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"Ho perso la vista ma canto, suono e faccio kickboxing!". Vanessa Casu ci racconta la sua storia di riscatto: "Mi sono fatta il cu*o per diventare così”. E sul cane guida Pancake…

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

  • Foto di: Facebook di Vanessa Casu

6 settembre 2025

"Ho perso la vista ma canto, suono e faccio kickboxing!". Vanessa Casu ci racconta la sua storia di riscatto: "Mi sono fatta il cu*o per diventare così”. E sul cane guida Pancake…
Vanessa Casu si racconta per farsi sentire. È diventata cieca ma è cantautrice, si è laureata, scheza su tutto (anche sulla sua disabilità) e fa kickboxing. Ci ha raccontato la sua storia di ricatto insieme al cane guida Pancake al fianco e zero voglia di educare nessuno. Ma alla fine impari lo stesso...

Foto di: Facebook di Vanessa Casu

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

A volte ci si imbatte in certe persone così, per sbaglio o per fortuna. Passi il tempo a scrollare video sui social senza cercare niente e ti ritrovi davanti Vanessa Casu. La sua voce, l’autoironia, l’accento romano che sembra di sentir parlare un'amica. E invece no. È una sconosciuta che dopo soli due video ti sembra di conoscere da sempre. Le parli al telefono e capisci che la sua storia hai bisogno di scriverla. “Il caso non esiste”, ci dice lei. E in effetti qualcosa deve voler dire. Vanessa ti travolge. Con la sua musica, la voce, il sarcasmo tagliente e quel modo di comunicare che non chiede il permesso. A fianco a lei, sempre, Pancake. Il suo cane guida, il suo alleato, parte del corpo e dell’identità. Vanessa non è nata cieca, e nemmeno lo è diventata da un giorno all’altro. C’è stato un prima e un durante: operazioni, rifiuto, rabbia, finché a un certo punto ha smesso di combattere contro e ha iniziato a convivere con. È cantautrice, batterista e content creator. Si è laureata con 110 e lode. Fa kickboxing a livello agonistico. E ogni volta che apre bocca, lo fa per raccontare una cosa sola: che non è un’eroina, né un’eccezione. È una ragazza che ha imparato a ridere anche del buio. E che col buio ci convive, senza farsene definire. Con “Ti piace il mio cane guida?”, il suo format sui social, smonta uno per uno gli stereotipi sulla cecità usando l’ironia come ponte. Nessuna lezione, nessuna morale, solo la voglia di dire le cose come stanno. In un mondo che tratta la disabilità come un’etichetta, Vanessa quella stessa etichetta la prende, la strappa e ti insegna com’è “vedere” il mondo dalla sua prospettiva. Con lei abbiamo parlato di tutto. Con la voglia di ascoltare, più che di capire. Perché certe storie, quando arrivano, non cercano spazio. Se lo prendono.

Vanessa Casu
Vanessa Casu e il suo cane guida Pancake

Cosa ti ha spinto a raccontare la tua storia di ragazza non vedente sui social?

Perché amo comunicare, e non solo perché sono laureata in comunicazione. Credo che le parole possano migliorare o peggiorare lo stato d'animo di qualcuno, possano sia scatenare una guerra che far fare la pace. E anche fare innamorare. Hanno un potere molto forte, ed io credo nella comunicazione. Poi perché ci sono un sacco di stereotipi, un sacco di cavolate sul mondo dei non vedenti. Ancora nel 2025 si pensa che la limitazione di un essere umano sia dovuto ad una condizione di disabilità. Secondo me non è così. Perché ci sono persone limitate, che mi è capitato di conoscere, ma che sono normodotate. Il fatto di accontentarsi, di fare poco nella vita, di porsi sempre dei problemi in ogni cosa che si fa, è una questione umana. Non dipende dalla disabilità. Ed è questo che io cerco di mettere nei video, la mia quotidianità. Penso che ognuno abbia i propri mostri, le proprie sfide e il proprio dolore. Io posso solo far vedere quante cavolate ci siano sul mondo dei ciechi. Posso parlare della mia storia, di come io ho agito per superare delle cose, ma fine. Ho iniziato anche perché volevo trovare un modo per mettere in luce la mia musica, e l’ho fatto mostrando chi sono davvero. Quindi ho messo tutta la verità in vetrina sui social, e da qui vediamo che succede.

