Il medievista Franco Cardini è uno fra gli storici di mestiere che di regola non si esime dal commentare il presente. Vuoi per spirito polemico, lui così fiorentino d’animo, vuoi per ormai lunga tradizione da opinionista, a domanda su come veda lui la figura di Silvio Berlusconi non si schermisce un secondo. Uomo di destra, e di destra quando esserlo in Italia era tabù, oggi incasellabile (si autodefinisce, in modo tutto personale, “cattolico, socialista, europeista”), il giudizio che squaderna nelle righe che seguono è nettamente negativo. Ma non totalmente: a suo avviso, sostanzialmente c’è da distinguere un Berlusconi uomo da un Berlusconi imprenditore da un Berlusconi politico, e all’interno di ciascuna categoria procedere a distinguere, discernere e selezionare. Perché una personalità così forte, debordante e decisiva per la storia d’Italia non si può liquidare in poche frasi sommarie. Va fatta un’analisi tecnicamente critica. Partendo, nel suo caso, anche dal proprio vissuto, dato che Cardini fu uno dei membri del cda Rai all’indomani della prima vittoria berlusconiana, dopo la famosa “discesa in campo” del 1994.
Professor Cardini, lo ha conosciuto Berlusconi?
L’ho conosciuto fuggevolmente fra il ’94 e il 2002, quando sono stato consigliere d’amministrazione prima alla Rai, dal 1994 al 1996, e poi a Cinecittà, dal 1996 al 2022. Lo conoscevo poco come persona, gli unici brevi rapporti sono stati cortesi e corretti. D’altra parte, per Berlusconi ero una persona pericolosa.
Pericolosa?
Come forse lei saprà, Berlusconi era superstizioso. Era convinto che le persone con la barba portassero male, tutte, da Garibaldi fino a Ignazio La Russa, ed evidentemente io, portando la barba anche se abbastanza corta, non potevo riscuotere le sue simpatie.
Per lei, invece, com’era Berlusconi?
Era un imprenditore liberista, e per giunta anche milanista, io sono un insegnante cattolico, socialista, con origini di estrema destra, anzi dovrei dire, provocatoriamente, di estrema destra e quindi socialista. Berlusconi era cattolico in una maniera formale, cioè secondo me non lo era.
E come politico?
Che abbia segnato la storia degli ultimi trent’anni, non c’è dubbio. Che io mi fossi sbagliato su di lui, non c’è altrettanto dubbio. Dal 1982 al 1994 sono stato fedele gregario di Indro Montanelli al Giornale (di cui editore era Berlusconi, ndr), e rimasi al Giornale anche dopo che Montanelli ne uscì, non tradendo Montanelli (e lui lo sapeva benissimo), perché non ero d’accordo su tante cose con lui, nemmeno quando disse nel 1993 “badate che Berlusconi sta per entrare in politica per difendere i suoi interessi pericolanti, rischia addirittura la galera per bancarotta, pensa solo a sé stesso, perché è un imprenditore”, cosa che va malissimo per un imprenditore che si butta in politica, perché il politico dovrebbe mettersi al servizio del pubblico. Montanelli aveva perfettamente ragione, e io a quel tempo non lo capii.
Perché?
Perché secondo me Berlusconi ci aiutava a uscire da una crisi politica che era sempre più stringente: c’era stato il fallimento del CAF (acronimo per Craxi-Andreotti-Forlani, l’ultima versione governativa della Prima Repubblica, ndr), c’era stata Mani Pulite, c’era il caos. Non che io auspicassi il “salvatore”, ma, glielo dico con questa formula, pensavo che Berlusconi fosse comunque meglio di Carlo De Benedetti.
Lo storico rivale e grande sponsor del centrosinistra, futura “prima tessera del Pd”.
Cambiai rapidamente idea, Montanelli aveva totalmente ragione. Berlusconi entrò in politica esclusivamente per fare il suo interesse.
Ma in quel frangente gli diede fiducia magari perché riuscì per la prima volta a creare un centro-destra, sia pur con l’escamotage di un’alleanza al nord con la Lega e un’altra al centrosud con l’allora Movimento Sociale Italiano.
