C’è una frase che, di tanto in tanto, riecheggia quando si parla di Gianni Agnelli e dei rapporti suoi e della Fiat con il Palazzo. “Noi siamo filogovernativi e istituzionali per definizione” è il pensiero che gli viene attribuito e quasi sempre virgolettato. Che la dichiarazione sia reale o apocrifa, è vera nella sua sostanza, una sostanza che rimanda alla relazione molto stretta e decisamente peculiare tra l’Italia e una delle principali famiglie del capitalismo nostrano, certamente la più celebre e chiacchierata, quella che proprio l’Avvocato ha rappresentato nel modo più significativo. A vent’anni dalla morte, avvenuta il 24 gennaio 2003, Gianni Agnelli è una figura che appartiene ai libri di storia di questo Paese come industriale e come icona pop (lo ritrasse anche Andy Warhol), come padre-padrone di due passioni dell’Italia nazionalpopolare come Juventus (“l’amore di una vita intera, motivo di gioia e orgoglio, ma anche di delusione e frustrazione, comunque emozioni forti, come può dare una vera e infinita storia d’amore”) e Ferrari (“non tutti gli italiani tifano per la Nazionale, ma tutti gli italiani e il cinquanta per cento dei non italiani tifano Ferrari”), come emblema di un certo dandismo e re del gossip. Ma è stato soprattutto un uomo di potere del quale, di lui come della Fiat (“la mia vita coincide per tre quarti con quella della Fiat, e il mio rapporto con la Fiat è per metà di memoria e per metà di vissuto”), si tende a glissare sulle magagne.
“Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno, devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione”, disse. Chi era il nonno? Giovanni Agnelli, classe 1866, co-fondatore della Fiat, primo presidente dell’IFI, senatore del Regno d’Italia nominato nel 1923 dal Partito Nazionale Fascista perché facente parte di una ristretta cerchia di persone che da almeno tre anni pagavano tremila lire d’imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria, come si legge nella sua scheda. Imprenditore e politico, capostipite di una dinasty familiare, e del resto non è un caso che diversi membri della famiglia Agnelli si siano trovati a sedere sugli scranni del Parlamento, tanto durante la monarchia quanto nel periodo repubblicano, per elezione o per nomina, Avvocato compreso.
Sebbene non sia stato il suo ruolo principale, come ricordato anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Gianni Agnelli fu nominato senatore a vita l’1 giugno del 1991 dall’allora Capo dello Stato Francesco Cossiga il quale, oltre all’Avvocato, nominò contestualmente anche Giulio Andreotti, Francesco De Martino e Paolo Emilio Taviani, dopo avere fatto lo stesso un mese prima con Giovanni Spadolini. Si trattava della X legislatura repubblicana e Agnelli sarebbe rimasto in carica sino alla morte, il 24 gennaio 2003, attraversando anche XI, XII, XIII e XIV legislatura, facendo parte di numerose commissioni parlamentari. Della sua attività di senatore a vita restano due voti di fiducia che fecero scalpore. Il primo soprattutto:era il 1994 e il suo voto, assieme a quelli dei colleghi Leone e Cossiga (entrambi allora senatori a vita di diritto, essendo stati in precedenza presidenti della Repubblica), fu decisivo per la nascita del primo governo Berlusconi, scardinando così la consuetudine che voleva i senatori a vita astenersi sulle questioni di fiducia. Nel 1998, quando ormai il precedente si era creato, l’Avvocato votò la fiducia al governo D’Alema. Gli piaceva la politica? Tutt’altro. “Io non ho nessuna passione per la politica e per i politici, ma riconosco che è un’attività necessaria”.
Al momento della nomina, Gianni Agnelli in Senato trovò anche la sorella Susanna, politica di lungo corso e parlamentare dal 1976 al 1992, prima come deputata eletta alla Camera nelle liste del Partito Repubblicano (VII e VIII legislatura), quindi come senatrice (IX e X). Fu anche parlamentare europea e tra i vari incarichi ricoperti spicca quello di ministro degli Esteri dal 17 gennaio 1995 al 18 maggio 1996, nel governo Dini. Fu la prima donna alla Farnesina e sarebbe rimasta l’unica sino a quando, nel 2013, toccò a Emma Bonino (e,in seguito, a Federica Mogherini). Renato Schifani, presidente del Senato quando giunse la notizia della sua morte, nel 2009, ne ricordò il lavoro nel corso di una seduta a Palazzo Madama spiegando che la sua sua esperienza ministeriale “fu allora il principale snodo di uno sforzo di un intero Paese che (...) ha saputo evitare che si giungesse ad una riforma delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza ingiustamente penalizzante per il ruolo internazionale dell’Italia”.
Mentre Susanna era alla Camera, sempre nelle politiche del 1976 al Senato fu eletto, nelle liste della DC, l’altro suo fratello, Umberto, che sarebbe rimasto a Palazzo Madama sino al 1979, senza poi più ricandidarsi anche a causa di “una certa dose di delusione” per la politica e viene ricordato più che altro per essere stato in quel periodo, con Beniamino Andreatta, tra i fondatori dell’AREL (Agenzia di ricerche e legislazione). Sin qui gli Agnelli in Parlamento, ma la famiglia ha anche una solida tradizione di sindaci. Il primo fu Edoardo, classe 1831, padre di Giovanni, e sindaco di Villar Perosa dal 1865, quindi proprio Susanna per un decennio, tra il 1974 e il 1984, lo fu del comune di Monte Argentario, in provincia di Grosseto. Prima di lei, tuttavia, la sorella Maria Sole, nata nel 1925 e ancora in vita, divenne sindaco (di “sindaca”, ai tempi, non parlava nessuno) di Campello sul Clitunno, in provincia di Perugia. Accadde nel 1960, quando succedette al marito Ranieri di Campello, di cui era rimasta vedova. Sarebbe rimasta in carica sino al 1970.