La prima fu a Biagio Antonacci. Vanity Fair era appena arrivato in Italia e ogni settimana tirava fuori un'intervista esclusiva ripresa da tutti gli altri media, mi ricordo ancora quella a Claudia Pandolfi, dove l'attrice a un certo punto si iera fumata una canna. Io lavoravo a Donna Moderna, sezione attualità, scrivevo delle news di poche righe che le caporedattrici Monica Triglia, Liliana di Donato e Isabella Fava mi facevano modificare anche sedici volte (sedici, contate una per una: non sto scherzando). La Mondadori è un'isola spettrale fuori Milano disegnata da Nyemeyer, in mezzo alla nebbia e ai laghetti con papere e riflessi. Il giorno in cui Donna Moderna andava in stampa l'aria in redazione era pesantissima. Cipriana e Patrizia leggevano tutto il giornale e fin quando non avevano finito nessuno osava lasciare la redazione. Patrizia aveva un tono di voce rauco e se la sentivi urlare: "Chi caz*o ha scritto questooooo?" potevi solo pregare che non stessero commentando il tuo pezzo. Vecchia scuola. Santa scuola. Ecco, Patrizia e Cipriana si erano rotte di vedere che ogni volta tutti i quotidiani citassero le notizie di Vanity. Vanity oltretutto era diretto da Carlo Verdelli, che di Cipriana era pure il marito. Un giorno Monica Triglia arriva da me e mi dice: "L'intervista a Biagio Antonacci la fai tu. Portaci una notizia". Io arrivavo dalla cronaca nera del Tirreno di Montecatini. Il mio capo era Alessandro De Gregorio. Alto due metri, secco che sembrava tisico, guance asciugate dai tiri delle sigarette Lucky Strike, un naso gigante, la cresta, l'orecchino, l'accento piombinese e i texani. Un Keith Richards incaz*ato calato in un giornale di provincia. Un Montanelli più ruvido e comunista, che viveva in un tugurio di 40 metri quadrati nella zona più fetida della città. Mi ha insegnato molte cose. Che per ogni pezzo l'attacco giusto è uno e uno solo. Che chi è rock'n'roll rompe il caz*o.
Che se c'è un incidente mortale, un omicidio, una disgrazia devi tornare in redazione con la foto del morto, altrimenti meglio se non torni. Che il giornalista bravo trova più notizie degli altri e che quando intervisti qualcuno devi fare le domande che non gli fa nessuno. Cipriana aveva capito che ero un figlio di putta*a. E lo aveva intuito perché qualche settimana prima ero stato tre ore al telefono con Andrea Pezzi, un personaggio televisivo dell'epoca, per scrivere appena 1.500 battute. Ne era uscito un articolo in cui lui mi rispondeva malissimo, infastidito. Ora Cipriana mi stava affidando l'intervista più importante del giornale, a me che ero l'ultimo stron*o arrivato. I colleghi erano scioccati. Vado da Biagio Antonacci che di lui sapevo: tutto. Non aveva mai parlato di ses*o. Un'intervista seria è come un incontro di boxe: con le domande giri intorno all'intervistato, entri in empatia, ti avvicini, metti all'angolo e colpisci, poi magari torni indietro e ricominci. Antonacci mi racconta tutti i suoi segreti sessua*i. Titoliamo su quale fosse la sua posizione preferita e ci riprende pure il Corriere con un articolo di mezza pagina. Da lì comincio a fare solo interviste. Jovanotti per la prima volta mi parla del tradimento subito dalla moglie. Stavolta Il Corriere di pagine ce ne dedica una intera. La Hunziker mi confessa che non fa l'amore da un anno. Alba Parietti che vorrebbe andare a letto con Patty Pravo (questa viene ripresa pure da Daria Bignardi a Le invasioni barbariche, che è come dire Belve della Fagnani adesso). Zucchero, dopo una giornata passata nel suo studio, accenna alle molestie subite da bambino. Poi, sempre dopo una riunione dei capi, ancora una volta arriva Monica Triglia e mi dice: "Questa settimana hai vinto Tiziano Ferro". Caz*o. Tutti, nell'ambiente sapevano che Tiziano fosse gay. Ma lui non lo aveva mai detto. Anno: 2006. L'appuntamento era nella suite all'ultimo piano dell'hotel Melià di Milano. Era in ritardo di mezz'ora. Mi sembrò un ragazzo dolcissimo.
Mi disse pure che se mangiava o beveva troppo il giorno dopo si puniva correndo sul tapis roulant. Nell'album appena uscito Tiziano parlava di due donne. Cominciai da lì. Per poi, alla fine, piazzare le domande sull'omosessualità. Nessuno gliele aveva mai rivolte in maniera così diretta. In pagina ci finirono queste due: a te è mai capitato di avere una relazione con un uomo? “Mi succede spesso di ricevere attenzioni da parte di una persona del mio stesso sesso, molto spesso. La cosa non mi dà fastidio. Finora non ho mai ceduto, ma. Mai dire mai… Faccio parte di una generazione abbastanza spregiudicata. E se dovessi avere una storia con un uomo non la vivrei come un dramma. L’omosessualità è una cosa che può far parte della vita di una persona, è inutile negarlo”. Ma i tuoi genitori come la prenderebbero? “Non ne farebbero una tragedia: sono persone intelligenti. Per loro l’importante è che io sia felice”. Tra le righe insomma mi aveva risposto di sì. Ma fin quando non l'avesse ammesso non è che si potesse dire chiaramente. L'indizio definitivo arrivò poco dopo. Appena rientrai in redazione fui convocato nell'ufficio del direttore. Cipriana con un sorriso ammirato mi chiese: ma Tiziano Ferro te lo ha detto davvero? La capa dell'ufficio stampa di Ferro l'aveva già chiamata. Non voleva che nell'intervista ci fosse alcun cenno all'omosessualità. Se vabbe'. Altri tempi. Altro giornalismo. Altri direttori. Tiziano Ferro aspettò ancora 4 anni prima di fare coming out. Ma, attenzione, era pur sempre il 2010. In ogni caso rivendico il diritto che ognuno ha di fare come caz*o vuole a seconda di ciò che lo fa stare meglio. Rivendico il diritto di essere gay o qualsiasi altra cosa e non dichiararlo. Così come quello di ripensarci e di dirlo. Non sarà mai facile e mai troppo tardi fare un coming out di qualsiasi genere. Oggi, che i De Gregorio e le Cipriana sono in pensione, se i giornalisti facessero coming out per tutte le volte che smarchettano un brand o un ufficio stampa o il politico di turno passerebbero il tempo a dire o scrivere una sola parola: scusa. Ma rompere i coglio*i è rocknroll. E a noi, il rocknroll, continua a piacere.