Sì, questo fu un bene, nella prospettiva generale italiana, e gli esiti li vediamo oggi. Ho la massima simpatia e il massimo rispetto per Giorgia Meloni, che è una cara amica e che sono convinto sia una bravissima persona, onesta eccetera. Le sue posizioni ultra-atlantiste e, stranamente visto che proviene dalla destra sociale, perfino liberiste, mi meravigliano ma capisco che lo faccia per restare dov’è. La missione di un politico è anzitutto di restare al potere il più possibile.
Berlusconi in questo è oggettivamente un esempio: ce l’ha fatta a restare a galla praticamente fino all’ultimo, anche sostenendo recenti posizioni controcorrente, rispetto al governo di cui era parte, sulla guerra in Ucraina.
Sì, ma essendo Berlusconi un cane sciolto, ragionava secondo i suoi interessi e anche secondo il suo cuore, e aveva un grande cuore. Questo lo so anche a livello personale. Ma il cuore è quell’organo che sta immediatamente sotto il portafoglio, nelle ordinarie giacche all’inglese. Berlusconi la pensava in conseguenza di questo. E quindi ha spesso visto giusto, mentre ritengo che non stia vedendo giusto la Meloni. Del resto se una con quelle origini, di destra sociale, arriva a pronunciare quella frase, secondo me infame, sulla “tasse pizzo di Stato”, bisognerebbe davvero chiederle dove stia andando.
Ma sulle tasse, sull’economia, e in generale sul rapporto dei cittadini con lo Stato, il berlusconismo ha preparato il terreno per decenni, non trova?
Certamente. Il berlusconismo ha contribuito alla liberalizzazione del Paese, che c’era già in quelli che contavano, o anche negli uomini ex di sinistra rifluiti nella destra, sempre dicendosi “laici, democratici e antifascisti”, ma questo è un’altra delle ridicole storie italiane. Berlusconi ha fatto diventare il liberismo un valore di massa, e questa è una cosa che a me francamente ha dato molto fastidio. Anzi, ricordandolo da vivo e non da morto, è una cosa che non son disposto a perdonargli.
È questo il lascito di Berlusconi, quello che Giorgio Gaber “temeva in sé”, secondo la sua famosa frase?
Sì, in questo è stato un grande corruttore dell’Italia, e l’Italia non aveva bisogno di essere corrotta. Era già corrotta quasi funzionalmente. Non voglio generalizzare, so benissimo che ci sono ottime e splendide persone, ma gli Italiani nella storia hanno dato prova di essere degli opportunisti. Il Risorgimento è stato fatto così, la Resistenza è stata fatta così, e questo al netto degli eroi che ci furono. Berlusconi fu un uomo politicamente disonesto. Eticamente, è stato una distruzione: era l’uomo che ostentava le sue vere o immaginarie imprese amorose, ha fatto scadere il prestigio dell’Italia all’estero.
Lei di questo ha avuto qualche esperienza diretta?
Negli anni ’90 insegnavo a Parigi, perché l’università in Italia pensava a torto che, accettando l’incarico in Rai, fossi pensato a Berlusconi, e mi aveva negato il congedo. In realtà lui aveva stilato tutto un altro organigramma per la Rai, ma Irene Pivetti (l’allora presidente leghista della Camera, ndr) si mise per traverso e riuscì a piazzare me e Alfio Marchini (della celebre famiglia di costruttori romani, ndr), molto onesto ed equilibrato, ma sicuramente un’altra delle persone che, come me, Berlusconi non avrebbe mai voluto fra i piedi.
Non eravate allineati, o non troppo?
Non eravamo in sintonia. Io l’ho vista all’opera la sua natura corruttrice, anche nelle persone che piazzava in Rai o cercava di piazzare a Cinecittà, o sul piano del governo. Faceva della politica un comitato d’affari, esattamente come diceva Karl Marx (e ai tempi di Marx non lo era, perché l’imperatore Francesco Giuseppe non era il comitato d’affari di nessuno).
Nell’Ottocento c’era ancora il primato della politica.
Ecco, Berlusconi è stato uno degli affossatori del principio del primato della politica. Non è l’unico, eh, si potrebbe fare una bella lista di personaggi di sinistra che lo hanno aiutato, come il venerabile ex presidente della Repubblica già uomo di punta del Partito Comunista (Giorgio Napolitano, ndr).
Ma a Parigi che le dicevano?
A quel tempo mi vergognavo fisicamente a entrare all’università, perché tutte le mattine mi apostrofavano come “amico di Berlusconi”, e io rispondevo che non era affatto mio amico, non l’avevo votato e non approvavo il suo modo di far politica e il suo modo di vivere.
