Un Natale nel segno di chi è vittima di un destino non cercato, non voluto, non avvicinato, e che ora è vittima due volte di quel destino bastardo e di chi pretende da loro un comportamento che rientri nel protocollo del dolore pubblico, senza errori, seguendo quel rigore che loro, gli accusatori, avrebbero rispettato. Ma si può seguire un protocollo quando l’anima è strappata? Succede lo stesso alle vittime di violenza cui dopo si chiede: “Ma dove eri?”, “Come eri vestita?”, “Cosa ci facevi lì?”. Per concludere con “Te la sei cercata”. Anche le vittime indirette vengono osservate nella speranza di un errore. “Un bel tacer non fu mai scritto” è un proverbio attribuito a Dante, il cui significato è: la bellezza del saper tacere al momento opportuno non è mai stata lodata a sufficienza. Ancor prima che Gino Cecchettin decidesse di andare ospite da Fabio Fazio sul Nove mezzibusti televisivi, giornalisti e opinionisti a fattura hanno offerto il loro sapere, la loro intelligenza (indubbia), la loro immagine (autorevole) per commentare la scelta di Gino, sospettato di presenzialismo (sono parole loro), del desiderio di farsi pubblicità (sono parole dei soliti hater social), senza arrivare a amene volgarità di aspiranti morti di fama in vena di diventare virali sui social (obbiettivo fortunatamente fallito). E ora siamo al delirio: da diversi giorni Gino sta ricevendo molteplici insulti su diversi social network, da Facebook a TikTok tanto che il suo avvocato, Stefano Tigani, ha già presentato querele per diffamazione. Certo quando si fa il giornalista (e i più terribili sono i maschi) non si tace, si commenta giustamente, ma c’è modo e modo e la libertà di critica di fronte a chi affronta il peggiore dei dolori deve imparare a mordersi fino a sanguinare la lingua (usata abitualmente da firme testosteroniche per lisciare le terga di chi li paga). C’è il dovere, ripeto dovere, di rispettare il dolore altrui, un dolore, nel caso di Giulia Cecchettin, uccisa da Filippo Turetta, che è diventato di tutti, perché tutti abbiamo seguito il suo caso e ci sentiamo tutti vittime per la nostra speranza tradita, perché ormai, dai racconti dei familiari, del padre, della sorella, della nonna, ci sentivamo già conoscenti, amici di Giulia e abbiamo sperato, pregato, confidato che tutto potesse finire in bene. Invece, il male, la cattiveria (che non è una malattia, che non è da confondere con l’incapacità di intendere e di volere) ha vinto ancora una volta. E abbiamo pianto Giulia con Gino, con la sorella Elena, abbiamo seguito le parole di Elena (da me, figlio del patriarcato, non condivise per niente, ma rispettate).
E ora leggere che Gino è entrato nel meccanismo della pornografia da cronaca nera dell’omicidio di sua figlia lo trovo ripugnante. Pensare che Gino vada in tv, da Fabio Fazio, poi, per narcisismo, lo stesso narcisismo frustrato che arma la mano di tanti uomini assatanati di cattiveria, è indegno. Pensare che chi sta vivendo l’inizio di un ergastolo emotivo che lo imprigionerà per tutta la vita sia attirato come una falena impazzita dalle luci della tv, dei quotidiani e, qui siamo al minimo storico, da giornalisti come me, mi fa ribrezzo. Rinfacciano a Cecchettin di aver aperto la porta della camera della figlia a Walter Veltroni (e soprattutto al Corriere della Sera che ha avuto l’esclusiva, grazie alla bravura di Veltroni per quell’articolo che mi ha fatto piangere) e ai fotografi (non mi risulta, ma di certo mi sbaglio), a Chi l’ha visto? (trasmissione immensa). Accusano Cecchettin perfino di aver reso pubblici certi messaggi (e gliene sono grato perché ci hanno aiutato a capire). Hanno tirato in ballo perfino la nonna di Giulia, perché nemmeno l’età fa grado per certi “giustizieri”. Sul mio social c’è chi mi scrive per sottolineare il fatto che Gino Cecchettin abbia scelto per il momento di lasciare il lavoro (Elena invece ha già ripreso a studiare in Germania). Io non mi laverei nemmeno, sarei stordito, inerme, passivo. A lui non si perdona la sua dignità di padre, di uomo, di chi non si vuole piegare al destino. Il fatto è che sia Gino, sia Elena (non so nulla del fratellino di Giulia, che è un minore e quindi non voglio nominare) in nome di Giulia, vittima, come loro, sperano di dare un senso a quello che è successo, come quando muore qualcuno e vuoi creare una fondazione per far continuare a vivere la sua anima. Si chiama culto dei morti e basta entrare in un cimitero per capire questo sentimento. Ma Gino e Elena parlano di vita e di “un impegno civico”. È onorevole. Ma tutto questo non basta ai leoni da tastiera. Ora c’è chi si è preso la briga di controllare anche nella “biancheria” di Gino, in vecchi post, e non riesce a trattenere un sorriso di compiacenza nel trovare parole (vere o false che siano) non appropriate per il padre di una vittima di violenza. Occhio, leoni da tastiera: il pericolo è essere ripagati con la stessa moneta. Gino pare abbia già presentato due querele per diffamazione. Seguirò con ansia quelle cronache giudiziarie e scoprire le vere personalità di quegli odiatori seriali. Concludo con una osservazione di mia moglie Betta Guerreri molto irritata da certe posizioni contro Gino: “Col cavolo che è da criticare. Ho seguito la trasmissione di Fabio Fazio: vuole dare un senso alla morte della figlia. Trovo il papà di Giulia coraggiosissimo e in Tv lo ha dimostrato e lo ringrazio, non come donna, ma come persona. Non sono d’accordo in tutto con lui, ma a Gino va il grazie di tutti”.