Le tracce di Serena Mollicone si persero il 1 giugno del 2001, quando scomparve apparentemente nel nulla ad Arce, comune della provincia di Frosinone. La ragazza, che frequentava l’ultimo anno delle scuole superiori e si apprestava a sostenere l’esame di maturità, quel giorno si recò in ospedale per sottoporsi a un’ortopanoramica. Dopo la visita medica forse prese un autobus diretto ad Arce, dove nella piazzetta del paese fu avvistata per l’ultima volta. Non vedendola rientrare a casa suo padre, Guglielmo Mollicone, ne denunciò la scomparsa ai carabinieri, proprio nel luogo dove in seguito si sarebbero concentrati i sospetti. Dopo due giorni di silenzio e di ricerche, il 3 giugno il cadavere di Serena fu trovato da una squadra di volontari della Protezione Civile nel boschetto di Fonte Cupa, distante a 8 km da Arce, in una zona che il giorno precedente era già stata ispezionata dai carabinieri ma senza alcun risultato. Il corpo di Serena, adagiato in posizione supina e coperto con rami e fogliame, fu rinvenuto nascosto dietro un contenitore metallico di grandi dimensioni. La testa, avvolta in un sacchetto di plastica del supermercato, presentava il segno di una vistosa ferita vicino all'occhio sinistro, mentre mani e piedi erano legati con scotch e fil di ferro. La causa della morte fu attribuita a un'asfissia meccanica, per via di naso e bocca avvolti da più giri di nastro adesivo. Da quel momento la famiglia di Serena non ha mai smesso di lottare a testa alta per giungere alla verità, anche quando il padre finì nella rosa dei sospettati, e fu addirittura prelevato dagli inquirenti durante il funerale della figlia per essere portato in caserma. Nonostante un primo processo al carrozziere Carmine Belli, che fin da subito si dichiarò estraneo ai fatti, questo si concluse con la sua completa assoluzione nel 2006. Le indagini, quattro anni più tardi, subirono una scossa. Nel 2008 Santino Tuzi, carabiniere di Arce, fu trovato senza vita nella propria auto in circostanze anomale, dopo aver dichiarato agli inquirenti che quell'1 giugno del 2001 aveva visto una ragazza corrispondente alla descrizione di Serena entrare in caserma ma senza poi uscirne. Nonostante le proteste della figlia, la sua morte fu subito archiviata come suicidio.
Nel 2011 nel registro degli indagati furono iscritti l’ex maresciallo Franco Mottola (all’epoca del delitto comandante della stazione di Arce), sua moglie Annamaria e il figlio della coppia Marco, con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Il movente, attribuito a Marco Mottola, in base a quanto riportato dall'accusa era la paura che Serena Mollicone potesse denunciarlo per spaccio, come era nelle intenzioni della ragazza che più volte ne aveva discusso anche con suo padre. La richiesta di archiviazione, presentata dalla famiglia Mottola, fu respinta dal Gip di Cassino, che invece chiese la riesumazione del corpo di Serena per poter effettuare altri esami. La nuova autopsia, condotta nel 2016 dal medico legale Cristina Cattaneo, produsse una perizia di ben 250 pagine. Contestualmente Guglielmo Mollicone chiese che venissero effettuati appositi rilievi nella caserma di Arce, dove molto probabilmente era stato nascosto il cadavere di Serena prima che venisse occultato, e denunciò la scomparsa degli organi genitali della figlia, forse nascosti per insabbiare prove compromettenti. Gli accertamenti, condotti dai Ris, confermarono che la caserma fu il teatro dell’omicidio di Serena, e che l’arma del delitto era una porta. Le indagini si conclusero nel 2019, con il rinvio a giudizio di ben 5 persone di cui tre carabinieri. Si aggiunsero alla lista Vincenzo Quatrale, imputato per concorso in omicidio e per istigazione al suicidio di Tuzi, e il carabiniere Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. Guglielmo Mollicone, venuto a mancare nel maggio del 2020 a causa di un infarto, non ha potuto prendere parte al processo, iniziato lo scorso gennaio, contro i presunti assassini di sua figlia. In aula si è tentato di ricostruire la dinamica dell’uccisione di Serena, che non sarebbe morta sul colpo ma dopo ben 5 ore di agonia. La pm Carmen Fusco nel corso della requisitoria ha accusato tutta la famiglia Mottola: “Serena se immediatamente soccorsa si sarebbe salvata ma muore per effetto di una condotta attiva, perché i Mottola tutti presenti e tutti concordi sul da farsi, davanti a una ragazza svenuta ma viva, le ostruiscono le vie aree e le chiudono il capo con un sacchetto di plastica e con il nastro adesivo”. Il trauma riportato da Serena non sarebbe stato quindi letale. La pm ha anche spiegato il movente che si cela dietro la morte della giovane: “Serena quel giorno si era recata dal dentista a Sora e poi salì a bordo dell’auto di Mottola per un passaggio. Con lui si fermò davanti ad un bar dove fu vista litigare con il giovane. La ragazza andò, quindi, in caserma per recuperare dei libri che aveva lasciato in auto e lì venne aggredita. La notte tra il primo e il due giugno di 21 anni fa Franco e Anna Maria Mottola portano il corpo di Serena nel bosco di Fonte Cupa, un elemento confermato anche dall’analisi dei tabulati telefonici e dal racconto di un testimone”. L’accusa ha chiesto una reclusione di 30 anni per Franco Mottola, per Marco Mottola 24 anni, per Anna Maria Mottola 21 anni, per Quatrale 15 anni e per il carabiniere Francesco Suprano una condanna a 4 anni per favoreggiamento. La pm si è pronunciata anche sulla posizione di Santino Tuzi: “Se Santino non si fosse suicidato, visto che nessuno confermava le sue dichiarazioni, sarebbe andato a giudizio per l’omicidio come è accaduto a Carmine Belli. Vorrei riabilitare l’immagine di Santino, è stato l’unico che ha rotto il muro del silenzio e ha pagato con la vita le sue dichiarazioni”. Il processo in Corte d'Assise si è concluso con una sentenza che ha provocato l'indignazione generale dei presenti. Tutti gli imputati sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Fuori dall’aula la famiglia Mottola è stata accerchiata da una folla inferocita che li ha insultati a più riprese: "Vergogna, assassini!". Dal canto loro i Mottola hanno ostentato una certa soddisfazione: "Oggi è uscita fuori la verità, lo abbiamo sempre detto che eravamo innocenti". Per la famiglia di Serena l'ennesimo brutto colpo da digerire: "La giustizia non esiste. La verità è diversa, andiamo avanti". La Procura è ora in attesa che vengano depositate le motivazioni della sentenza, ma fin da ora si è detta pronta a presentare ricorso. La posizione della famiglia Mottola non può non richiamare alla mente quella dei Ciontoli, condannati in via definitiva dalla Cassazione per concorso nell’omicidio di Marco Vannini, lasciato morire da chi diceva di amarlo. Proprio come loro chiamando i soccorsi secondo l'accusa i Mottola avrebbero potuto salvare Serena, ma avrebbero scelto di comportarsi diversamente, arrogandosi il diritto di decidere che la sua giovane vita non meritava di continuare. Le avrebbero chiuso (definitivamente) la bocca, rendendosi tutti colpevoli sul piano sia morale che materiale. Presenti in aula anche i genitori di Marco Vannini: "Doveroso essere qui. Come nostro figlio, anche i Mollicone e i Tuzi meritano giustizia".