Quando va tutto bene sii contento, ma portati sempre nel letto, la sera, il pensiero della prossima cosa che potrebbe andare male, perché servirà a svegliarsi domani con i piedi per terra e la consapevolezza che anche mentre ci si sente vincenti si è pure perdenti. E’ uno di quegli insegnamenti buttati là da un nonno in una di quelle indimenticabili chiacchierate semplici tra un uomo saggio e un nipote con la tendenza un po’ troppo accentuata al “vado a prendermi tutto quello che voglio, ogni volta che voglio”. Quell’insegnamento, forse senza che quel nonno se ne rendesse conto, è stato uno di quei tatuaggi dell’anima guardarti e riguardati, anche allo specchio, tutti i giorni. E a quell’insegnamento è venuto da pensarci anche qualche giorno fa, chiedendosi quale può essere, in questo momento storico, il pensiero della cosa che potrebbe andare male di Giorgia Meloni, quella a cui, adesso, sta andando tutto più che benissimo. La risposta? La Toscana.
Sì, “tutto alla grande, ma in Toscana perdo sicuro” è il pensiero sintetizzato che potrebbe stare nella testa di Giorgia Meloni adesso. La premier e tutta l’alleanza di centrodestra sanno benissimo, praticamente da sempre, che, vinte le Marche e vinta la Calabria si può pure provare a combattere, tutto sommato, in Campania grazie a un Fico che non scalda i moderati, ma che in Toscana non c’è storia. I sondaggi parlano chiaro già da prima che si conoscesse il nome del candidato della coalizione di sinistra. Poi quando il nome è stato ufficializzato, Eugenio Giani, quei sondaggi sono diventati quasi una irrevocabile sentenza anticipata. Occhio, però, perché se il povero Eugenio Giani è “l’incubo” di Giorgia Meloni, l’incubo di Eugenio Giani rischia di essere un mostro a più teste con i visi di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Matteo Renzi e, ora, pure di Antonella Bundu, ex compagna di Piero Pelù e autodefinitasi “donna nera, fiorentina e di sinistra”. Ma c’è da andare per ordine.

A leggere le cronache toscane, infatti, viene da dire che il povero Giani arriva al voto come chi arriva al traguardo con la borraccia bucata da quelle stesse persone che gli avevano detto di cominciare a mettersi in marcia. Spaesato, stanco, consapevole di aver corso bene, ma costretto a tappare perdite con tutte le appendici possibili, ora che potrebbero non bastargli più neanche le dita. Sia chiaro, in Toscana i sondaggi dicono ancora centrosinistra, ma la scena politica somiglia più a un varietà in cui gli attori devono fare i conti con registi che non si ricordano la scaletta. Il tutto mentre, dall’altra parte, il centrodestra si mostra nella sua rodata passerella coreografata e vagamente nostalgica, marcia compatto (Meloni, Salvini, Tajani e soci tutti insieme come a voler dire “ci siamo e stiamo insieme davvero”). Il campo largo, che già nelle Marche in Calabria s’è rivelato un fallimento oltre ogni più pessimistica aspettativa, appare invece come un mosaico pensato bene, disegnato benissimo e, poi, lasciato incollare da quattro sconosciuti che si sono appena ubriacati insieme in un bar .
Quattro comizi, in quattro piazze diverse, neanche mezza foto tutti insieme e la chiarissima impressione che i leader romani che hanno voluto il campo largo si vergognino del campo largo al punto di tenerlo nascosto. Quattro comizi e quattro voci che non si parlano e una coalizione che, oltre al “sconfiggiamo i fascisti”, non ha null’altro da dirsi. Signori, dispiace dirlo, ma c’è quasi comicità nel paradosso di una formazione che – mentre reclama unità – mette in scena la frammentazione. Schlein che prova a ricucire schleinese (la nuova lingua a cavallo tra la supercazzola e l’Italiano) , Renzi che gesticola con Franceschini mandando in avanscoperta Silvia Salis, Bonaccini che è il presidente dell’Emilia Romagna, ma va in giro da leader dopo che lo stesso PD non l’ha voluto leader, e Conte che, con la solita aria da premier in trasferta su banchi a rotelle, evita il palco del candidato da lui “accolto” (o ingoiato?) in extremis.

Non è cattiveria politica notare che, con la campagna elettorale in Toscana che si chiuderà senza neanche un evento o mezza foto dei leader del campo largo tutti insieme per Giani, l’eventuale e molto probabile vittoria dello stesso Giani potrebbe comunque suonare di successo di un uomo e una squadra “nonostante i capi romani che gli hanno bucato la borraccia”: è una sinistra che predica rinnovamento, ma sembra più occupata a tenere insieme tessere inconciliabili, ripiegando su gesti di circostanza e sempre più lontani dai temi concreti che mordono sulla pancia reale degli elettori. La coalizione che dovrebbe festeggiare una vittoria quasi scontata rischia così un brindisi a metà: se Giani dovesse riconfermarsi, la celebrazione sarebbe piuttosto la certificazione di un successo personale e non il trionfo di un progetto condiviso. Perché vincere “contro” è diverso dal vincere “insieme”: la maggioranza che si ritroverà in Consiglio sarebbe un’alleanza di comodo, in cui infrastrutture, aeroporto di Peretola e termovalorizzatori (i temi centrali della campagna elettorale) resteranno nodi politici pronti a riaprire ferite.
Il governatore – politico di lungo corso, capace di girare ogni borgo toscano promettendo soluzioni – sa che un voto a suo favore non cancella la contraddizione di fondo: tenere in piedi M5S, anime del PD, riformisti renziani e Verdi è un esercizio di equilibrismo che logora la pancia. E che gli fa rischiare reflussi comici come quello in cui, ospite di una trasmissione radiofonica, ha confuso i confini della Toscana chiamando in causa la Lombardia e diventando il meme della settimana. Sia inteso, niente di incredibilmente grave, ma il segnale che Giani non può arrivare a tappare ovunque i buchi di quella borraccia, con il risultato di cali di concentrazione che poi si trasformano anche in boomerang. Basta? No, perchè non aiutano le incognite: la terza candidata, Antonella Bundu, figura della sinistra radicale, ex compagna di Piero Pelù (con cui ha avuto una figlia), si presenta come l’opzione di protesta che può sottrarre voti al campo largo.
