Il futuro della Chiesa appare incerto. Le due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente, pongono il Vaticano di fronte a un posizionamento chiaro in un quadro geopolitico complesso, in cui l’antioccidentalismo di papa Francesco potrebbe creare “danni irreparabili”. Intanto il primo dei due appuntamenti romani del Sinodo è finito e all’inizio dei lavori l’esortazione apostolica di papa Francesco Laudate Deum, così come l’Instrumentum laboris, hanno posto i temi di discussione, dal ruolo della donna all’ecologismo. Tutto questo mentre in Europa i credenti diminuiscono e la Chiesa tedesca continua ad acquisire potere, mentre il lascito di Benedetto XVI appare sempre più fragile. Eppure, nonostante gli innumerevoli tentativi di riforma, quella di papa Francesco sembra una “rivoluzione mancata”. Ne abbiamo parlato con Matteo Matzuzzi, caporedattore de Il Foglio, vaticanista ed esperto di geopolitica, autore di Atlante geopolitico del cattolicesimo (Piemme, 2022).
Cos’è, in questo momento, il Sinodo per la Chiesa?
È il compimento del pontificato di papa Francesco, perché lui si è presentato come un papa rinnovatore e riformatore, qualcuno ha detto anche rivoluzionario (un aggettivo forse esagerato). Il sinodo è iniziato in realtà un anno fa a livello locale, nelle diocesi, e ora trova a Roma il suo compimento. O meglio, lo troverà alla fine del prossimo anno, ma in questo autunno abbiamo già visto questi circa cinquecento invitati che hanno discusso del futuro della Chiesa. Io ho anche detto, provocatoriamente, che si tratta di un Concilio Vaticano III, o due e mezzo. Ci troviamo di fronte a qualcosa di simile a un Concilio perla portata dei temi che sono stati messi all’ordine del giorno, rispetto ai vecchi Sinodi che si concentravano piuttosto su un singolo tema.
Nonostante la quantità di temi, la Lettera al popolo di Dio, firmata dall’assemblea alla fine dei lavori di questo appuntamento, non tocca quasi nessun aspetto concreto e si concentra piuttosto sullo “spirito del Sinodo”.
Sì, è un documento di scarsa importanza. Dicono di aver fatto un gran lavoro, che il lavoro dovrà continuare e tutti dovranno sentirsi coinvolti, ma non entrano nel merito del dibattito.
Quali sono alcuni di questi temi?
Si è discusso della preparazione dei futuri sacerdoti nei seminari, del ruolo delle donne, dell’emergenza climatica, dei migranti, di come i giovani usano i social network e il mondo di internet. È difficile che un’assemblea di cinquecento persone, con tempi di intervento di pochi minuti e fasi di discernimento, silenzio e preghiera, in tre settimane possa in qualche modo decidere qualche riforma concreta, o quantomeno proporla. Infatti la Lettera al popolo di Dio è qualcosa di dovuto, ma non lascerà traccia. Quello che sarà importante vedere è il documento finale – almeno della prima fase – che sarà pubblicato sabato sera. Così si vedrà cos’è stato discusso veramente e cosa è stato approvato dall’assemblea, cioè gli argomenti approvati per la discussione della seconda assemblea il prossimo autunno. Per ora non sappiamo niente.
Prima dell’inizio dei lavori, papa Francesco ha pubblicato un’esortazione apostolica, la Laudate Deum, che tu hai definito un “sequel” dell’enciclica Laudato sii. A cosa dovrebbe servire, soprattutto se pubblicata all’inizio del Sinodo a Roma?
Sicuramente un’esortazione apostolica è meno importante di un’enciclica. Mentre quest’ultima è una lettera circolare del papa a tutta la Chiesa e può toccare anche la Dottrina, l’esortazione è un documento più breve che tocca un determinato tema, che dovrebbe essere riservato a un nucleo ristretto di persone. Papa Francesco, con la scelta di pubblicare un’esortazione e non una nuova enciclica, fa capire subito che è un testo a completamento della Laudato sii. Questo significa che ritiene che quanto scritto nel 2015 nell’Enciclica in realtà non sia stato applicato. Nella Laudate Deum sostiene che la causa del cambiamento climatico è antropica e non può essere una verità da discutere. In altre parole, è un dogma. Quindi è un testo importante, che cambia il modo di porsi della Chiesa rispetto anche al cambiamento climatico. Nel testo si fa riferimento a testi che vengono dalle Nazioni Unite, e questo è un altro elemento: non ti do documenti teologici, normalmente contenuti in un’enciclica, ma ti do documenti molto più laici, scientifici, da addetti ai lavori, per dirti che se noi non correggiamo i nostri comportamenti, l’Apocalisse, magari non quella della Bibbia, si verificherà sulla Terra con tutte le conseguenze del cambiamento climatico, in particolare penso alle migrazioni, uno dei temi centrali della predicazione di papa Francesco. Quindi è un documento centrale, che definendo come verità indiscutibile questa della causa antropica del cambiamento climatico si presta a molte critiche.
