Alle nove di mattina del Mercoledì 13 dicembre ricevo una telefonata da mio padre: “Nastia è scappata”. Stavo scrivendo un pezzo per MOW. Sono rimasta lì. Con le mani a mezz’aria. Incredula. Scappata? In che senso? Ma dove? Come? Si era appena trasferita a Pavia, una cittadina carina, lasciandosi alle spalle Viareggio, un'altra cittadina carina. “Ha lasciato soldi, documenti, telefono”. Insomma, è scappata con niente. Mi sono sentita un pesce rosso in una boccia e come un pesce rosso ho iniziato a muovermi per il soggiorno: in tondo, come in un vaso. Solo che il mio vaso lo percepivo più come fatto di merda che di vetro. Ho fatto mente locale e mi sono detta “È una ragazzata. Tornerà stasera. Quella è una scalmanata”. Sono uscita, ho fatto due passi e chiamato tutti quei contatti della mia rubrica che avessero esperienza con episodi come questo: amici in polizia, amiche psicologhe, qualcuno che avesse fatto volontariato per aiutare ragazzi “inquieti”. Mia sorella è l’inquietudine fatta persona, ma nei limiti di una teenager scalmanata. I miei amici ripetevano tutti la stessa cosa: “Micol tornerà. La sera fa freddo, cosa vuoi che faccia?”. Mi sono messa una mano sullo stomaco e ho pensato: “Ma sì, cosa vuoi che faccia?”. È passato un giorno, una notte, e non aveva fatto nulla. Nel senso che non era tornata. Giovedì mattina ho preso la macchina e sono andata a cercarla a Pavia.
Ho parcheggiato casualmente vicino alla stazione, ho preso la sua foto più recente e mi sono messa all'opera: cercarla, perché non potevo rimanere ferma nella boccia di sterco. Ho fermato chiunque: clochard, inservienti alla stazione, baristi, kebabbari, clienti di bar poco raccomandabili, chiedendo a tutti la stessa cosa: “Hai visto questa ragazza?”. “Sì, stamattina camminava di fretta e parlava da sola”, “Era con una ragazza coi capelli blu”, “No, mai vista”, “dieci giorni fa in bicicletta”. Segnalazioni false: mia sorella non parla da sola, non ha amiche o compagne di scuola coi capelli blu, e nella nuova casa la bici non c’era ancora. L’amico poliziotto me l’aveva detto: “Se vai a fare domande facendo vedere la foto raccoglierai testimonianze di gente che in realtà non ha visto nulla ma che ti vede nel panico e ti dice qualcosa per farti stare meglio”. Aveva ragione, ovviamente. Ma ho raccolto tutto e ho portato quella poca informazione che avevo al comando centrale dei carabinieri di Pavia. Magari un occhio più attento del mio ne avrebbe fatto qualcosa. Niente. “Micol, l’ultima ragazza scomparsa l’hanno trovata con un appello sui social. Fai girare la foto…” L’idea di mettere mia sorella in piazza non mi piaceva per nulla. Ma ormai erano passate più di 24 ore e non c’era nessuna notizia. E siamo in inverno e la notte fa freddo. E lei non saltava fuori. Nulla. “Lancia un appello Micol”. Le amiche piene di buon senso ripetevano il consiglio. Va bene. Ho lanciato l’appello su Instagram giovedì pomeriggio, non credendo a quello che stavo facendo. Vedi queste cose al telegiornale e pensi che a te, proprio a te, non capiterà mai, ma figurati: l’adolescente della tua famiglia è un po' pirla ma pigra, il divano di casa è comodo, la cena fatta da qualcun altro la sera è un lusso al quale mica si rinuncia facilmente, figuriamoci se fa sta cazzata. E poi tu la conosci, il pollo starnazza ma dai, lo sai che non si muove, rimane nell’aia. E invece il pollo ha preso il volo. E tu non hai idea per dove. È terribile. Angosciante. Ma ok, non sono ancora passate 48 ore, adesso torna. Dove vuoi che vada? E le conoscenze televisive con tanti follower condividono tutte, in tempo zero. E tutti quelli con un minimo di empatia. Utenti non miei follower hanno iniziato a far girare l'appello ovunque.