Sono molto divertenti i video in cui spieghi come riesci a fare le cose del quotidiano pur non vedendo, complice la tua grande autoironia. Come se la gente pensasse che non vedendo più la vita sia finita.

Indubbiamente c'è sempre una percentuale di persone che mi odia. Ma questo penso che sia normale. Quando tu ti esponi c'è sempre una parte che fa il tifo e quella che invece deve trovare il pelo nell'uovo, no? Anche se devo dire che i commenti che mi hanno fatto alla fine non avevano molto fondamento, perché a me che mi puoi dire? Che voglio fare la vamp sui social? No, non me lo puoi dire perché sono sempre struccata e in tuta. Mi vuoi dire che cerco di fare la sapientona? No, perché parlo romano. Quindi non cerco manco di fare la laureata con lode. Io sono veramente me stessa. Soprattutto quando faccio delle azioni quotidiane un po' delicate. Parlo romano perché mi viene spontaneo, un modo di fare molto più professionale renderebbe tutto un po' più pesante. L'ironia fa parte di me, è una mia sfumatura molto grande, come lo è il mio lato più profondo, dove mi faccio mille pensieri, mille dubbi, mille domande. Perché quando vedi una ragazza che non sembra disabile quasi devi dire che allora la disabilità non la ha. Però devo dire che sono abbastanza fortunata, perché in questa maggioranza parliamo veramente dell'1% delle persone. Gli odiatori sono davvero l'1%. Anche perché io non cerco di fare qualcosa di forzato e credo che questo si senta.

Ho letto tra i commenti che c’è chi non crede che tu sia cieca. Com'è possibile secondo te?

Questo fa parte un po' delle persone che al posto mio non farebbero quello che faccio io. E quindi pur di non diventare una persona che mi ammira, diventa quello che non ci crede? Perché tu puoi prendere due strade. Se vedi una persona che ha risolto o comunque ha trovato un modo di fare un qualcosa, o fai ‘che figo’, oppure fai ‘è raccomandata’. C'è la parte che pensa questo, però c'è anche quella più tenera di chi pensa che ci vedo un po'. È quella che proprio non si accorge. Sono talmente tanto simile alle persone normodotate anche nei gesti, che una persona mi dice, ‘ma un po' ci vedi?’ E no, mi sono fatta il culo per diventare così, e magari me lo faccio anche mentre parlo davanti al telefono, mentre faccio le mie azioni quotidiane. Di facile nella mia vita non c'è niente, ma proprio niente. E ho imparato ad apprezzare il difficile, perché le cose difficili mi hanno fatto diventare così.

C’è una cosa che ho notato che dici spesso e che mi piace moltissimo. Ovvero che tu non ti sei mai seduta sul fatto di essere cieca, che trovi sempre il modo di arrivare dove vuoi. Perché arrivarci percorrendo una strada diversa dagli altri non cambia il fatto che ci sei comunque arrivata.

C'è un modo diverso di raggiungere un risultato. La mia tesi magistrale si concludeva proprio con questa frase: “Se il risultato deve essere 4, allora cosa importa se 2 più 2 fa 4? Se anche 3 più 1 fa 4? Io sono il 3 più 1, semplicemente”. Quello che cerco di mettere sui social è un modo diverso di fare qualcosa, anche per le persone che cieche potenzialmente ci possono diventare. Il problema grande della disabilità è anche quello che pensi tu disabile di te stesso. Perché magari circondato da occhi che si aspettano davvero poco da te, che tu sia quello continuamente aiutato. Ecco perché ci tengo tanto a dire “provateci”, perché magari ci riuscite. Non è vero che non si può fare. Perché alla fine dipende da chi sei, non dal modo in cui lo fai. Che ti frega se ci arrivi da destra, da sinistra, da sopra, da sotto, se alla fine ci arrivi?

Vanessa Casu
Vanessa Casu laureata magistrale con 110 e lode

Com’è entrata Pancake nella tua vita e come è cambiata da quando c’è lei?