È stato pubblicato anche l’intervento del Papa durante l’assemblea, in cui la Chiesa viene identificata con la donna. È una novità o è un pensiero che non dovrebbe colpirci?
Voglio ricordare che nel 1978 papa Giovanni Paolo I in uno dei pochissimi Angelus che pronunciò disse che Dio è padre ma ancora di più è madre. Non c’è nulla di problematico quindi
Si parla, come anticipavi, molto del ruolo della donna. Come si traduce concretamente questo interesse?
Non l’ho ben capito. In un libro di recentissima uscita, Non sei solo, di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, papa Francesco risponde ad alcune precise domande: lei è aperto all’ordinazione delle donne? No. Le donne diacono, che è una soluzione minore, potrebbe essere accettata? No. Ma il celibato sacerdotale? No. Se vuole il mio successore provvederà. Abbiamo un’ambivalenza tipica di Jorge Mario Bergoglio. Parla molto di donne nella Chiesa, ma all’atto pratico facciamo fatica a vedere conseguenze pratiche. Io faccio fatica e credo che facciano fatica anche alcuni padri e alcune madri sinodali. Per il papa non bisogna clericalizzare la donna, cioè non bisogna rendere le donne come i preti. Tuttavia quale altro modo di realizzare concretamente la partecipazione delle donne intende? Non è chiaro.
Credi che il sacerdozio femminile potrà mai essere accettato?
Sarebbe una cosa dirompente e porterebbe a un vero scisma. Ma penso anche che la parte della Chiesa che vorrebbe allargare alle donne il sacerdozio sia minoritaria. Certo, è una minoranza politicamente molto forte e organizzata, la Chiesa tedesca per esempio. Giovanni Paolo II aveva messo la parola fine alla diatriba? Per loro i tempi cambiano, anche la Chiesa cambia e in fondo non possiamo appoggiarsi alle parole di un pontefice morto vent’anni fa. Io non credo sarà una cosa che si deciderà a breve. Basti pensare che neanche al Sinodo, dove la maggior parte dei partecipanti sono per così dire dell’ala riformista, sono state poste sul tavolo delle proposte concrete e si dice, piuttosto, che si dovrà ancora discutere molto.
Sarebbe un bene accettare il sacerdozio femminile?
Al di là di questo, e dell’idea che un’apertura in questa direzione sia coerente con i tempi, bisogna notare una cosa: laddove l’ordinazione delle donne è consentita da tempo, il numero di ordinazioni di sacerdoti è più basso che nel mondo cattolico. Il mondo luterano, dove il sacerdozio è aperto a tutto, è in fallimento.
Hai accennato alla Chiesa tedesca e in altre occasioni hai parlato di un allontanamento di papa Francesco dalla Chiesa americana, vicina al sentire di Benedetto XVI, il suo predecessore.
Esatto. A dispetto della convinzione diffusa che il papa americano sia stato Giovanni Paolo II per via dell’alleanza con Reagan per la caduta del muro di Berlino, il vero papa americano è stato Benedetto XVI che sostanzialmente si identificava con la teoria delle guerre culturali che veniva portata avanti da vari gruppi della Chiesa americana. Non solo. Condivideva anche la linea politica, esclusa la Guerra del Golfo, di molte associazioni pro-life legate anche alla presidenza Bush. Si ricorda sempre non a caso l’accoglienza di Benedetto per Bush, nei giardini vaticani, quando si organizzò un grande concerto in onore del presidente americano. Francesco è in assoluta discontinuità per motivi culturali: è un uomo di ottantasette anni argentino con un’avversione per tutto ciò che è yankee. Non dico niente di nuovo, si guardi il suo atteggiamento nei confronti di un certo Occidente a guida americana. Ricordo che quando andò negli Stati Uniti si fece pregare e quando accettò nel settembre del 2015 scelse prima di far tappa a Cuba. E non per bere del rum a Havana, ma per dare un segnale politico. Qui capiamo quale sia la rivoluzione mancata di papa Francesco, che fin dall’inizio ha puntato a ribaltare la Chiesa americana, che era ancora totalmente avviluppata al tema delle guerre culturali, a quel conservatorismo per esempio di Francis Jorge, cardinale di Chicago, Timothy Dolan a New York e Daniel DiNardo. Bergoglio cosa ha fatto? Ha creato cardinali di segno totalmente opposto. Il cardinale Cupich a Chicago, Tobyn, Gregory. Tutte personalità che definiremmo “di sinistra”. Nonostante questo, tuttavia, non è successo niente. Dieci anni dopo, infatti, quando bisogna eleggere il Presidente della Conferenza Episcopale americana, viene eletto Timothy Broglio che era l’ordinario militare degli Stati Uniti, non proprio un missionario che va a portare l’acqua nelle favelas.
