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I segreti di Simonetta Cesaroni, Garlasco e la cronaca nera ormai degenerata: intervista a una delle ultime vere giornaliste d'inchiesta italiane, Raffaella Fanelli

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

  • Foto di: Ansa

10 ottobre 2025

I segreti di Simonetta Cesaroni, Garlasco e la cronaca nera ormai degenerata: intervista a una delle ultime vere giornaliste d'inchiesta italiane, Raffaella Fanelli
Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? A trentacinque anni dal delitto di via Poma, che sconvolse l’estate romana del 1990, l’identità dell’assassino (o degli) è ancora avvolta nel mistero. Noi di MOW abbiamo intervistato la giornalista Raffaella Fanelli, massima esperta del caso che segue dal momento zero, che ha analizzato con noi tutte le falle di un’indagine che non ha ancora portato a niente. In un’Italia sempre più appassionata alla cronaca nera e completamente persa nel delitto di Garlasco. In un’Italia in cui ormai sono tutti criminologi e il lavoro stesso del giornalista sta perdendo il suo vero focus: “È questo che un giornalista dovrebbe fare: prima leggersi gli atti, studiarsi il caso, parlare con chi è stato protagonista della vicenda e poi andare in una trasmissione televisiva a parlarne, se ha voglia di farlo. Ma parlare senza sapere è fare gossip". Ecco tutto quello che ci ha raccontato…

Foto di: Ansa

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

Sono trascorsi poco più di trentacinque anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto del 1990 in una Roma tanto calda quasi completamente deserta. Quello che sembrava un giorno d’estate qualunque, ha poi di colpo cambiato tutto. Stravolgendo la vita delle persone la cui esistenza gravitava attorno a via Carlo Poma. E, come purtroppo spesso accade, ancora non si conosce l’identità dell’assassino di Simonetta ma, come ci ha sottolineato la giornalista Raffaella Fanelli che noi di MOW abbiamo intervistato, il nome del killer è contenuto all’interno delle carte processuali. Una giornalista che segue il caso dell’omicidio Cesaroni dal momento zero, e che nel corso degli anni ha intervistato tutte le persone coinvolte. Arrivando a scrivere un libro “Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? - Tutta la verità sul delitto di via Poma”, che mette un punto fermo su una delle pagine di cronaca nera più dibattute e conosciute in Italia. Raffaella Fanelli è una delle migliori giornaliste d’inchiesta italiane, che non solo ha seguito in modo impeccabile il delitto di via Poma, ma è stata colei che ha consentito, con il suo lavoro, di far riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. In un momento in cui l’opinione pubblica è completamente assorbita dal delitto di Garlasco, con le trasmissioni televisive sempre puntate sull’omicidio di Chiara Poggi, quanto accaduto nel 1990 potrebbe lentamente avvicinarsi alla verità con la riapertura dell’inchiesta.

Via Poma a Roma, dove è stata uccisa Simonetta Cesaroni
Via Poma a Roma, dove è stata uccisa Simonetta Cesaroni

Ormai la cronaca nera è totalmente monopolizzata dal delitto di Garlasco.

Sì, c'è solo l’omicidio di Chiara Poggi ovunque. Questa attenzione esagerata la ricordo solo per Avetrana (il paesino in cui è stata uccisa Sarah Scazzi ndr), ma Garlasco forse sta andando anche oltre. Non mi piace quello che sta succedendo, i colleghi stanno gestendo male la situazione, non è corretto comportarsi così. Perché, dall'altra parte, c'è sempre una ragazza morta. E soprattutto ci sono due genitori e un fratello.

Escluso l’omicidio Poggi, come pensi che i media stiano trattando gli altri casi di cronaca nera?

La nera è sempre stata al centro dell'attenzione, perché c'è questa passione per il delitto, una sorta di dipendenza nazionale che con Garlasco sta davvero oltrepassando ogni limite. C'è una bulimia della notizia, un’ossessione collettiva che ha reso tutto molto squallido. Questa passione per la nera, tra podcast e salotti televisivi, ha reso quello di indagare lo sport nazionale. Tutti pronti a condannare, tutti investigatori. Poi ci sono i social, che danno a chiunque la possibilità di commentare, di scrivere, di fare indagini senza neanche leggere un atto. Perché poi è questa la realtà. Nessuno legge più i verbali e ognuno fa ipotesi. Ormai sono tutti criminologi. C'è una perdita di credibilità dello stesso lavoro del giornalista, perché stanno seguendo il delitto di Garlasco in maniera morbosa e fastidiosa.

