La morte di Gianmarco Pozzi, a lungo classificata come 'suicidio', nonostante i numerosi dubbi emersi fin da subito, potrebbe essere vicino a una svolta. La famiglia, del resto, ha sempre cercato di ottenere chiarimenti, verità e soprattutto giustizia, non credendo mai nemmeno per un istante alla storia del suicidio. C’è ancora un velo di mistero sulle circostanze della scomparsa del ventottenne, anche se continuano a emergere testimoni, dati e nuove prove raccolte delle autorità che si spera diano una smossa alle indagini. La motivazione che si cela dietro l’omicidio, o il presunto suicidio, sembrerebbe non essere riconducibile con il suo passato. L’unico appiglio, forse, potrebbe riguardare il lavoro di Gianmarco e in modo particolare la sua capacità di combattere, difatti era un campione di kickboxing. Disciplina, questa, che combina le tecniche di calcio tipiche delle arti marziali orientali ai colpi di pugno propri del pugilato. Quindi, le sue capacità di combattere e di difendersi potrebbero giustificare la presenza di alcuni segni riscontrati sul suo corpo, ma che inizialmente non furono presi in considerazione.
Il corpo di Gianmarco fu ritrovato dietro una casa dell’isola di Ponza, dove nei mesi estivi lavorava come buttafuori in un locale, il 9 agosto del 2020. Le forze dell’ordine, giunte sul posto, classificarono la sua morte come una ‘caduta accidentale’: il ragazzo sarebbe scivolato dopo aver corso in preda ad allucinazioni provocate dall'assunzione di cocaina, di cui sembrerebbe fosse solito fare uso, perdendo la vita in seguito a una rovinosa caduta di ben tre metri. In seguito si parlò di ‘suicidio’ e, infine, di ‘omicidio’ e, se così fosse, l’assassino sarebbe ancora in libertà. La famiglia Pozzi, con l’aiuto dell’avvocato Fabrizio Gallo, ha fin da subito chiesto di far chiarezza sulle circostanze legate alla morte di Gianmarco, nonostante mancassero i presupposti per poter svolgere un’indagine pulita. Infatti, gli agenti, dopo aver rimosso velocemente il cadavere del ragazzo, dissero al proprietario dello stabile di pulire il luogo del ritrovamento. E ancora, spiega l’avvocato: “Non c’è traccia degli indumenti e di altri effetti personali che Gianmarco indossava. Non sono stati riconsegnati alla famiglia, non erano nella valigia che i parenti hanno riportato a Roma”. Non solo, la perizia eseguita sul corpo successivamente è stata definita ‘inadeguata’, dal momento che mancavano dati importanti come la temperatura del corpo di Gianmarco. Sul referto dell’autopsia, voluta dalla famiglia, si legge: “Fratture delle costole e di una clavicola. Una profonda lesione alla testa, un edema polmonare. Una raffica di colpi, forse inferti anche con un oggetto, che non hanno lasciato scampo a Gianmarco Pozzi, prima di essere gettato nell’intercapedine fra due abitazioni a ridosso di un vigneto a Santa Maria, a Ponza [...]”. Un genere di lesioni, quindi, difficilmente compatibili con una caduta libera, e che rendono l’archiviazione del caso sulla sua morte come suicidio incomprensibile. La famiglia porta avanti la teoria della caduta a ‘peso morto’, in grado di rispondere perfettamente con le ferite riportate sul corpo di Gianmarco Pozzi.
A un anno e mezzo di distanza si arriva finalmente a una svolta, quando i Ris (Reparto investigazioni scientifiche) arrivano sull’isola di Ponza per eseguire un ulteriore controllo, quando l’incompatibilità con l’ipotesi del suicidio inizia ad essere confermato anche da altri. Non solo il medico legale incaricato dalla famiglia, ma anche dall’operatore del 118 che la mattina del 9 agosto ricorda chiaramente di aver visto diverse spine (mai menzionate nel referto) sulla schiena del ventottenne. L’avvocato della famiglia ha poi fatto riferimento a un supertestimone. Sembrerebbe, infatti, che sempre quella mattina una donna, mentre era intenta a stendere i panni, abbia visto delle persone trasportare una carriola dalla quale sbucavano dei piedi. Poi, nel maggio scorso, i Carabinieri di Formia hanno proceduto con l’arresto di otto persone, accusate di narcotraffico tra Roma, Ponza e Napoli. I nomi di questi spacciatori sono emersi nel corso delle indagini sulla morte di Gianmarco, alla quale potrebbero essere in qualche modo collegati. Da stabilire, quindi, quanto il ragazzo fosse coinvolto all’interno del traffico di cocaina tra la Capitale e l’isola. In merito agli errori commessi durante l’indagine dalle forze dell’ordine, l'avvocato ha ricordato che non si tratta del primo caso gestito in tal modo, facendo riferimento all’omicidio di Arce e a quello di Stefano Cucchi.