Pancake è l'amore della mia vita. A parte che è un cane guida stupendo, è un Labrador bellissimo, bravissimo, profumato, coccoloso, una dispensatrice di amore. Ho vissuto con lei delle scene da film. Ho imparato a capire che mi raccoglieva le cose perché una volta mi sono cadute le chiavi a terra e lei me le ha riportate. Da lì ho visto che aveva questa indole. Da quel momento ha iniziato a portarmi anche la pettorina quando usciamo, mi porta il guinzaglio, lo fa come gesto naturale. È proprio l'estensione del mio corpo ormai. Come l'ho conosciuta? È stata una casualità, ammesso e concesso che esista il caso. Perché quando sono diventata non vedente non avrei mai pensato di potermi prendere cura di un cane, a parte che avere un cane per me non voleva dire avere un cane come pancake. Poi ero nel periodo in cui ero diventata cieca da poco, quindi dicevo come faccio a prendermi cura di un cane? Mentre cantavo un signore venne da me e mi disse ‘guarda che proprio quest'anno stiamo donando una cifra per donare un cane guida, possiamo darlo al centro di addestramento o possiamo dare nome e cognome di una persona ma non è che tu tante volte sei interessata?’ Io all'inizio dissi di no, poi però mi sono documentata su che cos'era un cane guida, sono andata a conoscere persone che avevano il cane guida e dopo ho detto di sì. Gli darei un bacio in bocca alla me del passato, perché ho fatto una delle cose più belle della mia vita. Pancake mi salva continuamente da un sacco di dolori psicologici ed emotivi, oltre che rendermi autonoma perché fare le cose da sola o farle con questa cagnolina è un qualcosa di meraviglioso. Mi trova le strisce pedonali, mi fa schivare gli ostacoli, è proprio un rapporto stupendo che faccio fatica anche a descrivere. L'universo mi ha mandato questo signore e da lì sono andata a conoscere Pancake che attualmente è l’estensione del mio corpo. Io non posso stare senza di lei, lei non può stare senza di me.

La vita da non vedente è come te l’immaginavi prima di perdere la vista, o tu stessa ti sei ritrovata a smontare dei concetti socialmente precostituiti?

Prima di diventare non vedente c'è stata la depressione vera, il buio vero, il dolore vero. Perché chiaramente quello che mi faceva stare male non era tanto quello che realmente sarebbe accaduto, ma i preconcetti che io avevo, che mi aveva costruito la società in cui vivo. Pensavo di smettere di fare quasi tutto, invece non ho mai fatto così tante cose in vita mia. Tu hai paura di essere limitato, di vivere una vita a metà. È importante mettere in luce il fatto che esiste un modo diverso di fare le cose. Finché ci vedevo, almeno un po', dal liceo sono uscita con 65, ma una volta diventata non vedente, ho preso una laurea magistrale con 110 e lode. È importantissimo fare informazione e far vedere storie di vita vere, per non cadere in queste paure. A me c'è stato più di una persona che ha detto ‘io da quando vedo i tuoi video, e ho problemi agli occhi, non ho più paura di diventare cieco’. È una cosa stupenda, perché anche io quando ero più piccola avrei tanto voluto una persona che mi aiutasse a non avere più paura.

Cosa diresti alla te di dieci anni fa, quando stavi perdendo del tutto la vista?

Niente. Perché è servito tutto quello che è successo. È servito anche capire che la mia testa ha fatto questo. Mi è servito capire che mi ha proiettato immagini sbagliate, che mi ha fatto pensare cose di me non vere. Mi è servito, perché ad oggi so che molte cose che penso di me non sono mie, non sono vere. E quindi anche quando la mia testa mi ferma io non mi fermo, proprio perché conosco quella sensazione. So cosa significa avere paura, ma quella vera, la paura dell'attacco di panico. Quindi non mi direi niente. Starei accanto alla me adolescente, come se fossi quasi un angelo custode, senza dire niente. In silenzio, perché anche il dolore insegna tanto e l'importante è che io abbia colto dei diamanti e degli amuleti preziosi da quel dolore di quegli anni. Questo mi auguro, di saper prendere sempre il bello e il buono anche dalla cosa più brutta.

Cos’è che ti da fastidio negli altri nel loro modo di rapportarsi a te quando scoprono che non vedi?

