La partecipazione di Papa Francesco a “Che tempo che fa”, talk show di Rai3 condotto da Fabio Fazio, ha scandalizzato i cattolici più conservatori e stupito chi non ha familiarità con il magistero di Bergoglio, un pontefice che cerca di colmare le distanze tra clero e laicato, ma anche tra la Chiesa e il mondo. La verità è che l’intervista non ha rivelato niente di nuovo, ma forse moltissimo non è ancora stato recepito dalla maggior parte delle persone. È servita però a sottolineare e a rendere ancora più pubblica la linea di azione del Papa argentino, proveniente da un contesto molto diverso da quello dei Papi che lo hanno preceduto, eppure in continuità con alcuni di loro (lui stesso ha citato Paolo VI).
Rifacendosi ai temi già trattati nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del 2013, Alle domande di Fazio sulla situazione in cui versano i migranti al confine tra Grecia e Turchia, e in riferimento alle persone che muoiono in mare, il Papa ha risposto che “questo è un segnale della cultura dell’indifferenza” che “c’è un problema di categorizzazione” e che “bambini, migranti, poveri, coloro che non hanno da mangiare, queste [persone] non contano, almeno non contano al primo posto”. Francesco entra nel merito delle politiche migratorie, riconoscendo la questione come un problema che va discusso seriamente dall’Unione Europea; non si limita quindi a un discorso buonista che sottolinea l’oggettiva sofferenza di queste persone: “Ogni paese deve dire quanti migranti può accogliere, questo è un problema di politica interna che deve essere pensato bene […] L’Unione Europea deve mettersi d’accordo”. Con le sue parole invita a una politica di accoglienza e integrazione, che non si limiti ad aprire i porti e le frontiere ma che miri a rendere il migrante cittadino e membro della società che lo accoglie, evitando ghettizzazioni e ingiustizie.
Non solo politica: l’indifferenza problema di tutti
Ma per Francesco non è solo una questione di politica. Il Papa sa bene di non essere un politico ma un Pastore di anime e per questo non risparmia chi, nel calduccio della propria casa, si sente salvaguardato da questa indifferenza. Per il Papa la cultura dell’indifferenza parte dal vissuto quotidiano di ognuno di noi: “Le ingiustizie le vediamo ma c’è sempre una tentazione molto brutta, guardare da un’altra parte, non guardare […] non basta vedere, è necessario sentire, toccare. Qui entra quella psicologia dell’indifferenza. Io vedo ma non mi coinvolgo, non tocco e vado avanti”. Nello spiegare come opporsi a questa globalizzazione dell’indifferenza, fa un breve commento a una delle parabole più famose dei Vangeli, la parabola del buon samaritano. In questa parabola abbiamo diversi personaggi: i banditi che attaccano un uomo, quest’uomo di cui non sappiamo niente, un samaritano, un sacerdote e un levita. Queste ultime due sono persone che nella società di Gesù erano viste come individui che seguivano la legge, due persone buone, che facevano quello che andava fatto ed era giusto fare, e che proprio per questo non si fermano ad aiutare l’uomo ferito che con il suo sangue, per la legge giudaica, li avrebbe contaminati e resi impuri. La paura di essere contaminati li porta a ignorare la sofferenza, la difficoltà e il bisogno di quell’uomo, come spesso noi ignoriamo la sofferenza degli altri; chi si ferma ad aiutare quell’uomo è, invece, il buon samaritano che, senza pensare alla legge, lo tocca e se ne prende cura. Il Papa quindi non parla solo ai politici ma a chiunque si volga dall’altro lato, a chiunque abbia paura di perdere dei privilegi, di guardare in faccia l’altro che soffre.
La guerra: contro la natura umana
Ma perché una persona credente dovrebbe sentirsi più motivata a contrastare la guerra e le ingiustizie sociali? Per spiegarlo, il Papa introduce un concetto teologico importante, un’idea dell’umanità tipica del cristianesimo. “La guerra” dice “è un controsenso della creazione […] fare la guerra è distruggere, è una meccanica di distruzione”. Nella visione cristiana dell’essere umano, le persone non sono create con l’intento di possedere e dominare la Terra, ma Dio che crea l’umanità a sua immagine, essendo Creatore, dona all’umanità la capacità di essere come Lui, creatrice. Se le persone sono quindi con-creatori di Dio, distruggere va contro la natura stessa dell’essere umano. Di conseguenza la guerra tradisce pienamente la vocazione dell’uomo. L’essere umano come maggiordomo del creato deve preservarne l’esistenza ma anche condurlo verso un qualcosa di nuovo e di rinnovato, con-creando, e questo discorso si ricollega all’altro tema caro a Papa Francesco, protagonista di una sua enciclica, la Laudato sii, e della parte successiva dell’intervista: l’ecologia integrale.