Quale pensi che sia la qualità del giornalismo italiano oggi?

Vedo le trasmissioni televisive e, a parte qualcuna, sono davvero scandalose. Ad esempio una volta Chi l'ha visto? si occupava di persone scomparse. Oggi si occupa di tutt'altro. Quarto Grado è diventato un tribunale e, onestamente, non è così che si fa il giornalismo. Nei salotti televisivi a parlare ci sono opinionisti scelti a caso, persone che non hanno mai letto un atto e non sanno neanche quello che dicono. Poi ora si è inserito anche Fabrizio Corona, c'è di tutto ormai. Prima erano i giornalisti che andavano sul luogo, adesso è Corona che va. Siamo davvero messi male. In tutto questo l'ordine dei giornalisti fa finta di niente, ci sono persone che passano informazioni che non sono neanche verificate. Basta che qualcuno scriva qualcosa e tutti dietro come pecore. È una cosa che prima non si faceva. Io sono giornalista da tanti anni e le notizie le ho sempre verificate. Sempre.

Anche gli stessi avvocati ormai sono diventati dei personaggi televisivi.

Passano da un salotto all'altro. Infatti io mi chiedo, ma il legale di Stasi, fa l'avvocato? Ma lavora? Anche Lovati, l’avvocato di Andrea Sempio, è un personaggio. È assurdo che un avvocato possa essere così protagonista in televisione. Sono come delle star.

Come e quando hai iniziato ad occuparti del caso di Simonetta Cesaroni?

Mi sono occupata del caso di Simonetta Cesaroni già nel 1990 perché ero praticante per un settimanale. Ho intervistato Pietrino Vanacore, conosco la sua famiglia da sempre, sono del mio stesso paese, Torricella, dove vivono anche i miei parenti. Sono andata a scuola con uno dei figli di Pietrino. Ho intervistato non solo i Vanacore, ma tutte le persone che sono state travolte o comunque coinvolte in questa vicenda. Come Raniero Busco (al tempo fidanzato di Simonetta ndr), Salvatore Volponi (il suo datore di lavoro ndr), Francesco Caracciolo di Sarno, che era il presidente regionale degli Ostelli della Gioventù. È una storia che seguo e che conosco da sempre.

La giornalista Raffaella Fanelli
La giornalista Raffaella Fanelli

Il titolo del tuo libro è “Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? - Tutta la verità sul delitto di via Poma”. Ci racconti la tua verità?

Nel libro non faccio il nome dell'assassino, ma credo che sia comunque molto chiaro perché metto in fila i fatti. Quindi, il lettore, ha proprio la sensazione di trovarsi di fronte all'assassino, perché le notizie portano inevitabilmente a trarre delle conclusioni. Soprattutto chiarisco quello che è stato il ruolo degli Ostelli della Gioventù, perché intorno a quell'associazione italiana c’erano degli interessi istituzionali. C'è l'intervento e l'arrivo di un uomo dei servizi proprio la sera stessa dell'omicidio, eppure il suo nome non figura in nessuno dei verbali. A scoprire la presenza di questo agente dei servizi, Sergio Costa, all'epoca genero di Vincenzo Parisi capo della polizia, è un giornalista che ne scrive tre anni dopo. Gennaro De Stefano, del settimanale Gente. Nel libro di interessante ci sono tante cose, ma c'è soprattutto la cronaca del mio incontro con l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno. Quest’uomo prima mi propose un accordo, mi disse di scrivere che era morto, di confermare la notizia che era stata diffusa da un noto quotidiano e che era poi stata ripresa da tutti i colleghi senza ricevere smentita dal diretto interessato. Io andai comunque avanti con le domande e mi confermò di avere un amico nei servizi e di aver conosciuto Simonetta. Poi l'incontro non finì benissimo perché mi cacciò fuori.