Dal vivo io sono spesso l'addestratrice del cane. Adesso, con l'arrivo di questo format molte persone addirittura mi riconoscono quindi sanno che non vedo, e sapendo anche chi sono no non c'è più quella compassione nel tono di voce. Ma mi dispiace perché quel modo di fare di chi mi deve trattare un po' in modo delicato perché non ci vedo. Questo mi fa diventare a me un po' aggressiva e anche un po' stronzetta, cosa che non sono realmente ma è un atteggiamento che ho costruito e sviluppato addosso a me perché sennò è un attimo che mi mettono il violino di sottofondo.

Vanessa Casu
Vanessa Casu e la passione per la musica

Ti capita mai che la gente per strada ti fermi per chiederti se hai bisogno d’aiuto?

Secondo me la cosa sbagliata non è chiedermi se mi serve una mano. La cosa sbagliata è chiedermi se mi serve una mano a prescindere. Perché culturalmente si pensa che disabilità uguale aiuto. E' questo che mi dispiace. Dovresti volermi aiutare anche se sono normodotata, mi dovresti voler aiutare se sono in difficoltà. Se mi vedi in difficoltà è bellissimo che tu mi chiedi aiuto, ma mi dispiace se tu vedi una come me che attraversa la strada spavalda e gli dici, ‘ma che ti serve aiuto?’ Perché mi dovrebbe servire aiuto? Perché faccio una cosa in modo diverso? Poi è chiaro che ci sta il momento in cui mi disoriento, in cui veramente mi serve una mano. Poi chiedere non è mai sbagliato, io non reagisco mai male a qualcuno che mi chiede se mi serve aiuto, però mi rendo conto che il chiedermelo è spesso culturale, non oggettivo. Magari accanto a te c'è una signora che sta portando cinque buste della spesa che ha bisogno di te, e tu stai a chiedermi se mi serve aiuto solo perché sono cieca. Ma magari serve aiuto di più a quella signora normodotata. Non c'è la cultura dell'aiuto, c'è la cultura che si pensa che disabilità è qualcosa di meno. Questo è sbagliato.

I primi anni come sono stati?

I primi anni ho avuto gli attacchi di panico. Non riuscivo neanche ad aprire la porta di casa. Quindi ho avuto due anni in cui a malapena uscivo, come se mi fossi messa agli arresti domiciliari da sola. Non riuscivo a stare un secondo da sola, a volte chiamavo il servizio civile dell'Unione Italiana Cechi per farmi fare compagnia perché mi prendeva il panico se rimanevo da sola, come se il mio corpo mi dicesse ‘non mi fido che stai da sola, ti senti male da sola’. Quindi i primi anni sono stati questo.

E come hai affrontato il percorso universitario?

È stato un bell'alibi per muovere il culo e superare queste mie paure. Ho ripreso la mia prima metro da non vedente, il mio primo autobus da non vedente. Sono stata dentro un'aula chiusa universitaria. E poi piano piano, a forza di aprire sempre la porta alla paura, dopo un po' viene ad aprire il coraggio. Un po' come quella metafora stupenda della paura che viene a bussare, che quando il coraggio va ad aprire la paura non c'è più. Bisogna anche capire questo povero corpo che si è trovato catapultato in un nuovo mondo, quindi sono sempre stata molto amorevole e comprensiva verso me stessa, e non ho mai tollerato e tuttora non tollero le persone che non che non vogliono le fragilità degli altri. Che poi fragile non vuol dire che tu sei sempre fragile, vuol dire che hai le tue fragilità. Preferisco mille volte una persona che soffre di attacchi di panico, che però vive le sue emozioni e ha la sua sensibilità, piuttosto che una persona fredda che deve fare la forte a tutti i costi.

Hai mai imparato il braille?

No, non ho mai imparato il braille. Ho provato ad impararlo come conoscenza aggiuntiva, ma sono veramente una frana. Perché essendoci diventata cieca non ho quella sensibilità tattile di chi c'è nato, di chi ha imparato l'alfabeto così. Ma ormai nel 2025 piuttosto faccio una foto, la mando a Chatgpt, e gli dico che c'è scritto. Quindi ci sono dei metodi alternativi per riconoscere le cose. Il braille non è più una conoscenza così utile come lo poteva essere negli anni 80’. Poi conoscerlo è sempre un valore aggiunto.

