Il 24 gennaio sono passati vent’anni dalla morte di Gianni Agnelli, nato il 12 marzo 1921. Sindaco di Villar Perosa, ufficiale del Regio Esercito, secondo di sette figli, senatore a vita e, ovviamente, vertice della FIAT. Il modo migliore per ricordarlo? Forse con le parole di chi lo amava. Un nipote, su tutti, ha raccontato il nonno in una recente intervista curata da Walter Veltroni su Oggi. Lui, Lapo Elkan, il figlio maledetto della grande famiglia Agnelli-Elkan, si apre e parla di nonno Gianni, John, zio Edoardo e Giovannino, alcuni dei grandi nomi che hanno attraversato la storia aziendale italiana, tra miracoli economici e lutti familiari. Ma il nonno era un re, come molti lo dipingono? Per Lapo Elkan no. Piuttosto, un difensore degli interessi nazionali: «È stato un magnifico ambasciatore del nostro Paese nel mondo. Ha difeso il tricolore ovunque da tutti gli attacchi… Gianni Agnelli ha sempre protetto l’azienda nazionale, non solo la Fiat. Se non fosse stato per lui, la Ferrari sarebbe finita a Henry Ford e Alfa Romeo, Autobianchi e Lancia avrebbero avuto proprietà straniere. Mio nonno amava la sua patria e la difendeva da chiunque». A proposito di Ferrari, Lapo ricorda le passioni del nonno: «Il suo pilota preferito era quello che vinceva. Credo abbia per questo molto amato Michael Schumacher. Poi gli piaceva Gilles Villeneuve, il suo modo di guidare. E Ayrton Senna, che se non fosse morto in modo così tragico, l’anno dopo sarebbe venuto in Ferrari».
I grandi successi e l’immancabile motivazione hanno caratterizzato la parabola costellata di successi di Gianni Agnelli. E la memoria si rivela a doppio taglio per chi, come Lapo, ha vissuto gli ultimi giorni del nonno tra pene e notizie nefaste per l’impero di cui si era sempre occupato. «Per questo ancora oggi, dopo vent’anni, mi provoca dolore ripensare alla sua sofferenza degli ultimi giorni». Un dolore non solo fisico, per quel tumore alla prostata che lo uccise a 81 anni, ma anche per la situazione di crisi che la FIAT stava attraversando nel 2003. «Lui aveva ereditato l’azienda dalla sua famiglia, l’aveva fatta crescere e proiettata su scala internazionale ma in quel tempo, l’ultimo della sua vita, il destino della Fiat era in pericolo».
Ma dopo la tempesta, torna il sereno grazie al fratello di Lapo, nominato vicepresidente a soli 28 anni, John Elkan. Per lui non può che spendere belle parole: «Ha decuplicato il valore del nostro gruppo lavorando con saggezza ed equilibrio. La storia della Fiat continua con lui e grazie a lui». L’elogio non è puramente professionale. Il rapporto tra Lapo e i suoi fratelli porta anche il segno di Gianni, che gli chiese in punto di morte di non separarsi mai da John e Ginevra. «Le sue ultime parole? Le ricordo con emozione: “Tu, tuo fratello e tua sorella dovete stare uniti. Evitate conflitti, evitate litigi. State uniti, vi prego”. E così è stato, come lui voleva. Tra difficoltà e differenze non abbiamo mai perso affetto e collaborazione. Siamo tre persone diverse per carattere, formazione e talenti, ma siamo uniti». John divenne il successore di Gianni dopo la morte di Giovanni (Giovannino) Alberto Agnelli, che Gianni preferì al padre Umberto, ma scomparso prematuramente a soli 33 anni. Lapo, in poche parole, lo ricorda così: «Giovanni aveva carisma, una dote unica, e una capacità di inclusione tipica della nostra famiglia. Era un vero Agnelli».
Ma tra i lutti anche quello dello zio Edoardo, suicidatosi a 46 anni, su cui Lapo è netto e non fa sconti a nessuno, soprattutto alla società del tempo: «Edoardo aveva problemi con le sostanze, come li ho avuti io. Oggi nel mondo anglosassone tante persone di successo non fanno mistero di curarsi dalle diverse forme di dipendenza: droga, alcol, cibo, gioco. Io ho avuto la possibilità di combattere i demoni che avevo dentro e di uscirne fuori. Edoardo non ha potuto, 25 anni fa il disagio non aveva cittadinanza… Penso, è solo una mia opinione, che io per primo e tutta la nostra famiglia avremmo dovuto fare di più, stargli più vicino».