L’ecologia integrale per prevenire il disagio sociale
Il discorso che abbiamo ascoltato a “Che tempo che fa” si concentra di più sull’idea classica di ecologia, come cura della Madre Terra (lessico che il Papa assume dal cantico di San Francesco ma anche dalle culture autoctone dell’America del Sud) e in generale di tutto ciò che è considerato natura. Solitamente, però, il Papa quando parla di ecologia parla di ecologia integrale, che nella sua enciclica descrive come quell’ecologia che va oltre il semplice atteggiamento di protezione nei confronti della natura. L’ecologia integrale per Papa Francesco “esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso” (LS 138). È richiesta un’attenzione tanto all’ambiente quanto alla dimensione sociale; per Papa Francesco è fondamentale lo stretto legame che c’è tra le due dimensioni, e nell’enciclica evidenzia come uno scorretto sfruttamento dell’ambiente abbia conseguenze sulla società e viceversa. Per questo motivo dovere dell’uomo è quello di trovare modalità e soluzioni nuove che tengano conto di entrambe le problematiche e dell’unità tra queste. La crisi sociale di cui ha precedentemente parlato e la crisi ambientale si richiamano a vicenda. Agire realmente in favore dell’ambiente vuol dire agire in favore dell’uomo e non considerare l’uomo meno importante degli animali o della vegetazione. L’ecologia integrale è quindi un’ecologia ambientale, sociale ma anche economica e deve tenere conto di tutte le dinamiche che coinvolgono la vita dell’uomo e quella del mondo in cui l’uomo vive e che gli permette di vivere. Se si abbraccia questa mentalità diventa chiaro come il prendersi cura dell’ambiente si tramuti nell’immediato nel prendersi cura del prossimo, perché una società che promuove la salvaguardia del creato promuove la solidarietà umana.
La mancanza di attenzione a una ecologia integrale porta al moltiplicarsi di quelle che il Papa definisce periferie esistenziali, tutte quelle situazioni limite in cui l’uomo si trova a vivere, che non riguardano solo la materialità, ma il vivere: non a caso nell’intervista ha fatto riferimento all’aumentare dei suicidi, all’aggressività, al bullismo, ma anche a quelle difficoltà che vanno a intaccare gli equilibri familiari come gli orari di lavoro massacranti, che calpestano i diritti umani.
Il problema del Male e l’onnipotenza nell’amore
Le domande rivolte a Papa Francesco sono state domande semplici, di cui in fondo conoscevamo già la risposta. Nessuna domanda scomoda, che potesse creare dispiaceri nelle diverse fazioni della Chiesa. Le uniche domande che avrebbero potuto creare difficoltà dal punto di vista argomentativo o che avrebbero potuto creare imbarazzo nel Pontefice sono state quella sul male che colpisce gli innocenti e quella sul futuro della Chiesa.
Per quanto riguarda la prima domanda, Fazio offre già a Papa Francesco la risposta citando la frase “Dio è onnipotente ma nell’amore”, una frase che ricorda la riflessione di Papa Benedetto XVI sull’onnipotenza di Dio: “L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti […] L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita.”
L’assist che Fazio fa a Francesco permette al Papa di spiegare in maniera umana e in maniera accettabile uno dei grandi misteri e problemi della fede: il perché del male. Ed è vero che nella visione cristiana di Dio il problema del male è dovuto al tentativo di coniugare l’infinita bontà di Dio con la sua onnipotenza.
Il futuro della Chiesa e la mondanità spirituale
La risposta alla domanda sulla Chiesa di oggi e del futuro, invece, delude. Delude tutti coloro che attendono da parte di Papa Francesco una presa di posizione pubblica nei confronti di tematiche che scuotono la Chiesa e il sentire religioso di molti fedeli, come la questione degli abusi nella Chiesa, che di recente è riemersa con il dossier della Chiesa francese, il report sugli abusi in Nuova Zelanda, e il rapporto della Chiesa tedesca che ha visto coinvolto Papa Benedetto XVI.
Anche in questo caso la risposta di Papa Francesco è scontata. Chiunque abbia letto i suoi scritti o ascoltato i suoi discorsi sa che la sua idea di Chiesa è una Chiesa in cammino, in uscita e sinodale. Ed è quello che lui ci dice quando risponde rifacendosi all’Evangelii Gaudium, come il manifesto della Chiesa del futuro, condannando la mondanità spirituale e il clericalismo. Cita la mondanità spirituale come una delle tentazioni degli operatori pastorali. Per Papa Francesco “La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale.” (EG 93). Svuota di fede i gesti che il fedele compie: la persona che va a messa la domenica solo per farsi vedere in chiesa e mostrare a tutti quant’è brava, com’è forte la sua fede e non perché sente il desiderio di incontrare Dio e gli altri, vive una mondanità spirituale; la persona che si offre di fare il catechista per mostrare a tutti quant’è bravo e preparato e non con il desiderio di guidare le persone nel proprio cammino di fede o di sfruttare questa occasione per crescere anche lei nella propria fede, vive una mondanità spirituale; il prete che cerca di fare carriera nella chiesa e che vive il suo essere parte del clero come occasione per esercitare un potere sugli altri, e non vive il servizio tipico del sacramento che ha ricevuto, vive una mondanità spirituale. E quest’ultimo esempio è il clericalismo che il Papa identifica come ulteriore male della Chiesa.