Cosa rispondi a quelli che pensano che i non vedenti vedano tutto nero?

I ciechi non sono una dinastia. Siamo tutte persone e abbiamo delle storie diverse agli occhi. Tutti i ciechi vedono in modo diverso. C’è chi vede bianco, chi vede nero, chi vede luci. Chi vede solo uno spiraglio a sinistra, chi vede sfocatissimo, chi vede solo la luce, chi invece ha degli abbagli e chi ha tutto questo messo insieme. Nel mio caso io ho tutto, c'è un sacco di roba davanti a questi occhi e soprattutto ho una visione interiore. Tutto quello che non vedo più io lo vedo nella mia testa.

I tuoi sogni ora come sono?

A volte ho anche dei ricordi visivi, quindi sogno anche cose limpide, miste a cose da ipovedente e miste a cose da non vedente. Quindi faccio dei sogni un po' come sono i miei ricordi.

I ricordi dei colori, di come tu sei, sono ancora vividi o con il tempo tendono a sbiadirsi?

I ricordi tendono a sbiadirsi. Ma io ho una memoria molto ferrea. Perché chiaramente tutto quello che non posso più vedere lo devo ricordare. Ed è così anche che sono stata una secchiona all'università. Perché io non ho la memoria fotografica, tutto quello che ascolto lo devo ricordare. E questa è un’arma a doppio taglio. Perché se una persona mi fai male dicendomi una frase, a me quella frase riecheggia nella testa per settimane. Cosa che secondo me magari a una persona vedente non succede.

Ti ricordi come sei fatta?

Sì, più che altro è una ricostruzione quella che faccio. Come se avessi un proiettore nella testa. Io, quando mi vesto, ad esempio, mi immagino nella testa la mia bellezza, che è una sensazione. Così come l'autostima. Ed è una cosa interiore. Io mi sento bellissima quando mi sento bellissima dentro.

Vanessa Casu
Vanessa è cantautrice, batterista e content creator. Si è laureata con 110 e lode. Fa kickboxing a livello agonistico

Qual è stato l’ostacolo più grande che ti sei trovata ad affrontare? Anche nel quotidiano.

Io. La mia negazione, è stata l'ostacolo più grande. Perché, essendo una ragazza molto orgogliosa, avevo paura di fare le cose a metà o non farle bene e di essere impacciata in questa vita. Cosa che non voglio essere mai. Quindi il più grande ostacolo generalmente sono sempre io. Mi prendo la responsabilità di tutto. Forse anche troppo a volte.

La musica, scrivere canzoni. È questa la parte più importante di te?

La musica è qualcosa che fa parte di me. Io credo di vivere per la musica, per l'amore e per il cibo. In realtà nell'amore c'è soprattutto Pancake. Queste sono le cose per cui io vivo, i piaceri della vita per me. L'amore si intende avere quella sensazione di serenità nella pancia. La musica è una cosa che è da sempre stata la mia forza, che sono riuscita a fare senza sforzo. Perché è tutto nato attraverso qualcosa, e non attraverso qualcuno. Penso che con lo studio del canto o di uno strumento possa essere rinforzato qualcosa che hai già dentro. La musica è qualcosa con cui nasci, la senti, la vuoi, ce l'hai nella testa, nel cuore. Io sono sempre stata da piccolina quella che aveva la musica in diverse forme, prima ero una ballerina, poi quando ho dovuto smettere di ballare la musica si è trasformata ed è andata sugli strumenti musicali, sulla mia voce e sulle mie canzoni.

La perdita della vista a livello umano è stato uno spartiacque? Ti ha fatto capire la vera natura delle persone che avevi vicino?

