Da ieri la Chiesa dei due Papi non è più uno slogan buono solo per Netflix, perché la distanza tra le due facce del cattolicesimo, l’una entusiasta e l’altra silenziosa, si è fatta netta con la pubblicazione della lettera di Joseph Ratzinger. Dalle sue dimissioni in mondovisione, il Papa tedesco diventato emerito ha scelto di vivere in un monastero nei Giardini vaticani in preghiera. Ma oggi gli tocca rispondere ad accuse di un certo peso, visto che un pool di avvocati tedeschi assunti dai vescovi cattolici di Germania lo ha accusato di non aver fatto abbastanza per combattere la pedofilia in almeno quattro casi che lo avrebbero riguardato in passato. Secondo l’accusa, ciò sarebbe avvenuto tra il 1977 e il 1982, quando Ratzinger non era ancora Papa, ma arcivescovo della diocesi di Monaco e Frisinga: ora un dossier di oltre mille pagine ha rivelato che dal 1945 in quella stessa diocesi si contano circa 500 vittime di abusi, per lo più maschi e minori. I carnefici hanno il volto di 173 sacerdoti, secondo le accuse note. Tra gli abusatori, il cosiddetto "prete X" sarebbe stato oggetto di un trasferimento in una riunione avvenuta nel 1980 alla presenza di Ratzinger, quando si decise il suo spostamento senza alcun provvedimento.
L’accusa di menzogna
Ed è da qui che parte l’accusa: Ratzinger sapeva e ha gestito la cosa semplicemente spostando un abusatore seriale da una diocesi all’altra. Ora la lettera pubblicata da quattro esperti chiamati dal Papa emerito smonta l’impianto accusatorio: l’allora arcivescovo non avrebbe saputo che il "prete X" fosse un esibizionista e che avesse a suo carico accuse di abusi su minori nella diocesi. L’unica informazione che l’allora arcivescovo avrebbe saputo di lui è che aveva bisogno di un percorso di psicoterapia: "Riguardo al caso del sacerdote X, pubblicamente discusso nella riunione dell’Ordinariato del 1980 per quanto concerne la sistemazione da dargli per una terapia, lo stesso perito ha affermato che non sussiste alcuna prova che Joseph Ratzinger ne fosse a conoscenza. Alla successiva domanda di una giornalista se i periti fossero in grado di dimostrare che Joseph Ratzinger fosse stato a conoscenza del fatto che il sacerdote X avesse commesso abusi sessuali, il perito affermava chiaramente che non c’è alcuna prova che Joseph Ratzinger ne fosse a conoscenza" puntualizzano gli avvocati canonisti chiamati a esaminare gli atti. Nella lettera che Ratzinger ha scritto, il Papa emerito si sente in pace con la coscienza, ammettendo di aver fatto tutto ciò che allora era in suo potere per contrastare i noti casi di abuso.
Ammissione di colpa
Ma c’è un aspetto su cui il Papa ammette una svista. Si tratta di una riunione avvenuta nel gennaio 1980, la stessa durante la quale si decise di spostare il prete pedofilo in un’altra diocesi, nella quale effettivamente abusò di altri minori, come mostrano le deposizioni incluse nel dossier. A quella riunione Ratzinger partecipò, sebbene non fosse a conoscenza dei precedenti criminali del sacerdote. In una prima deposizione, il Papa emerito aveva negato la sua presenza all’incontro, poi da lui stesso smentita: "Nel lavoro gigantesco di quei giorni – l’elaborazione della presa di posizione – è avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile". Il 24 gennaio scorso, il Papa emerito ammetteva l’errore, chiedendo scusa, ma dimostrando che già in passato aveva menzionato quell’incontro, quindi non avrebbe avuto motivo per mentire. Ciononostante, lo sbaglio ha innescato un tam tam mediatico sulla sua credibilità: «Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità, e addirittura per presentarmi come bugiardo» scrive senza mezzi termini amareggiato. Per la prima volta, dalle parole del Papa emerito emerge un chiaro riferimento agli attacchi nei suoi confronti.
Il primo Papa
Ratzinger è stato il primo Papa ad affrontare pubblicamente gli abusi dopo anni di silenzio. Quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha allungato i tempi di prescrizione dei reati per i preti accusati da dieci a vent’anni e ha messo al primo piano l’ascolto delle vittime: "In tutti i miei incontri, soprattutto durante i tanti Viaggi apostolici, con le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati quando la trascuriamo o non l’affrontiamo con la necessario decisione e responsabilità" ha scritto nella pubblicata l’8 febbraio. Era il marzo del 2010 quando inviò una severa lettera alla Chiesa irlandese, tra le prime ad essere travolta dagli abusi pedofili: "Il problema dell’abuso dei minori non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa. Tuttavia il compito che ora vi sta dinnanzi è quello di affrontare il problema degli abusi verificatosi all’interno della comunità cattolica irlandese e di farlo con coraggio e determinazione. Nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo. Positivi passi in avanti sono stati fatti, ma molto di più resta da fare" (Lettera ai cattolici dell’Irlanda, 29 marzo 2010). Da allora, diversi stati hanno avviato commissioni indipendenti per far chiarezza prima della stampa, come dimostra il famoso caso Spotlight del Boston Globe. Oggi, con l’emergere drammatico degli abusi in altre realtà, quello tedesco sembra l’ultimo atto di una tragedia che sembra non avere fine.