Papa Francesco sembra cosciente di non avere più tempo. Il Sinodo, la nomina dei cardinali e la sua strategia recente stanno ponendo le basi per far sì che un papa come Benedetto XVI, un papa per così dire conservatore, non possa più essere eletto?
Sì. Le scelte di papa Francesco vanno in questa direzione. C’è una grande discontinuità da parte di papa Francesco, perché nei suoi concistori vanno tutti, tranne i primi due, in una direzione di trovare personalità affini alla sua agenda. È una cosa che nella storia della Chiesa è rarissima. Benedetto XVI ha messo la berretta in testa a gente che la pensava in modo opposto a lui, però aveva questa idea che la Chiesa dovesse contenere tutte le voci, ha creato cardinali molto diversi tra loro. Papa Francesco no. Quasi tutti i suoi cardinali sembrano identici. Questo per rendere irreversibile il processo avviato. Ma la storia della Chiesa ci dimostra che ogni qualvolta si sono fatti programmi del genere, solitamente poi le cose andavano in modo opposto. Un esempio. Pio XII, che aveva fatto solo due concistori in quasi vent’anni di pontificato, anche per evitare, dice la leggenda, di fare cardinale Montini e quindi renderlo papabile come suo successore, si è ritrovato poi Giovanni XXIII, che la prima cosa che ha fatto è stata indire il Concilio. Un papa può farsi programmi, ma noi non sappiamo davvero su cosa un cardinale isolato in cappella sistina va a votare.
Tu credi che Benedetto XVI potrà mai diventare Dottore della Chiesa?
I titoli li ha. Io sono dell’idea che proclamazioni di papi a dottori della Chiesa o a Santi, dovrebbero arrivare dopo secoli. Vedo con perplessità questa serie di papi diventati santi subito dopo la morte, come successo quasi sempre dal Concilio Vaticano II a oggi. La Chiesa ha sempre avuto il criterio della prudenza e quello della saggezza. Le cose si devono sedimentare e bisogna uscire dal tempo delle emozioni.
Secondo le statistiche più aggiornati i credenti diminuiscono, in particolare se parliamo di cattolici. Credi sia il periodo peggiore per la Chiesa in tutta la sua storia?
No. Se fossimo stati nel periodo della Rivoluzione francese cosa diremmo? Era una situazione ben peggiore. Il papa che muore in esilio a Valence, che viene sepolto sulla nuda terra e sulla lapide scrivono: “Cittadino Giannangelo Braschi - in arte Papa”. Papa Pio VI e ultimo si diceva. Fu un’epoca in cui davvero si pensava che la Chiesa fosse finita. Invece siamo ancora qui. Certamente c’è una fase di secolarizzazione evidente, ma è legata principalmente all’Europa e forse all’Occidente. Se vai a Praga e vedi le chiese chiuse o trasformate in sale da concerto ci rimani male da cattolico. Ma se vai in Nigeria, lì c’è una Chiesa che cresce e, anzi, non hanno abbastanza vescovi per gestire questa crescita. C’è una crisi europea, quello sì. Oggi viviamo in un mondo in cui la cristianità è finita e il contesto per creare qualcosa di nuovo non è favorevolissimo.
Per Chesterton quando uno smette di credere finisce per credere in tutto. Questa crisi che definisci europea, se non occidentale, credi dipenda da un rinnovato spirito ateo o, piuttosto, da una rinascita di credenze new age che guardano più all’Oriente (con gli occhi degli occidentali)?
In parte è legato a questa rinascita di credenze di cui parli. Invece l’ateismo prevede l’aver preso in considerazione Dio. Invece oggi la risposta spesso è: mi è indifferente il problema. È peggio ancora. Quindi diventa più dura un’operazione di evangelizzazione. Con l’indifferente di cosa parli? Io spero che al Sinodo si sia parlato di questo, dell’indifferenza religiosa piuttosto che della diaconessa.