Non credo, perché io sono una persona molto solitaria. Mi chiamano lupetto a volte. Spesso preferisco stare da sola con Pancake a creare musica, ascoltare una serie che mi lascia qualcosa su cui riflettere. Ma condivido il mio tempo con pochissime persone. Faccio fatica ad avere a che fare con tanta gente, per tutta una serie di motivi, e molti non sono positivi. La vista non c'entra molto, ma in ogni caso indubbiamente le persone che seguono il mio format “Ti piace il mio cane guida” non credo possano essere proprio senza neuroni. Sicuramente ci sta anche il cretinetto che mi segue perché sono una bella ragazza, o mi segue per altri motivi x, però diciamo che secondo me la maggioranza sono persone pensanti o almeno mi piace pensare così, dai! Forse sono proprio io che faccio già da filtro, no? Anche se poi la sensibilità è qualcosa che scopri con il tempo. La mia ultima relazione che è finita da poco mi ha sbattuto in faccia questo. Per stare con me ci vogliono le palle, quelle vere, quelle d'acciaio. Non solo perché sono una ragazza disabile, forse anche, anche se non faccio nulla per far pesare questa mia condizione, non c'è qualcuno che fa qualcosa al posto mio. Sono una persona complessa, e non mi piacerebbe l'idea di diventare qualcos'altro. Penso di dover avere accanto una persona indubbiamente con una certa sensibilità.

La tua autoironia e il tuo accento romano colpiscono subito, quanto tempo ci hai messo per riuscire a vivere il fatto che non vedi più in questo modo?

Non ci ho fatto più caso, ad un certo punto è diventata la mia realtà. È come dire: “Tu quando sei nata sulla Terra, quanto tempo ci hai messo a capire che quella era la Terra in cui vivevi?” Io l'ho vissuta così la mia cecità, una volta che ci sono diventata e ho capito che potevo raggiungere dei risultati, la mia testa si è proiettata su ‘ok, come faccio a fare quella cosa se non vedo?’ Devo trovare un modo, mi sono dimostrata che se ci provo, spesso ce la faccio.

Cosa ti aspetti dal futuro?

Mi aspetto tutte le cose più belle del mondo perché me le merito. E per quanto io possa sembrare presuntuosa nel dire “sto bene”, so io cosa ho vissuto. E so bene anche l'impegno che ci ho messo. Quante volte mi sarei potuta adagiare e non l'ho fatto? Quante volte mi sarei potuta far fare le cose dagli altri e non l'ho fatto? Penso davvero di meritarmi un regalo da questa vita. Credo nella semina. Quindi mi auguro di essere sempre così lucida umanamente da continuare a muovere sempre il mio corpo nella direzione più corretta per me, per quella che è la mia vita, la mia ragione, la mia essenza.

Il tuo desiderio più grande?

Costruire una famiglia. Ma ad oggi credo che sia cambiato, perché purtroppo questo mio desiderio non dipende solo da me. E se c'è una cosa che posso controllare è solo il mio di comportamento, e non sarò mai quel tipo di persona che pretende o fa l'elemosina nel volere l'amore. Questo è troppo lontano dal concetto che ho di di amore e di costruzione della famiglia. Ad oggi il mio desiderio è quello di essere felice, e continuare sempre ad essere quello che mi piace. Perché, quando smetto di essere me stessa, o c'è qualcuno accanto a me che mi fa sentire sbagliata, che mi mette sempre mille punti interrogativi, e comincia a svalutarmi, a togliermi la luce, io inizio a stare male. Perché non c'è cosa più brutta di smettere di essere me stessa per me. Quindi mi auguro di trovare una persona che mi ami davvero per quello che sono.

Una domanda che non ti ho fatto ma che avresti voluto ti facessi?

Lo sport. Il kickboxing è un'altra cosa meravigliosa che è entrata nella mia vita. Attualmente sono cintura blu, e sono l'unica ragazza non vedente di tutta la palestra. Mi alleno in un corso di agonisti, e avrò la fortuna tra circa un anno di diventare cintura nera, e sarò la prima in Italia. La prima ragazza non vedente cintura nera di kickboxing. E magari un giorno avrò la possibilità di insegnare questo sport a delle persone che hanno bisogno di fidarsi del proprio corpo. Lo sport è importante per tanti motivi, e quando non vedi più ti senti come una busta della spesa, o almeno io mi sono sentita così, perché o ti porta il cane o ti porta qualcuno braccetto. Vieni continuamente portato, mentre il kickboxing ti insegna a gestire il tuo corpo da solo. Ti muovi in funzione di quello che senti, del rumore dell'avversario e sfogarti l è qualcosa che può aiutare davvero a buttare fuori quella parte esterna che spesso non c'è.

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