Vent'anni fa, una domenica mattina gelida, dopo la morte di Gianni Agnelli, più di centomila cittadini si sono radunati per rendere omaggio al cosiddetto “ultimo re” nella camera ardente allestita nella Pinacoteca Agnelli. In quell'occasione, la città di Torino ha salutato non solo l'industriale e l'uomo che dava del tu ai potenti, ma anche l'epoca di una Torino sinonimo di auto e Juventus, una città a monocoltura industriale gestita da una singola famiglia imprenditoriale. In quegli anni, la Fondazione Agnelli, un vero e proprio think tank, progettava le future direzioni del territorio, dall'idea di una città dell'innovazione all'Alta velocità della Tav e la candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2006.
Con la morte di Gianni Agnelli e il cambiamento del ruolo di Fiat da locale a globale, prima in Fca e poi in Stellantis, è iniziata una nuova era, quella del "sistema Torino", con l'emergere di una classe dirigente e nuovi centri di sviluppo. La Torino meno aristocratica e più borghese si è emancipata dal passato? Secondo il presidente di Compagnia di San Paolo, Francesco Profumo, ci sono importanti eredità da cui ancora oggi la città trae beneficio, come il comitato paritetico creato nel 1999 tra Fiat e Politecnico che ha posto le basi per lo sviluppo dell'ateneo come motore della città. Altri due motori di sviluppo sono le fondazioni che nascono negli anni '90 e portano avanti i contenuti della città dell'innovazione. Profumo sostiene che anche le imprese si sono emancipate, ma che ci vuole tempo per trovare nuovi equilibri: «Non dimentichiamo che Fiat quando io era studente coinvolgeva più di mezza città Secondo lui, ciò che manca a Torino in questi 20 anni è una scuola di management.
Torino, senza la guida dell'Avvocato, si è evoluta diventando più diversificata, più turistica, ma anche più debole. Nel tentativo di trovare un futuro alternativo a quello dell'auto e della grande industria, ha scoperto nei propri atenei luoghi non solo di formazione ma anche di progettazione. Il rettore del Politecnico, Guido Saracco, ricorda la grande crisi del 2008 che ha rallentato il processo di evoluzione. Tuttavia, secondo lui, la traiettoria della città è chiara: Torino è una città delle competenze e un po' meno della produzione. Saracco riconosce che le province piemontesi hanno visto crescere in questi anni nuovi campioni nazionali, ma sostiene che anche a Torino sono state poste le basi per creare nuovi campioni nazionali.