E sulla presenza in via Poma di due gruppi sanguigni diversi?

C'è la presenza, nel vano sotto l'ascensore, di un sangue di gruppo B e, all'interno della stanza dove Simonetta è stata uccisa, sul telefono e sulla porta, di sangue di gruppo A. Questo fa pensare che ad agire probabilmente non ci sia stata solo una persona, o che sicuramente sia intervenuto qualcun altro subito dopo il delitto. Anche perché il corpetto è stato appoggiato sul corpo di Simonetta quando il sangue era ormai secco, perché non si è macchiato, il tessuto è pulito. Quindi qualcuno è intervenuto 45 minuti dopo, dando il tempo al sangue di seccarsi, appoggiando quel corpetto quasi in segno di pietà. Simonetta è stata uccisa con 29 colpi, negli occhi, sui seni, c'è stata una sorta di accanimento. Tutto faceva pensare ad uno stupro, però in realtà Simonetta non è stata stuprata. Il corpo nudo, le gambe divaricate farebbero pensare ad un maniaco. Un tentativo di voler far passare l’omicidio per violenza. Poi sono stati portati via anche i suoi gioielli, le chiavi, la catenina e più di 50.000 lire che lei aveva in borsa. Anche per far pensare a un furto. In realtà sia lo stupro sia il furto non ci sono stati, forse è stata uccisa per ben altro.

Perché l’attenzione si è concentrata subito sul portiere dello stabile di via Poma, Pietrino Vanacore?

L'unica colpa di Vanacore è, secondo me, quella di aver visto qualcosa e di non aver parlato. Perché, probabilmente, quell'uomo qualcosa ha visto. Questo spiegherebbe anche i dubbi che hanno i figli sul suo presunto suicidio. È importante ricordare che all'interno dell'ascensore, sulla plafoniera, sono state repertate negli anni 90, quindi subito dopo il delitto, due tracce di sangue una accanto all'altra. Una appartiene a Simonetta Cesaroni, mentre l'altra all'epoca non fu analizzata, ma attribuita senza analisi a Simonetta. Quando nel 2008 tutti i reperti sono stati riesaminati perché si doveva processare Busco, e quindi si cercavano le tracce dell'ex fidanzato, anche quella seconda traccia fu esaminata e a farlo fu Luciano Garofano. Da quella traccia è stato estrapolato un dna maschile.

Pietrino Vanacore, nel 1990 portiere dello stabile in via Carlo Poma 2 dove è stato commesso il delitto
Pietrino Vanacore, nel 1990 portiere dello stabile in via Carlo Poma 2 dove è stato commesso il delitto

Questa traccia non è stata comparata con nessuno?

Dovrebbero farlo. Non so se l’hanno già fatto. Io mi auguro di sì, anche perché nella sua ordinanza la giudice Arcieri ha detto che tutto deve essere fatto, esaminato e rivisto come se si stesse scrivendo su una pagina bianca. Probabilmente su questa pagina ci diranno pure a chi appartiene questo dna.

Pensi che con questa nuova indagine si potrà arriverà a qualcosa?

Dipende, se hanno voglia di indagare probabilmente sì. Se, come hanno fatto fino a un anno fa, si fermano a ricostruzioni fantastiche, tipo quella che porta al figlio del portiere allora no, non arriverà mai niente. Peraltro la notizia, poi battuta da Repubblica, non è stata verificata perché, in quell'ordinanza, si chiede l'archiviazione di Mario Vanacore. Il titolo era “il killer di Simonetta è il figlio del portiere”. Così si rovina una persona e un giornalista vero non può farlo se non c’è una prova. Poi è proprio dai Vanacore che arrivano le informazioni più importanti, perché ci siamo dimenticati che quando Mario arriva con Salvatore Volponi davanti alla porta degli uffici di via Poma è quest’ultimo, il datore di lavoro di Simonetta, ad entrare. Ed è Mario a rivelare che quell'uomo uscendo gridò “oddio oddio bastardo” come se si riferisse a qualcuno in particolare di sua conoscenza. Hanno mentito tutti in quegli uffici. Tutti. E non si è ancora capito il perché.

