza Usa? – porta dritti in un terreno scivoloso, e costringe a dribblare teorie complottiste e ipotesi bizzarre. Una su tutte, che è poi la più ripetuta nei forum e nei blog frequentati dai membri dell'Alternative Right e dei Maga, le frange più estreme della destra repubblicana americana: “Il presidente degli Stati Uniti non conta niente. Viene scelto dal Deep State e manovrato da qualcuno”. Possiamo davvero accontentarci di un simile retropensiero?
Perché ancora Biden? Tra il complotto del Deep State e il trionfo alle primarie
Nell'era del populismo il termine Deep State è stato talmente abusato da essere stato svuotato di qualsiasi significato. Lo Stato profondo esiste in ogni Paese, si muove nell'ombra e non può essere individuato in una sola persona fisica. In termini concreti è, semmai, l'insieme di quegli organismi che, in virtù dei loro poteri politici, economici, militari o strategici, riescono a condizionare l'agenda pubblica del loro stesso Paese. Negli Stati Uniti viene sventolato come uno spauracchio da complottisti e “complottari” per accusare il Partito Democratico di tramare alle spalle del popolo statunitense, impedendo al Partito Repubblicano di fare il bene della nazione. Detto altrimenti, una nutrita fetta dell'elettorato americano ritiene che a decidere le sorti del loro Paese, e a scegliere i presidenti e gli uomini chiave, non sia il governo, bensì questa specie di Stato nello Stato, una sorta di massoneria all'ennesima potenza. Di conseguenza, sempre seguendo la vulgata popolare, Biden sarebbe una mera espressione di una élite nascosta. Ecco, dunque, perché nonostante gli oltre 80 anni, le gaffe e i vuoti di memoria, il leader dei Dem sarebbe stato “opzionato” per essere confermato alla Casa Bianca. La spiegazione politica ci dice però ben altro. Ci dice che Biden, scegliendo legittimamente di ricandidarsi alla presidenza del Paese, si presenterà alle elezioni di novembre perché ha sostanzialmente già vinto le primarie del suo partito. Così come Trump ha trionfato in quelle repubblicane.
Quanto conta davvero il presidente americano?
Biden ha deciso di ricandidarsi e sfiderà Trump. Da un lato c'è chi pensa che la scelta dei due candidati sia frutto di qualche strano complotto, dall'altro valgono le spiegazioni politiche sopra sintetizzate. Ok, detto questo, però, vale la pena fare un'altra domanda: oggi conta ancora qualcosa essere il presidente degli Stati Uniti? A quanto pare no, visto che con gli passare degli anni gli inquilini della Casa Bianca sembrano sempre più coordinati da spin doctor, strateghi e funzionari interni al sistema politica americano. Sia chiaro: con questo non intendiamo dire che Biden è una marionetta manovrata da altri. Facciamo nostre le considerazioni del sito Axios, che un paio di anni fa aveva scritto un interessante articolo che fotografava il processo decisionale americano. Nel gennaio 2022, Biden aveva appena terminato una disastrosa conferenza per annunciare il Build Back Better, un disegno di legge pensato per stimolare l'investimento pubblico a livello nazionale in programmi sociali, infrastrutturali e ambientali; nel farlo non aveva minimamente menzionato l'inclusione di finanziamenti per l'assistenza ai bambini e agli anziani. Poche ore dopo, l'allora capo dello staff presidenziale, Ron Klain, si sarebbe attivato per consegnare un messaggio dietro le quinte agli alleati e ai principali membri del partito: Biden avrebbe incluso entrambi i temi nel disegno di legge. Insomma, i commenti privati di Klain (poi sostituito nel suo ruolo da Jeff Zients) rappresentano una chiara indicazione di come la Casa Bianca abbia una serie di priorità fondamentali per le quali intende lottare, anche se il presidente non ne è a conoscenza. “Il vero messaggio di Klain è: “Non preoccuparevi, noi dello staff faremo in modo che Biden faccia quello che diciamo”, ha scritto il New York Post.
Tra Gole Profonde e cerchi magici
La mano invisibile che plasma l'operato dei leader Usa è diventata quanto mai evidente durante la presidenza di Biden. L'attuale inquilino della Casa Bianca non è infatti più lucido come una volta, e ha bisogno di un deciso supporto del suo staff. Il presidente in carica, chiunque esso sia, è sempre supportato da un gruppo eterogeneo di consiglieri e da un cerchio magico più intimo. Nel caso di Biden, i riflettori sono puntati su tre uomini: Mike Donilon, il citato Ron Klain e Ted Kaufman. Il New York Times ha spiegato che Biden è solito telefonare a Donilon, suo stretto consigliere dagli anni '80, più volte al giorno per analizzare gli ultimi sondaggi e i titoli dei giornali. Una volta alla settimana, Biden convoca invece Klain per elaborare i migliori attacchi da sferrare contro Trump, e nel weekend contatta Kaufman, un confidente di lunga data, per scambiare con lui altri consigli. Accanto al cerchio magico, tendenzialmente amichevole, c'è però da tenere conto dell'influsso delle Gole Profonde che bazzicano nei corridoi della Casa Bianca e – di nuovo – nei meandri del Deep State americano. Costo spesso non hanno nome e cognome, ma incarnano lobby e precisi gruppi di potere, scommettono sul potente di turno e sperano di proseguire nei loro business. Sono questi i fantasmi che hanno scelto Biden? Qui scatta il retropensiero complottista: se negli Usa un politico vicino ai 90 anni è di nuovo ad un passo dal sedersi al tavolo dello studio Ovale, forse è perché quel leader è manovrato da qualcun altro. Aspirando il complottismo da una posizione del genere resta comunque il realismo politico: a qualcuno faceva probabilmente comodo che Biden fosse il candidato dei Dem. I complottisti hanno vinto di nuovo.