È scoppiato a piangere, ha ammesso di averla uccisa rilasciando spontanee dichiarazioni. Le stesse spese dinnanzi alla polizia tedesca. “Ho ammazzato la mia fidanzata”. E poi, prima di tornare in cella, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. L’interrogatorio di Filippo Turetta, programmato questa mattina nell’istituto penitenziario di Verona dove si trova detenuto, di fatto, non è mai cominciato. Zitto. Proprio come ha voluto zittire Giulia. Quel nastro adesivo acquistato online per tapparle la bocca potrebbe non essere solamente stato funzionale ad evitare che qualcuno potesse sentire le sue grida. Nella sua testa potrebbe averlo anche interpretato come un modo per ammutolirla. Per sempre. Anche idealmente. Questo per dire che le lacrime versate questa mattina in carcere di fronte al Gip di Venezia altro non rappresentano che lacrime di coccodrillo. Per non dire di peggio. Turetta, appena trasferito nel carcere, ha già avanzato tutta una serie di richieste che continuano ad evidenziare il suo disimpegno emotivo in tutta questa terribile vicenda. “Potrò studiare?”.
In sostanza, si preoccupa solamente di capire se gli verrà riconosciuta la possibilità di leggere così come di prendere ansiolitici per dormire. Anche per tali ragioni, e per questi comportamenti, i suoi pianti non hanno a che fare con il rimorso o con il pentimento. Ma con una sola presa di coscienza: il tempo che dovrà trascorrere dietro le sbarre. Filippo Turetta è perfettamente consapevole che lo aspettano anni di reclusione. Per questo sta cominciando ad organizzare la sua vita da detenuto. Secondo quanto è emerso, nei giorni appena trascorsi, sarebbe apparso tranquillo, avrebbe mangiato e chiesto di poter incontrare i suoi genitori. Un comportamento rassegnato di chi sapeva benissimo cosa volesse: uccidere Giulia. E lo voleva a qualunque prezzo. Anche a quello di trascorrere gli anni più belli della sua vita all’interno di un penitenziario. Perché ciò che davvero gli importava era cancellare chi aveva osato oscurarlo. Aveva provato in tutti i modi a riprendere il controllo su quella ex. Dunque, non essendoci riuscito con l’uso spietato dalla violenza psicologica che esercitava nei suoi confronti con le minacce di uccidersi, ha deciso che era lei a dover morire. In Germania, dopo essere stato fermato dalla polizia stradale una decina di giorni fa, aveva detto: “Ho ucciso la mia fidanzata”. Dove quell’aggettivo incarna alla perfezione il movente.
Turetta, dopo aver ucciso Giulia, è convinto di aver ripristinato il totale dominio su di lei. Giulia doveva essere sua. Meglio morta, che di qualcun altro. Meglio morta, che un passo avanti a lui. Anche al prezzo di sacrificare la libertà. Filippo Turetta aveva chiaro come avrebbe dovuto agire. Aveva con sé denaro contante per imbastire una fuga poi durata 1000 km. Eppure, la sera in cui ha ucciso Giulia, ha lasciato che fosse lei a pagare la cena. La sua ultima cena. Giulia non poteva certamente avere l’attrezzattura emotiva per comprendere di essere finita in una relazione non solo tossica. Ma anche potenzialmente distruttiva. Lei, che è stata condannata ad un ergastolo senza appelli. E lui che dal carcere chiede di poter vedere i genitori, di studiare. Insomma, rivendica la possibilità di andare avanti nella sua vita. Certo, con modalità del tutto diverse da quelle di un ragazzo con la sua età, ma sicuramente preventivate quando ha maturato la decisione di eliminare Giulia. Che, visto l’epilogo, non avrà nessuna chance di proseguire nel cammino chiamato vita. Lei che aveva ventidue anni e aveva solo voglia di vivere.