Qual è secondo te l'errore più grande, voluto o meno, che ha impedito di arrivare alla soluzione?

Di errori ne sono stati fatti tanti in questa inchiesta. Non so bene se volontariamente, ma ci sono stati. Le tracce di sangue in ascensore non sono state ritrovate dai poliziotti che arrivarono dopo il delitto, bensì dal figlio del portiere, che venne a sostituire il padre quando fu arrestato. Gli uffici degli Ostelli furono dissequestrati, credo, neanche una settimana dopo il delitto. Una poliziotta si mise a disegnare un pupazzo su un foglio di carta. Tutti pensavano che si trattasse della traccia dell'assassino e quindi via di perizie calligrafiche. E poi, 18 anni dopo, questa confessa davanti a un giornalista dicendo “scusate, sono stata io a fare quel disegno”. Ma dirlo prima no? Poi un altro poliziotto che stacca la presa del computer dove Simonetta stava lavorando, un altro che lascia la sua impronta insanguinata sul pianerottolo, l'altro che cancella i messaggi in segreteria. Gli errori sono stati tanti. Tanto che io ho trovato un fascicolo con una scritta di un anonimo che dice “se volete la verità togliete le indagini alla squadra mobile”. Va bene che gli anonimi lasciano il tempo che trovano, però è anche vero che la squadra mobile di errori ne ha fatti parecchi. Solo e soltanto trent'anni dopo, quando doveva lanciare un romanzo, chi stava conducendo quelle indagini se ne è venuto fuori dicendo che forse l'alibi di Caracciolo era falso. Ma lo sapeva già trent'anni prima. Perché c'è un verbale della portiera del palazzo dove Caracciolo aveva l'ufficio, che all'epoca disse “Caracciolo arrivò verso le 18 e si mise a parlare con me, eppure non mi aveva mai rivolto la parola prima, neanche per darmi il buongiorno”. Arrivò alle 18, mentre lui ha sempre detto di essere andato in aeroporto dalla figlia molto prima. C'è poi una informativa della Digos su Caracciolo che è presente nel fascicolo, dove viene descritto come uno che dava fastidio alle ragazze, uno che proprio le molestava. Questa informativa si chiude con una frase che diceva che molti amici di famiglia avevano preso le distanze da Caracciolo proprio perché lo ritenevano coinvolto nell'omicidio di Simonetta. Quindi c'erano tutti i motivi e forse gli indizi per indagare su Caracciolo, incluso il sangue nel vano ascensore. Ma non l'hanno mai fatto. Oggi Caracciolo è morto. Le indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni sono partite male. Cercavano un colpevole e il portiere ci stava bene, come ci sta bene il giardiniere o il maggiordomo. Il portiere era il colpevole perfetto.

Ranieri Busco, al tempo fidanzato di Simonetta Cesaroni
Ranieri Busco, al tempo fidanzato di Simonetta Cesaroni

A proposito di Vanacore, quali sono gli elementi a sostegno del fatto che il suo potrebbe non essere stato un suicidio ma un omicidio?

Io ho incontrato tutti e tre i figli e tutti hanno seri dubbi su questa morte. Pietrino Vanacore non si è ucciso quando l'hanno arrestato e ne quando l'hanno indicato come assassino. Non si è ucciso quando l'hanno accusato di essere il complice di Federico Valle (nipote dell’architetto che abitava nello stabile di via Poma ndr). Non si è ucciso quando lo stavano indagando. Si uccide quando sul banco degli imputati c'era Busco, un'altra persona. Avrebbe potuto fare scena muta perché all'epoca si poteva, nel 2010, proprio perché imputato per lo stesso reato in passato. E poi il modo. Pietrino si sarebbe ucciso in 50 centimetri d'acqua, in una zona piena di rocce. Per un semplice e banale istinto di sopravvivenza avrebbe potuto afferrare una roccia e alzarsi in piedi. Il mare era tranquillo. Poi quel giorno era andato a fare colazione con gli amici e il pieno all'auto. Ha chiesto alla moglie se doveva comprare qualcosa per pranzo, si è fermato in panificio a prendersi un pasticcino e a parlare con Mario, un signore che poi ho intervistato, un pescatore che aveva le barche proprio lì dove Pietrino si sarebbe suicidato. Preferisco usare il condizionale perché a mio avviso non può essersi ucciso. Poi ha lasciato un foglio con le frasi che avrebbe riportato nei tre cartelli ritrovati in auto. Sì, la calligrafia è la sua. Però, chi ha in mano quella carta, sa anche che Pietrino ha fatto degli errori di grammatica, ha messo la o senza h. Io ho letto il memoriale di Pietrino Vanacore, poi me lo hanno anche confermato i figli, sapeva scrivere bene. Non era laureato, ma errori di quel genere non li avrebbe fatti. Quel verbo senza h non l'avrebbe mai scritto. Secondo i figli stava lanciando un messaggio o voleva metterli in allarme, come poi in realtà è successo. Sono tutti e tre in allarme, hanno tutti dei dubbi su questa morte.

