Sull’onda lunga della memoria dei vent’anni dalla morte di Gianni Agnelli, c’è un’intervista che ne richiama, unendoli in un legame intricato e indissolubile, il lato imprenditoriale e quello pop, finanza e mondanità, capace di tenere assieme Henry Kissinger e Giovanni Malagò, Cesare Romiti e Madonna, Anita Ekberg ed Enrico Cuccia. L’ha pubblicata il Corriere della Sera, ed è un lungo colloquio tra Aldo Cazzullo e Jas Gawronski, 77 anni il prossimo 7 febbraio, europarlamentare attualmente in carica, già giornalista e amico fidato dell’Avvocato, per oltre quarant’anni uno dei suoi confidenti e, per questo, tra i pochi ad averlo conosciuto al di là della sua immagine pubblica.
Politica, imprenditoria, donne e motori, nelle risposte con cui Gawronski svela a Cazzullo un Agnelli magari non inedito, ma senz’altro coerente con l’idea che si ha sempre avuto di lui e del suo innato dandismo, anche perché l’intervista racconta in qualche modo una pagina di costume novecentesco, essendone stato l’Avvocato un protagonista. E allora ecco il lato glamour, dalle donne più belle del mondo che ebbe e delle quali Gawronski esclude si sia mai innamorato, anche se “certo dimenticare Anita Ekberg non era facile”, all’unica che lo coinvolse davvero (chi “non lo dirò mai, ma non era un’attrice”), dalla contesa di un Basquiat con Madonna ai rapporti con Montezemolo, “il figlio che l’Avvocato avrebbe voluto” e con il sodale Malagò, che dopo venti minuti già gli dava del tu. C’è poi la politica, con i leader di riferimento La Malfa e Spadolini e la fascinazione per Pannella (“volle conoscerlo, in lui non vedeva l’esibizionismo, ma la buona fede”), la stima per i comunisti, Lama su tutti, la relazione con lo storico segretario di Stato americano durante le presidenze di Nixon e Ford (“era Kissinger a cercarlo per chiedergli consiglio, non viceversa”) e l’invito a cena a Fidel Castro, al cui tavolo era presente lo stesso Gawronski.
Tutt’altro che marginali anche le annotazioni su una saga familiare di tragedie, cooptazioni, ripicche. C’è la morte del figlio Edoardo, alla cui notizia l’Avvocato “non pianse, ma era disperato e, nello stesso tempo, si sentiva come liberato da un peso”, il rapporto con il fratello Umberto (“lo amava e lo proteggeva”), l’investitura del di lui figlio Giovannino (a causa della quale Edoardo “soffrì moltissimo”) e quindi, dopo la sua morte, quella del nipote John Elkann (“lo scelse e lo formò”); ma c’è spazio anche per la figlia Margherita e la contesa sull’eredità (“dovrebbe capire che la Fiat non era una multiproprietà che poteva essere frazionata tra otto figli”). Appunto parlando di Fiat spuntano Romiti (“lo divertiva la sua franchezza al limite del cinismo”) e Cuccia, per l’europarlamentare “l’unica persona a cui Agnelli riconoscesse una supremazia”.
Ma è in una domanda di Cazzullo, apparentemente slegata dal resto, una delle chiavi di lettura sul modo in cui Gianni Agnelli è stato riverito in vita e viene santificato a vent’anni dalla morte. “Non è grave che abbia portato fondi all’estero?”, chiede il giornalista del Corriere della Sera. Nella risposta di Gawronski c’è uno spaccato di questo Paese: “È un caso legale ancora da chiarire. Certo, in America una storia così distruggerebbe la reputazione. In Italia siamo più indulgenti”.