E nel frattempo iniziano ad arrivare le segnalazioni: “L’ho vista a Torino,” “l’ho vista a Urbino,” “l’ho vista in Sicilia,” “l’ho vista a Binasco vicino alla stazione degli autobus”. Binasco è vicina a Pavia. Poteva avere un minimo di senso. Ti ricordi che la gallina comunque cammina, più come un ungulato in Val d'Aosta che come una persona, bella spedita. Magari ha deambulato fino a lì e ha preso un autobus. E allora prendi la macchina, di notte, con un amico e vai a Binasco. Con gli occhiali per la visione notturna, una foto della fuggiasca e ti fermi a tutti gli Autogrill e ti guardi intorno, dietro le pompe e gli uffici di lamiere. Magari è lì. Chiedi a tutti i camerieri di McDonald's, ai ragazzetti che campeggiano davanti a tutti i supermercati tra Binasco e Milano. Fai il giro di Rozzano. Vai al Fiordaliso. Queste cose succedono sempre agli altri. Ma in quel momento, per qualcun altro tu sei “gli altri”. Continuano le segnalazioni. La notte dopo ne arriva un’altra poco credibile ma non impossibile: vista a Rogoredo. Prendi la macchina dopo cena e vai di persona. Stesso copione: ferma tutti, fai vedere la foto: “Forse l’ho vista” un cameriere che dice d’averla vista non sta mentendo: l’ha vista. Solo che non era la tua adolescente. Una simile. Intanto su Instagram il putiferio: tutti la vedono, nessuno la ferma. E tu impazzisci perché al loro posto tu almeno una foto la faresti, ma di fare polemiche non hai voglia. Va bene così. Intanto senti tuo padre ogni due ore: "Nessuna novità." E intanto arriva sabato. Sono sicura che sotto la tinta rossa i miei capelli abbiano iniziato a sbiancare. Continui con gli appelli. Ho lanciato un appello video sui social, pensando che "magari Instagram in qualche modo lo guarda". Ho cercato di stare calma, di stare alla larga dallo psicodramma. Il pornodolore mi ha sempre fatto schifo. Mi sono messa a guardare le visualizzazioni di ogni singola storia caricata, alla ricerca di un account sconosciuto ma che in qualche modo mi risultasse familiare. Magari stava guardando. Migliaia di visualizzazioni. Un ago in un pagliaio. Fino a martedì guardavo le views solo per verificare se il tizio con gli occhi verdi più belli del pianeta mi degnasse almeno di uno sguardo. "Vorrei analizzare questa roba solo per vedere se quel pirla si ricorda che esisto, non per cercare un indizio di Quella, che chissà dov’è finita”. Avevo bisogno di pensare a qualcosa di stupido. Il pirla mi ha scritto, poi. Per manifestarmi solidarietà. Cretino ma umano. Almeno quello. E intanto arriva domenica mattina e i primi messaggi “sgradevoli” sotto le foto di mia sorella, considerazioni miserevoli da gente miserevole: "La polizia non ve lo dice ma la danno per morta", "la colpa è della famiglia, accettatelo". Ne contatti uno, lo mandi a cagare, gli fai presente quanto sia un parassita. E se fosse finita in un fosso? Se davvero fosse l'ennesima morta ammazzata dell'anno? Crollo di 5 ore con annessi sensi di colpa "E se perché hanno visto l'appello le hanno fatto del male? Se fosse colpa mia? Se avessi fatto troppo rumore?”. Aggiunta di pianti isterici e stomaco chiuso. Lunedì più o meno ti riprendi. Continui con gli appelli. La gente condivide e ti stupisci che al mondo le persone perbene esistano. Segnalazioni su segnalazioni. La madre di mia sorella va in tv e chiede ad Anastasia di tornare a casa. Ma mica lo sapevamo se guardasse o meno la tv. Le segnalazioni continuano. Sai che è in Toscana. Qualcuno dice di averla vista. È viva. Su Instagram una tizia, una Lucy tra tante: "Dubito sia ancora viva". E ti sale il crimine, l'odio verso il mondo. Ci rimugini su tutta la notte, perché se c'è una cosa che tanto ti è passata è il sonno. La speranza però no, quella in qualche modo resta. Martedì passa identico al lunedì. Le “giornate sospese” sono tutte fatta con la carta carbone e non ti sembrano mai qualcosa di definitivo.