Il clericalismo: un male (anche) di oggi ma esistente da secoli
Per capire meglio cos’è il clericalismo dobbiamo prima capire cos’è il clero: il clero è composto da tutte quelle persone che all’interno della Chiesa cattolica hanno ricevuto il sacramento dell’ordine (uno dei sette sacramenti, e possono accedervi solo gli uomini). Fanno parte del clero i diaconi (primo grado dell’ordine sacro, possono essere anche uomini sposati), i presbiteri, che spesso chiamiamo semplicemente preti (secondo grado: nel rito romano e nella maggior parte dei riti della Chiesa cattolica bisogna essere celibi per accedervi) e i vescovi (terzo e ultimo grado, in quanto anche il Papa è un vescovo). Il sacramento dell’ordine è definito, insieme al matrimonio, come sacramento del servizio: per questo la caratteristica del clero dovrebbe essere, appunto, il servizio. Non è un caso, infatti, che uno degli epiteti del Papa sia Servus servorum Dei (Servo dei servi di Dio). Il clericalismo si ha quando il ministero del servizio, tipico del clero, nei confronti del popolo (i laici) si trasforma in esercizio del potere sul laicato, cioè quando i laici sono visti come i servi della Chiesa e il clero esercita un potere su di loro. È curioso che il Papa identifichi questo come uno dei mali di oggi della Chiesa, quando in realtà il clericalismo affligge la Chiesa da secoli, così come anche la mondanità spirituale. Ma per Papa Francesco la Chiesa del futuro dovrebbe essere una chiesa sinodale, dove non ci sono gerarchie nette, ma una diversificazione dei ruoli che pone gli uni al servizio degli altri, e ognuno in ascolto dell’altro. Per questo per lui il clericalismo è il “nemico” da sconfiggere.
Pelagianesimo e gnosticismo? Cosa sono?
Altri due termini che potrebbero risultare non di immediata comprensione sono relativi a quei due atteggiamenti pastorali che secondo Papa Francesco bisogna abbandonare. Nell’intervista su Rai3 il Papa parla di pelagianesimo e gnosticismo. Cosa sono? Nel primo caso il Papa si riferisce a quello che viene definito “neopelagianesimo”. Nell’Evangelii Gaudium Francesco dice che “il neopelagianesimo [è] autoreferenziale e prometeico” e che appartiene a “coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. Lo gnosticismo è, invece, una filosofia antica, molto in voga nel mondo ellenistico greco-romano, che auspicava un distacco da tutto ciò che è materiale a favore di una spiritualizzazione dell’esistenza. Il Papa lo condanna come uno di quegli atteggiamenti ancora presenti nella Chiesa, un atteggiamento vecchio, che la fa puzzare perché crea putridume, come lui stesso ha detto, e che quindi va abbandonato. A motivo di questo rifiuto dello gnosticismo c’è la fede in un Dio che si fa carne, e che quindi sposa la materialità e ne rivendica la divinità.
Nessun riferimento ai temi caldi, nonostante siano legati a clericalismo e mondanità spirituale
Come già detto, nessuna domanda scomoda e nessuna provocazione sono arrivate dagli studi della Rai, e i temi caldi che si sperava sarebbero emersi sono rimasti sommersi da un discorso troppo sintetico e complesso contro il clericalismo. Non si è parlato degli abusi nei confronti dei minori, né dello #outinchurch della Chiesa tedesca; non si è fatta menzione del Sinodo sulla sinodalità tutt’ora in corso e sulle tematiche che dividono attualmente la Chiesa cattolica, come l’ordinazione femminile; eppure alla base di tutto questo ci sono proprio quel clericalismo e quella mondanità spirituale che il Papa ha condannato apertamente. Ma ci aspettavamo veramente che il Papa avrebbe parlato di pedofilia, inclusione delle persone LGBTQ+ e di parità di genere nella Chiesa cattolica sulla tv nazionale?
L’intervista, studiata in ogni minimo dettaglio, è servita a ribadire la linea di azione di questo Papa, che si mostra umano nelle sue fragilità, nel suo amore per la musica e nel suo bisogno di avere vicino i suoi amici. Un uomo che non cerca mai lo scontro ma sempre la via della conciliazione.