Quindi è come se lui fosse stato obbligato a scrivere questo foglio, che avrebbe scritto con degli errori per far capire che non era volutamente scritto da lui?

Secondo i figli sì, perché questo foglio è davvero pieno di errori e Pietrino quel tipo di errori non li faceva. Il medico legale che ha eseguito l’autopsia mi ha fatto presente che è stata una morte strana anche per lui, che l'annegamento può essere anche indotto. C’è anche un’altra cosa strana, all'inizio hanno fatto circolare la notizia che Pietrino prima di suicidarsi si fosse stordito, in realtà durante l'autopsia non è emerso niente, non aveva ingerito niente. Tutto molto strano, sia la modalità sia i tempi. Poi doveva andare a testimoniare. Pietrino Vanacore ha avuto una vita molto complicata.

Cos’altro gli è accaduto?

La prima moglie è morta per un errore medico. Il figlio più piccolo aveva cinque anni quando sono rimasti senza la madre. Poi hanno avuto lo sfratto e Pietrino ha perso il lavoro perché doveva seguire la moglie che era in cura in Liguria. Pietrino ha una sola colpa, che è quella di aver taciuto per paura. Una vita di sofferenze. Pensava di aver trovato la pace con quel posto di portiere in via Poma. In realtà è stata la fine. Non lo ricordo mai sereno quell'uomo. Non credo che si sia suicidato. Anzi, forse presentarsi in aula per dire quello che sapeva sarebbe stata anche l'occasione per lui per guardare in faccia i giornalisti che per tanti anni lo hanno inseguito come colpevole, come il mostro.

Credi che con questa nuova indagine su Simonetta, si possa arrivare anche a far luce sul modo in cui è morto Vanacore?

Non sarebbe male, perché io credo che Vanacore sia la seconda vittima di questo intricato giallo. È proprio partendo dal suicidio di Vanacore che si potrebbe poi arrivare a una verità sull’omicidio di Simonetta. Perché il nome dell'assassino è nelle carte.

A Ignoto X Rinaldi ha parlato del caso di Simonetta Cesaroni paragonandolo all’omicidio di Chiara Poggi, sottolineando quanto il delitto di via Poma sia ancora più intricato di quanto accaduto a Garlasco.

La differenza è nel come i giornalisti lo stanno trattando. Perché, se per il caso di via Poma non c'è questa grande esposizione, di Garlasco invece stanno parlando tutti. A momenti me ne parla pure la vicina di casa. Sul delitto di Garlasco ci sono più voci e voci di persone incompetenti. Sul delitto di via Poma, per fortuna, non c'è questa banalità della notizia ogni giorno. Una sorta di competizione a chi la spara più grossa, io non ho mai visto niente del genere. C'è anche una rivalità fra procure che si sta trasferendo nell'inchiesta. Per fortuna questo non può succedere per il delitto di via Poma, perché lo stanno lasciando soltanto a chi ha studiato le carte. È questo che un giornalista dovrebbe fare. Prima leggersi gli atti, studiarsi il caso, parlare con chi è stato protagonista della vicenda e con gli avvocati e poi andare in una trasmissione televisiva a parlarne, se ha voglia di farlo. Ma andare a parlare di un caso senza sapere è fare gossip.

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