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Il fotografo Spucches dall’Ucraina: “Putinpeace è il mio progetto per la pace, ma qui serve un colpo di culo”

  • di Riccardo Belardinelli Riccardo Belardinelli

11 marzo 2022

Il fotografo Spucches dall’Ucraina: “Putinpeace è il mio progetto per la pace, ma qui serve un colpo di culo”
Si chiama @putinpeace il reportage di guerra nato da Fabrizio Spucches, fotografo allievo di Olivero Toscani e attualmente di stanza sulla linea di confine tra Ucraina e Romania. Il fotoreporter ha raccontato per la prima volta questo progetto in diretta Instagram al direttore di MOW Moreno Pisto. Ecco un resoconto delle sue dichiarazioni tra scene di crudissima realtà bellica e profughi dallo spirito indistruttibile

di Riccardo Belardinelli Riccardo Belardinelli

Fabrizio Spucches è un fotografo. In questi giorni si trova in Ucraina e partecipa al progetto @putinpeace, un’associazione di artisti uniti contro il regime del Presidente della Russia. Fotografie, opere, mostre e ritratti tutto a sostegno del popolo ucraino colpito dalla guerra. Lo ha incontrato il direttore di Mow Moreno Pisto durante la prima diretta su Instagram di questa rivista, una rassegna dedicata alle persone che si trovano ora in Ucraina. 

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Collegati ci sono anche i ragazzi del team di @putineace, che rispondono da Milano: “Il progetto è stato avviato una settimana fa, ma sembra sia passata una vita. Nato dall’unione di grafici e fotografi, poi il gruppo si è allargato per la volontà di partecipare in modo attivo sul piano umanitario a quello che sta accadendo in Ucraina. Volevamo condividere anche grazie al passaparola tutti gli artisti interessati. Abbiamo raggiunto perfino gli Usa e il Medio Oriente". "Condividere soprattutto immagini e video dal fronte come quelle di @putinpeace è anche un appello per la pace”, aggiunge Fabrizio, sottolineando lo scopo dell'associazione: "contribuire ad aumentare la consapevolezza del problema e raccogliere più aiuti possibili, tra cui anche cibo e viveri". 

Spucches prosegue: “Il mio è un approccio che nasce dall’unico aiuto che posso dare, cioè fotografare. Eppure mi sento ancora inutile. L’obiettivo principale non è solo fare le foto, ma riuscire a trovare fondi e contributi per l’Ucraina. La gente ci chiama, ci aiuta, ci dà voce. Il progetto spero parta al più presto con raccolta fondi per questa gente qui che, credetemi, è in una fase di estrema difficoltà”

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“Sono nella prima frontiera tra Ucraina e Dalmazia a fare un reportage per documentare i rifugiati che scappano dalla guerra, poi andrò verso il confine con la Moldavia: si tratta di un'area più grande, con un flusso di persone decisamente maggiore”. Fabrizio documenta con i video, con le foto. “C’è un ponte che collega i confini tra Romania e Ucraina, una sorta di Purgatorio che collega il Paradiso della Romania e l'inferno dell’Ucraina. La gente passa e si sente… liberata”. Benvenuti nell'Unione Europea. 

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Un tragitto lungo che segue la linea di confine che i migranti ucraini stanno riempiendo per fuggire. “Prima ero accompagnato da due amici, ora sono solo. Vorrei fare almeno altre due tappe che sono Siret (città della Romania al confine, ndr) e la Repubblica della Moldavia. É interessante perché loro non sono nell’Unione Europea”. Le storie, ovviamente, non possono che essere drammatiche: “C’è una ragazza che sta al centro del confine. Mi avvicino, vado da lei. Stava parlando da sola e mi rendo conto che era schizofrenica. Rideva, piangeva... Ho fatto di tutto per aiutarla, ma lei non si muoveva. Aveva lasciato il marito con i figli in Ucraina, tentando di farcela senza la madre, bypassando la legge marziale che impone a tutti gli uomini di rimanere in patria a combattere. Ma la legge permette a un genitore maschio di attraversare il confine solo con tre figli. Quindi è rimasta lì, riprovando poi al successivo cambio della guardia”. I profili sono dei più vari, spiega Fabrizio: “C'è gente che è stata truffata: ha perso tutto a causa di persone che, con la scusa di offrire un passaggio per l’Europa, in realtà ha rubato loro soldi. Gli ucraini hanno una forza di volontà incredibile, non si può descrivere. Alcuni arrivano con le valigie, altri solo con uno zainetto. Ma la loro forza è lo spirito che mostrano di avere ogni giorno”.

E non è stato facile. “Appena ho provato a entrare in Ucraina mi hanno strappato la macchina fotografica. Ho temuto il peggio. La Romania invece mi ha sorpreso. Stanno dando un grande aiuto, stanno ospitando un sacco di gente. Qui poi ho conosciuto persone stupende: una ragazza freelance che con la sua macchina fotografica fa progetti incredibili. Ognuno è focalizzato sul suo, ma ci si confronta. Mettici poi che parlo anche romeno e che sono un po’ paraculo, questo aiuta in questo tipo di avventura”.

Spucches è stato anche assistente di Oliviero Toscani, da pochi giorni ottantenne. “Entrare nel suo lavoro è stata una boccata di cultura. Pensa che l’ultimo giorno di stage ho rotto l’hard disk con le foto di Oliviero, eppure la mia paraculaggine mi ha fatto sopravvivere. Quello che mi manca di Toscani è avere un mecenate che permetta alle foto opportunità di visibilità. Qualcuno o qualcosa che faccia esplodere anche @putinpeace, insomma”.

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E come si fa crescere un progetto del genere? “Inutile chiamare i creator. Servono Belen che fa un post Instagram, l’articolo su Repubblica, il servizio in televisione. Siamo in tanti e in tanti ci stanno sostenendo. Abbiamo solo bisogno di un colpo di culo”.

Ma le foto, in periodo di guerra, come ricordava anche Luigi Baldelli, fanno la differenza. Così Fabrizio si chiede: “Ha senso documentare con la propria pelle i morti? Rischiare la vita in un periodo in cui esistono Instagram e TikTok che permettono di registrare perfino la guerra in maniera inedita? Ho visto il video di un soldato che spara a un civile e poi lo riprende col cellulare. “When I shoot, I shoot”, diceva Robert Capa. Le foto, come mi ha insegnato Oliviero, possono essere più forti delle bombe. Gli scatti di Micalizzi o Cucciarelli (fotografo italiano, ndr) sono state esattamente questo”. Intanto, stando a quanto ha annunciato a MOW, Spucches farà "il Paolini" davanti ai punti press per far conoscere la realtà di @putinpeace. Serve anche questo per aiutare chi soffre.

 

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