Molte persone che si reputano credenti auspicano un futuro per il cristianesimo senza istituzioni. Un cristianesimo senza Chiesa.
Non sono cristiani. Cristo ha edificato la Chiesa. Magari sei culturalmente interessato, vedi Caravaggio e ti commuovi. Ma il cristianesimo è una cosa un po’ più seria. Non va di moda parlare di Dottrina, però non puoi neanche essere un cristiano fai da te. Per carità, la pandemia ha reso quest’ultimo di moda, con gente che vede la messa in televisione e se magari l’omelia è noiosa si alza a prendere un caffè. Ma è chiaro che sia parte del problema.
Il più grande movimento generazionale di questi anni è l’ambientalismo, presente – come si è detto – anche nell’agenda di papa Francesco. C’è alla base una convinzione quasi panteista, tuttavia, di una “madre natura” in pericolo. Credi che queste posizioni possano compromettere la sopravvivenza della Chiesa?
Forse sì, ma credo che l’ambientalismo oggi sia una moda, una come tante. Avevamo tanti anni fa Scientology e sembrava che tutti fossero aderenti. Non credo sia una minaccia per la Chiesa. Piuttosto, quando la Chiesa si fa così Ong, non è che attiri molti simpatizzanti. Greta non è diventata cattolica perché papa Francesco ha detto di andare a fare la raccolta differenziata. Questa posizione della Chiesa è un po’ fine a se stessa.
Cinque cardinali conservatori hanno posto al papa cinque dubia. Il primo, il più generale, riguarda la possibilità di reinterpretare la rivelazione. Credi che questa ennesima apertura ai tempi e a possibili nuove interpretazioni rischi di sabotare la Chiesa? Benedetto XVI si mosse in direzione opposta, creando strutture fisse.
Francesco è un gesuita, quindi di elementi fissi non ce ne sono. Si va a largo, come disse, con una barca, anche senza conoscere la meta. È la sintesi del suo pontificato. Si avviano processi e l’importante è non restare immobili a custodire la cenere. Si mette dentro di tutto, non si sa dove si andrà a parare, ma intanto si mette in moto la macchina. Questa è la differenza con Benedetto XVI, un professore bavarese, più rigido su certe cose.
Ma credi sia un bene questa strategia di Francesco?
Non possiamo dirlo, si dovrà aspettare. Non so se produrrà dei benefici nelle diocesi.
Sulla guerra la posizione di papa Francesco come pone la Chiesa nel quadro geopolitico? Non c’è dell’antioccidentalismo di fondo?
Un papa che dice: “La Nato abbaglia sotto i confini della Russia”… Mi sembra che il sottile pregiudizio ci sia. Penso che i discorsi a braccio del papa abbiano prodotto dei danni irreparabili. Si è inimicato l’Ucraina, a cominciare dalle gerarchie greco-cattoliche ucraine. La maggior parte dei preti greco-cattolici ucraini non vuole più menzionare il papa nelle omelie. Io credo che il papa però se ne sia reso conto e sicuramente ha investito moltissimo in questa missione speciale del cardinale Zuppi, che poi ha prodotto quello che poteva produrre, cioè poco. Come possiamo pensare che la Russia, custode e patria della grande ortodossia, possa accettare una mediazione del papa di Roma? Il povero Kirill, che è considerato da sempre uno dei più moderati nella gerarchia del patriarcato di Mosca, perché un estimatore della Chiesa cattolica e della Compagnia di Gesù, come può dire di accettare una mediazione del papa di Roma? Il sacerdozio moscovita, quello duro e conservatore dei monasteri, lo fa fuori il girono dopo. Io credo che la Russia pensi a tuto e voglia tutto tranne che una rivolta in seno alla Chiesa.
E su Israele, le posizioni del papato come ti sembrano?
La posizione della Chiesa è quella di “due popoli e due Stati”. Ma è una posizione vecchia, che Hamas non vuole. Gli israeliani, dal canto loro, che avevano accettato la risoluzione del ’47, ora probabilmente direbbero di no. Ricordiamoci che la risoluzione del ’47 fu boicottata dai Paesi arabi, non da Israele, perché non erano d’accordo con le percentuali della ripartizione. Oggi è proponibile questa soluzione a due Stati? Secondo me no. Anche la più prestigiosa rivista del cattolicesimo, La Civiltà Cattolica, i cui articoli passano al vaglio della segreteria di Stato, in un articolo scriveva che non poteva più essere una soluzione possibile. In questo senso vedo il Vaticano in un cul de sac. Ha una posizione che non è aderente alla realtà.