Chiara Poggi, laureata in economia e commercio, era una giovane donna di soli 26 anni, quando la sua vita venne brutalmente interrotta nella villetta di famiglia a Garlasco, in provincia di Pavia. La mattina del 13 agosto del 2007 fu colpita a morte con un oggetto contundente mai identificato, forse un martello. Chiara quella domenica era sola in casa: i genitori, insieme al fratello Marco, erano andati in vacanza in montagna. Ciò che pare certo è che Chiara Poggi conoscesse il suo assassino, a cui aprì lei stessa la porta mentre indossava ancora il pigiama, dato che non vennero mai riscontrati segni di effrazione all'interno dell'abitazione, e il medico legale non trovò segni di difesa, a dimostrazione che si fidasse della persona che aveva davanti. Assassino che per gli inquirenti che hanno lavorato al caso ha sempre avuto un solo volto, quello di Alberto Stasi, fidanzato di Chiara, di due anni più grande di lei e studente alla Bocconi di Milano. Inizialmente la famiglia Poggi difese il compagno della figlia, reputandolo un bravo ragazzo, ma nel tempo su di lui emersero informazioni compromettenti o comunque controverse, come il materiale pedopornografico trovato nel suo computer. Il movente dell’omicidio è tuttora ignoto, come non c'è mai stata traccia dell’arma utilizzata per uccidere Chiara.
Fu lo stesso Stasi a ritrovare il corpo della ragazza riverso in una pozza di sangue e dare poi l’allarme, ma la sua posizione apparve fin da subito nebulosa e sospetta. Difatti le indagini si concentrarono su di lui per via di alcuni elementi discordanti: le scarpe che indossava il giorno della morte di Chiara non erano sporche, come se dopo aver camminato sul pavimento cosparso ovunque di sangue le avesse pulite o cambiate, visto che perlomeno un minimo avrebbero dovuto macchiarsi. Oltretutto il sangue era assente anche sui vestiti. Da considerare poi le diverse incongruenze nel suo racconto, o comunque l’eccessiva calma dimostrata durante gli interrogatori, e l'incapacità di tradire emozioni anche quando chiamò i soccorsi con tono freddo e distaccato: "Credo che abbiano ucciso una persona, ma non ne sono sicuro… forse è viva. C’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra". La 'persona' in questione era la sua fidanzata Chiara, un volto più che conosciuto, che scelse di non soccorrere nonostante in quel momento potesse essere ancora viva, ma decise di precipitarsi dai carabinieri pulito di tutto punto. Successivamente si ipotizzò che prima di recarsi in caserma si fosse cambiato, un comportamento che contribuì a renderlo l'unico sospettato. Del resto, può un uomo sconvolto dalla vista della fidanzata morta scappare via facendo attenzione a dove mette i piedi? Inoltre, a differenza di quanto detto da Stasi agli operatori del 118, il corpo di Chiara non era sdraiato a terra, ma riverso dulle scale che conducevano alla cantina. Alberto Stasi, che si è sempre proclamato innocente affermando di andare a dormire con la coscienza pulita tutte le sere, fu assolto dall’accusa di omicidio sia in primo che in secondo grado di giudizio per non aver commesso il fatto e per mancanza di prove.
Finché, nel 2013, la Corte di Cassazione annullò la sentenza di assoluzione, ordinando l’esame di reperti mai analizzati come il capello castano chiaro trovato nel palmo della mano sinistra di Chiara, le sue unghie e la camminata di Stasi sulla scena del crimine, per capire se fosse realmente possibile per lui non macchiarsi le scarpe di sangue. Su questo venne eseguito un esperimento, che dimostrò l'impossibilità per l'imputato di non calpestare il sangue della ragazza. La Cassazione dispose l'apertura del processo d’appello bis, che partì dalla bicicletta nera da donna, in possesso della famiglia di Alberto, che alcuni testimoni avevano visto, compatibilmente nell'orario in cui Chiara morì, appoggiata al muretto della villa dei Poggi. La bici fu uno dei punti fondamentali su cui accusa, parte civile e difesa si diedero battaglia in aula, visto che sui pedali, cambiati dopo l'omicidio per paura che venissero analizzati, furono riscontrate tracce di sangue riconducibili a Chiara. Circostaza emersa solo diversi anni dopo, dal momento che inizialmente era stata sequestrata la bicicletta sbagliata, svista per cui l'ex maresciallo che indagava al caso finì a processo per falsa testimonianza. L'ipotesi degli inquirenti è che Alberto sia andato a casa di Chiara in bici, e che dopo averla uccisa sia tornato poi sul luogo del delitto in macchina per inscenare il finto ritrovamento del corpo. Nel 2015 il processo si chiuse con la condanna in via definitiva a 16 anni di reclusione per omicidio colposo per Stasi, che sta scontando nel carcere milanese di Bollate, dove lavora come centralinista. L’accusa aveva chiesto 30 anni, tuttavia i giudici non hanno riconosciuto al ragazzo l’aggravante della crudeltà, dandogli una pena inferiore. Alberto Stasi, inoltre, è stato condannato a risarcire con un milione di euro la famiglia Poggi, ma avendo rinunciato all'eredità paterna risulta essere nullatenente. Il delitto di Garlasco appartiene a una macabra pagina della cronaca nera italiana, che da anni non smette di interessare per via dei numerosi punti oscuri su cui non si è ancora fatta luce.
Dopo un lungo silenzio, Alberto Stasi torna a parlare, in televisione, con le Iene che si occupano nuovamente del caso come avevano già fatto in altre occasioni.