Papa Francesco dovrebbe fare un test di idoneità ai giornalisti che lo vogliono intervistare. E noi dovremmo farlo al papa su attualità e politica. L’intervista di Fabio Fazio, che è quasi difficile definire intervista, a Bergoglio è stata lo spettacolo dell’inadempienza, tanto giornalistica quanto pontificia. Certo, meglio il papa del conduttore follemente innamorato non tanto di Sua Santità quanto dell’occasione, l’ennesima stellina di cui vantarsi. Fazio non solo non vuole pestare i piedi al papa, ma non prova neanche a farli vedere. Glieli lascia al caldo delle sue convinzioni vestite di bianco, un bianco mai vestito prima, soprattutto se si pensa al predecessore, Benedetto XVI, decisamente meno conciliante e attratto dalle paillettes ideologiche che stanno frastornando la Chiesa. Quali? L’ambientalismo allarmista e l’inclusività su tutto. Mettiamola così, Fazio è stato inclusivo. Pur di evitare di urtare la sensibilità altrui, ha evitato di fare le uniche domande sensate. Ed è tanto più evidente alla luce delle domande, usate come riempitive: da dove arriva il male, come immagina il volto di Dio quando prega. Davvero ci sembra normale chiedere al Papa o di questioni di alta teologia e mistica o di guerre nel mondo e immigrazione? Ovviamente il conduttore fazioso se le aggiusta come crede: così i migranti diventano un “grande rimosso della società”, quando onestamente è difficile immaginare temi altrettanto popolari a destra e a sinistra, tra i media, nelle campagne elettorali, persino per le strade e nei bar (lì, vero, tema secondo solo allo sport).
Fazio non ha chiesto a papa Francesco della rivolta della Chiesa africana dopo la Fiducia supplicans, l’ok alla benedizione per gli omosessuali. Non gli ha chiesto perché stia mettendo i suoi uomini a capo di dicasteri e in posizioni strategiche, alla faccia del pluralismo e del dialogo, dell’amore e della comprensione (se lo avesse fatto Benedetto XVI?). Dei licenziamenti punitivi come quello di Joseph E. Strickland, vescovo ultraconservatore statunitense contrario alle posizioni dell’ala progressista della Chiesa (quella che trova forza nell’appoggio del Papa alla cosiddetta “chiesa tedesca”, nemica della “chiesa americana”). Dei dubia di alcuni illustri cardinali che prima del Sinodo posero con durezza i temi su cui si dovrà dibattere da qui ai prossimi anni se la Chiesa vuole puntare a conservare parte della sua identità. Non gli ha chiesto del suo prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede, Tucho Fernàndez, intorno a cui si è creato un caso per un suo libro del 1998 in cui parlava, molto esplicitamente, di orgasmo femminile e maschile, dell’uomo che penetra, dell’attenzione verso il clitoride eccetera eccetera. Papa Francesco, per anni considerato il papa del sorriso, non è più così sorridente. E a ben guardare non lo è mai stato davvero. Sempre sofferente per le guerre nel mondo, per la povertà, per i migranti, per l’arretratezza e i peccati interni alla Chiesa, sempre dolente. E invece di tenere al sicuro il suo gregge, di farlo crescere, vuol tenere al sicuro l’umanità intera dalle politiche che, a titolo personale e non in nome della fede, non apprezza. Da Fazio tendiamo a perdonargli la lentezza dell’eloquio, perché i papi seguono i tempi di una istituzione millenaria, mica della tv; mentre tendiamo a perdonare meno la lentezza di Fazio che in altri contesti, a scuola per esempio, avremmo saputo interpretare per quel che davvero è: impreparazione. Da questo triste spettacolo solo Dio può proteggerci.