Passeggiando per le vie di Roma sembra quasi di essere tornati indietro nel tempo, a quel giugno del 1983 quando Emanuela Orlandi, una quindicenne cittadina Vaticana, scomparve nel nulla. Oggi, a quarant’anni di distanza, il suo volto è tornato a tappezzare la città, quasi azzerando ogni distanza temporale. Manifesti che arrivano in concomitanza con l’uscita su Netflix della serie “Vatican Girl”, il documentario in quattro puntate sul mistero della sua scomparsa. Noi di MOW siamo andati nelle strade che Emanuela percorreva ogni giorno per chiedere ai passanti, commercianti e residenti cosa pensassero dell’esposizione dei cartelli con il suo volto per tutta Roma. Un gesto esagerato, comprensibile o di cattivo gusto? Confidavamo, sbagliando, di imbatterci in persone meno reticenti. Eppure, il nome di Emanuela Orlandi per le vie della città del Vaticano fa ancora paura, come se fosse scomparsa ieri. Un timore di esprimersi che non si tenta nemmeno un po' di celare, perché di Emanuela non si vuole e non si può parlare. Del resto anche il fratello, Pietro Orlandi, che abbiamo intervistato, ci ha confermato come il nome di Emanuela in certi ambienti rappresenti rancora un tabù.
Siamo stati in zona Vaticano a chiedere alle perone cosa pensassero della serie su Emanuela, ma nessuno ha voluto risponderci. Come se lo spiega?
Dopo quasi quarant’anni è assurdo, neanche si stesse chiedendo di parlare di un criminale. Un po' mi stupisce che i negozianti o passanti abbiamo ancora paura a esprimere un loro pensiero. Una persona che si comporta in questo modo fa pensare che sappia qualcosa che non voglia dire. Molti commercianti, comunque, da quelle parti pagano l’affitto al Vaticano.
A le è mai capitato?
No, fortunatamente trovo molta solidarietà, mi fermano tranquillamente per strada. Non ho mai riscontrato da persone comuni atteggiamenti di paura. Comportamenti simili li ho riscontrati in Vaticano, quando saluto qualche prete che invece cerca di allontanarsi per paura che possa essere visto mentre parla con me.
Abbiamo fermato anche un prete che però più che restare in silenzio ha preferito mandarci a quel paese.
Appena nominato Emanuela? Ma veramente? E poi cosa pretendono, è ovvio che da parte dell’opinione pubblica aumentano i dubbi, ed è questo che vorrei far capire anche al Papa. Si ostinano a dire che non sanno niente, ma se poi rimangono in questo silenzio sembra per forza che vogliano nascondere qualcosa. Una persona pulita non avrebbe nessun tipo di problema a parlare. Quando nel 1997 è stata chiusa l’inchiesta il presidente del governatorato, un cardinale, in Vaticano mi tirò il giornale addosso con una mia intervista dicendomi ‘adesso basta con questa storia di tua sorella’. Emanuela sarà sempre una macchia nera sul Vaticano. Se Papa Francesco si vuole riabilitare dovrebbe dire quello che sa, per quanto brutto possa essere. I fedeli lo perdonerebbero, in qualche modo si ripartirebbe da zero.
Roma è tappezzata dai manifesti con il volto di Emanuela, sembra quasi di fare un tuffo nel 1983.
In molti hanno criticato la questione dei manifesti, a me invece hanno fatto molto piacere. Ovviamente ci è stata chiesta l’autorizzazione, dicendoci che nel giorno dell’uscita della serie avevano intenzione di mettere in piedi questa iniziativa. Per me non c’è assolutamente niente di male, anche perché nel mio immaginario Emanuela continua ad avere quindici anni. In tutto questo tempo ho sempre continuato a vedere in strada i cartelloni anche se in realtà non c’erano. È come se una parte di me sia rimasta a quel 1983 quando andai in giro ad attaccarli, e rivederli mi ha riportato indietro a quei giorni.
Emanuela è rimasta nella memoria della gente, in parte, anche grazie a questi cartelloni.
Si, e tante persone ora si sono avvicinate a questa vicenda anche se non erano neanche nate all’epoca. Rivederli in strada ha fatto un po' capire quello che poteva essere allora. All’epoca colpì molto come cosa, perché non era normale che una persona scomparisse e che Roma si riempisse di manifesti, rimase impresso nell’immaginario collettivo. Se dopo quarant’anni ancora si ricordano di Emanuela è anche grazie alla foto di lei con la fascetta. Hanno messo anche un maxischermo a piazza della Repubblica, però sarebbe stato meglio in via della Conciliazione davanti al Vaticano.
Cosa pensa della serie?
È una cosa positiva, l’importante è che si parli di Emanuela e che si tenga l’attenzione alta sulla storia per fare in modo che non venga dimenticata. È stata distribuita in contemporanea in 60 paesi fuori dall’Italia, e tantissime persone in più sono venute a conoscenza della vicenda. Un racconto cronologico che si sofferma sui fatti più importanti, non sono voluti entrare troppo nei particolari, visto che in molti paesi non avevano mai sentito parlare di Emanuela. Dal punto di vista tecnico è fatta molto bene. Non pensavo che potesse destare tuto questo scalpore, me ne sto accorgendo dai messaggi che mi arrivano. Persone super fedeli che si sono ricredute, sia sulla chiesa in generale che su Papa Giovanni Paolo II. Nell’ambiente del Vaticano sicuramente non l’hanno presa bene, visto che dopo quarant’anni l’attenzione è aumentata invece che diminuire.
E adesso qual è il prossimo passo?
L’ho sempre detto, il mio obiettivo è quello di cercarla, viva o morta che sia. Io devo assolutamente arrivare in qualche modo a mia sorella. Se arriverò, perché ci arriverò a capire quello che è successo, e se fino a quel momento chi ha avuto responsabilità, o era a conoscenza di fatti su cui ha mantenuto il silenzio senza aiutarci finirà male. Butteranno le chiavi di quel posto, non meritano niente.
Le indagini si stanno muovendo?
Ogni tanto arrivano dei segnali dal Vaticano, il promotore di giustizia ha chiesto il mio numero di telefono. Io vorrei provare a parlare con Lo Voi, il nuovo capo della procura di Roma, per vedere che tipo di atteggiamento e pensiero ha. Bisogna vedere se c’è la volontà da parte della procura e dei magistrati di indagare, il coraggio di puntare il dito verso certi ambienti e non tutti lo hanno. Non si può restare sospesi nel dubbio in eterno.