Insomma cambiò idea quasi subito. Ma qualche merito, Berlusconi, lo ha avuto?
Infiniti sul piano personale, conosco persone che lui ha aiutato, in qualche caso anche illegittimamente, forse, sul piano giuridico. Ma riconosco le sue qualità di uomo generoso, e anche di ottimo imprenditore. Per la verità gli imprenditori dicono che Berlusconi non capiva nulla di economia, ma per me, che da questo punto di vista sono un uomo della strada, se confrontato con tanti altri che hanno realizzato molto meno di lui Berlusconi qualcosa ha fatto. E siccome sono cattolico, spero sia nella gloria del Signore in paradiso.
A parte libri di giornalisti, non esistono ancora libri di storici su di lui, per ovvi motivi. Ne esce però uno ora in cui Pietrangelo Buttafuoco lo definisce “arcitaliano”. È una definizione esatta?
Buttafuoco è un amico e un uomo geniale, ed evidentemente lo definisce così richiamando una famosa definizione di Curzio Malaparte, nella Cantata dell’Arcitaliano, “Sorge il sole, spunta il gallo, Mussolini monta a cavallo”. Se arcitaliano è quello lì, è una persona arcipiena di qualità che non amo. Perché è un voltabandiera, che nei momenti clou della storia d’Italia si è comportato male, correndo sempre in aiuto del vincitore, dimostrando cinismo e nessuna buonafede né rettitudine morale. Se Berlusconi è arcitaliano in questo senso, è perché ha rappresentato molto bene le caratteristiche identitarie degli Italiani di oggi, e anche di ieri, quando si sono accordati con il vento della Storia. E, vorrei dirlo, per me il governo ideale è quello asburgico di Francesco Giuseppe, per probità e buona amministrazione.
Probabilmente a Berlusconi interessava, da imprenditore della comunicazione, anzitutto piacere, e piacere possibilmente a tutti.
Lui ha fatto principalmente gli interessi degli Stati Uniti, e lo ha fatto con originalità, perché i suoi interessi personali e forse anche i suoi gusti lo hanno portato anche in altre direzioni. Prendiamo Gheddafi o Putin: le sue difese erano anche positive sotto il profilo politico, secondo me. Ma ragionava facendo il conto dell’import-export. E in questo ci prendeva, pensando per esempio che l’Europa dovesse fare la cinghia di trasmissione tra l’America e Asia, e non buttarsi unilateralmente solo da una parte. Purtroppo, e il caso Gheddafi insegna, gli Stati Uniti non perdonano. Questa è una lezione che deve aver imparato la Meloni, e se per caso dovesse dimenticarla, finirà con l’essere solo una volgare antifascista, mentre ora il segretario di Stato Anthony Blinken ha fatto divieto assoluto di dire che la Meloni è fascista, e questo è molto interessante.
Molto. A proposito di vecchie ideologie, tornando a Berlusconi e al segreto del suo successo, almeno in politica: ma lei, da storico, se l’è mai bevuto lo spauracchio dei comunisti?
Questa era una mania molto comune. Fra l’altro, l’anticomunismo viscerale accomunava Berlusconi proprio a Montanelli, che pure teneva sul tavolo nel suo studio un ritratto di Stalin perché, diceva con boutade tipicamente toscana, che era stato “il comunista che fece fuori più comunisti di tutti”. Ma era una cosa del tutto irrazionale, come irrazionali erano certe manie sessuali di Berlusconi. In fondo, e questo era uno dei suoi lati simpatici, rimase sempre l’uomo della porta accanto, con cui poter parlare prendendo un caffè al bar. Parlava come la gente comune, e quindi ne rifletteva tutti i pregiudizi, senza nessun complesso d’inferiorità verso gli intellettuali. Un tratto che a me piaceva, personalmente.
Un Mike Bongiorno della politica.
Un po’ sì. In effetti Umberto Eco, che scrisse la “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, diceva spesso che avrebbe dovuto scriverne una di Silvio Berlusconi.
Tirando le somme?
Credo che nei confronti di Berlusconi si possa far tutto meno i due madornali errori che si fanno sempre riguardo i personaggi storici che si decide di cancellare condannandoli all’oblio, come per Mussolini: ignorarlo, o dirne pregiudizialmente sempre male.