È il silenzio. C’erano tutti, Elly Schlein, Enrico Letta, Don Ciotti, Stefano Bonaccini, Matteo Lepore. Ma hanno fatto silenzio. Interpellati? Sì, fuori dalla Chiesa, ma a bassa voce. Sanno chi hanno davanti e chi hanno alle spalle. Fedeli, amici, sodali, cari. Non “pullman di troie”, maggiordomi, fan, elettori, debitori (morali), famiglie allargate e così via. C’è un’esclusiva, il senso di non poter appartenere al dolore di un uomo che vede sparire, all’improvviso, la donna amata per 54 anni. Flavia Franzoni, definita discreta, umile, dalla parte degli ultimi, sobria, se n’è andata mentre passeggiava in un cammino francescano. Lui, Romano Prodi, dice: "L'ultimo sorriso tra Gubbio e Assisi". Nell’affetto, protetta, dopo anni di lotte silenziose, di impronta più riformista che rivoluzionaria, maieutica, democratica.
Non che al funerale di Silvio Berlusconi qualcuno non abbia sofferto per l’uomo conosciuto in privato, dicono gentile, generoso, solare, ma è inevitabile fare il confronto tra chi ha pensato di cogliere l’occasione del funerale del Cavaliere per apparire e una sinistra messa a cuccia dal dolore di una perdita. Romano Prodi amava sua moglie e sfogliando un album di foto nei giorni scorsi commenta: “Quant’era bella lei!”. Lei, quanto, bella. La sua Flavia, di nessun altro. Quanto, perché i ricordi sono un modo di rendere discreta, misurabile, una qualità, l’amore. E bella, perché è la cosa migliore da dire guardandosi negli occhi, annullando il peso di quel verbo che guarda al passato. Perché essere stati belli significa essere belli per sempre.
La cerimonia è una lezione su come si debba onorare una relazione, una donna al di là dei meriti politici (e delle istituzioni accorse), che ha saputo amare e riflettere, conservando nel fondo del suo cuore la sua dignità umana prima ancora che morale. Semplicemente Flavia, anche agli occhi di Cristo. Devono averlo capito i colleghi del marito, parlamentari e segretari, sindaci e volti pubblici. Contano lei, Flavia, e Cristo che la guarda. E la guarda con lo stesso amore di Prodi, quello che non si spiega con i proclami o le dichiarazioni a mezzo stampa. Se lo hanno capito – e pare di sì – lo capisci dal silenzio, dalla sensazione che nel caso in cui alzassi il telefono per una foto loro sarebbero lì, pronti a tagliarti un braccio con uno sguardo di riprovazione.
La Milano di Berlusconi era sincera, piena, circense, grottesca come ci si aspettava, attestando ancora una volta l’estrema trasparenza di Silvio Berlusconi persona, in grado di attrarre il pluralismo, molto più di quanto non abbia fatto negli anni la sinistra. Però è stato tutto troppo. O almeno agli occhi di chi crede che il dolore non lo levi dal cuore con le pale meccaniche e le ruspe, ma con lo spazzolino dell’archeologo, perché il cuore è fragile e antico e ancora più antico se ami, perché ti sembra di aver vissuto un giorno e un milione di anni e forse è il poco ossigeno che resta quando una persona se ne va e il mal di testa e l’acido nello stomaco e i brividi ai denti, ma è chiaro che tu, sconosciuto, autentico straniero nella relazione tra un marito e una moglie, non possa assolutamente dire un cazzo.
Lo sapevano loro, lo sa il giornalista che si guarda intorno a San Giovanni in Monte (è caldo e i colori dei palazzi, dei portici e lo sfavillio dei vetri non aiutano). Bologna è un paesotto e senza volerlo puoi finire in Via Gerusalemme, dove c’è casa di Romano e Flavia, dove una donna ha lasciato una rosa rossa davanti al suo portone di casa. Silenzio e fiori, che poi sono la stessa cosa.