Ogni tanto pigli la macchina e vai a Rogoredo, a Monza, di nuovo a Pavia. Qualcuno dice che potrebbe essere lì. Leggende degne del miglior “Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda”. Ti fai un giro, giusto per non rimanere ferma perché “ferma” dai giù di testa. Alle 23 senti papà: "I carabinieri dicono... ma no, non l'hanno trovata". Mercoledì va in onda "Chi l'ha visto". Io non ho manco voluto vederlo, cercavo un indizio sui social, su Google, su Twitter. "Magari mi ha scritto da un account fake". E invece niente. Pensi che "queste cose succedono sempre agli altri". Una ragazza mi consiglia di scrivere a Elena Cecchettin, "da quando è morta Giulia aiuta molto gli altri. Le persone in una situazione come la tua." Non ce l'ho fatta. "Non la disturbo per una crisi isterica di una teenager. E poi alla mia non è successo nulla." Avevo il terrore che contattandola potessi ammettere a me stessa che le fosse successo qualcosa di terribile. La paura, lo ammetto, non mi ha resa molto razionale. Quella notte in particolare ho sentito solo il pesante silenzio dello sconforto. Giovedì però arriva una specie di segnalazione confortante: "Mi chiamo Niccolò e l'ho vista qualche giorno fa, una mattina verso le otto a Pietrasanta." Il ragazzo è preciso, manda una foto della posizione: "Qui ero io, qui era lei". Lo ringrazi in quattro lingue e mandi tutto alla polizia. Ti senti una povera scema che ha preso la laurea presso l’università di “Law and Order”. Nel pomeriggio un utente mi scrive: "Ho provato a mandare il tuo appello a qualche influencer ma mi hanno risposto che dovevano chiedere al loro agente". Immagino che difendere la Regina dei Pandori (che non ha certamente bisogno di difensori e leccaculi) fosse più importante di condividere l'appello di una famiglia disperata. Ma va bene, alla fine mettere la foto di mia sorella tra un codice sconto per l'acquisto di una tisana diuretica e un adv dell'ennesimo maglione infeltrito di qualche brand "made in un paese con schiavitù legalizzata" non sarebbe servito a nulla. Chi ti dice che deve parlare col proprio agente probabilmente non riesce a parlare manco con sua madre. O con la sua coscienza. Sfigati, famigerati tra altri sfigati. Venerdì mattina credo di non avere fatto colazione. Mi sono presa del tempo per me. Un amico mi ha chiamato per darmi conforto: “Sai è che sono rare le ragazze che vengono ritrovate vive”. Non mi sono nemmeno incazzata. Ho camminato a vuoto per un po' cercando di consultare il telefono meno istericamente del solito. Tanto non serviva a niente se non a farmi salire l’ansia e il crimine. Quando mio padre l'ha trovata mi ha mandato un messaggio. Camminavo sui Navigli, col cane da una parte e qualche regalino di Natale nell'altra. Una signora accanto mi guardava. “Ci siamo. Ti chiamo dopo”. Mi si è aperto lo stomaco. La signora mi ha sorriso (per pura cortesia perché mi vedeva felice). L’ho abbracciata a caso. "Ti ha scritto il fidanzato?". Le ho risposto: "Hanno trovato mia sorella". E mi sono allontanata sentendomi in imbarazzo. Mi sono andata a comprare un cappello messicano, color cioccolato, per festeggiare. La gallina è tornata nell'aia. Sporca e puzzolente, ma è tornata. La prima cosa che mi ha detto: “Sto bene Micol”. La sgangherata fuga e le sue sfumature non le racconterò mai. Se vorrà, lo farà lei. Io mi sento cambiata. Non mi è chiaro come. La gallina non lo so. Queste cose succedono sempre agli altri. Oppure no.