Carlo Antonelli quando parla non dice mai qualcosa di banale. E nemmeno quando scrive. Lo ha dimostrato nuovamente in queste ore, dove, fra le centinaia di necrologi dedicati a Silvio Berlusconi, il suo co-firmato con Luca Guadagnino è spiccato su tutti gli altri per stile, originalità e una certa dose di enigmaticità (e in parte ce lo ha decodificato). Ma Antonelli, presidente della società di produzione cinematografica Frenesy, è stato anche il direttore di Rolling Stone Italia che nel 2009, in pieno scandalo “bunga bunga”, dedicò la copertina del magazine proprio all’ex premier come “rockstar dell’anno”. Una cover che fece discutere, tra le proteste di larga parte dei lettori e il rilancio della rivista su tutte le altre testate, nazionali e internazionali. Una provocazione? Una trovata di marketing? Una scelta che, potendo tornare indietro, non rifarebbe? Niente di tutto questo. Ce lo ha raccontato e, nel farlo, ha ricostruito l’ambiente nel quale l’Italia era immersa al tempo, fra “sciarade di ragazze che spuntavano da ogni dove”, feste lussuose in Costa Smeralda, le rivelazioni di Patrizia D’Addario sulle abitudini sessuali del tycoon, l’emergere nel dibattito pubblico dei leggendari “lettone di Putin” o la “pompetta" contro l'impotenza dopo il tumore alla prostata, il tutto sullo sfondo delle leggi ad personam approvate dal Parlamento e un Paese spaccato sull’orlo di una crisi, non solo economica. L’ex direttore di Rolling Stone (oltre che di Wired e GQ), ci ha poi spiegato perché oggi nell’informazione stiamo vivendo un periodo di stagnazione e, se potesse dedicare una nuova copertina a qualcuno, non sceglierebbe di certo Giorgia Meloni (“l’avevo già portata anni fa a scattare foto dai verdurai dove li appellava core de Roma”), né tantomeno Elly Schlein ("non parla al ventre delle persone"), ma semmai un personaggio a cavallo fra politica e media come Bruno Vespa: “Ha un forte potere, non sarebbe male rompergli le balle”. E ci ha confessato una sua ossessione che lo lega a Berlusconi: “Spesso prendo un taxi e faccio un giro a Milano 2...”.
Carlo Antonelli, a quasi 15 anni di distanza dalla copertina “Berlusconi rockstar dell’anno”, si pente di quella scelta o ne va fiero?
Ma figuriamoci, non mi pento per niente. Ne vado fierissimo!
Ci spieghi perché.
Bisogna tornare al clima dell’epoca. E cioè allo scoppio dello scandalo sulle abitudini personali dell’ex premier. Ricordiamo la famosa lettera di Veronica Lario a Repubblica, le registrazioni di Patrizia D'addario dopo esserci stata a letto, oltre a una estate nella quale Berlusconi non si è trattenuto. Quindi ogni giorno uscivano immagini di festoni a Villa Certosa, incursioni nei locali della Costa Smeralda, la storia del “lettone di Putin” e la sciarada dei nomi delle signorine coinvolte.
C’è chi vi accusò di fare politica...
Ma Rolling Stone non era una rivista solo musicale. Quella fase finisce nel 2011 quando, senza fare il presuntuoso, io passo a Wired. Nel 2003 si era già smarcato dall’essere solo musicale, passando a trattare il rock'n roll style. Infatti conteneva una certa interpretazione dell’arco generale della cultura, popolare e sofisticata, che aveva a che fare con un certo modo di vivere, tenendo sempre al centro la libertà e con una predisposizione al motto “sex, drugs and rock'n roll”.
E quindi siete arrivati alla sintesi “Berlusconi rockstar dell’anno”?
Non c’era dubbio che quell’anno avesse dato il massimo. Ovviamente era ironica. La cover era stata studiata attentamente ed era anche critica. Berlusconi appariva con un ghigno mentre stracciava la Costituzione con i colori della bandiera dell’Italia e sui polsini sfoggiava due gemelli a forma di teschio.
Ricordo che anche all’interno erano presenti articoli critici verso l’ex premier.
Sì, riportavamo in maniera estremamente critica il suo comportamento, mettendo in relazione il rock'n roll style del premier al suo operato in politica, nel mezzo della seconda più lunga legislatura della Repubblica. In pratica era un dominio, dentro al quale il suo comportamento privato non lo era più, perché avveniva anche in luoghi pubblici, oltre alla famosa serie di riscritture di leggi ad personam. Quello è stato anche l’inizio dei processi che hanno segnato la sua parabola. Per arrivare a quel numero di Rolling Stone abbiamo lavorato molto sulla timeline che lo aveva portato a quell’apice e abbiamo capito quale era stato il detonatore in grado di far esplodere il suo atteggiamento.
Quale?
L’operazione che aveva subito per la rimozione di un cancro alla prostata, che gli aveva provocato una impotenza e una incapacità di eiaculare, poi risolta da Berlusconi grazie a dei chirurghi americani. Una fase durante la quale era arrivato a utilizzare la famosa “pompetta”. Fino ad allora i suoi comportamenti privati erano rimasti entro dei confini contenuti, in seguito sono esondati.
Anche perché è difficile pensare che abbia cambiato completamente abitudini da un momento all’altro...
No, lui dalle ragazze di Colpo Grosso alle meteorine del Tg4 di Emilio fede, ha sempre attinto a quel bacino delle sue tv. Ma quella esagitata richiesta di sessualità lo ha portato fuori dal suo solito ambiente, quindi sono entrate in scena signorine da ogni dove. Da qui l’interpretazione che abbiamo fatto con quella cover, perché avevamo bisogno di entrare dentro la conversazione pubblica. Quella copertina fece il botto, finendo su tutti gli altri giornali e le televisioni, anche internazionali.
Oltre ai ragionamenti ideali sullo spirito della rivista è stato anche un gran colpo di marketing.
Con i lettori fu un casino, arrivarono tantissime lettere di protesta. Ma era necessario capire che Rolling Stone aveva nel Dna la politica. Già in America interveniva attivamente dedicando la cover a Obama o con inchieste molto critiche di Matt Taibbi. Ma non era la prima volta. Nel 2007 avevamo già dedicato una cover esclusiva dal titolo “Il giorno del vaffanculo” a Beppe Grillo. Ogni tanto entravamo dentro il dibattito politico, altrimenti il giornale aveva una funzione errata.
Che cosa le dissero dalla casa madre americana?
Lo stesso Jann Simon Wenner, fondatore della rivista, rimase strabiliato. Non riusciva a capire se fosse positivo o negativo, ma non era detto che la cover dovessero essere sempre un tributo positivo. Un’altra famosa che abbiamo fatto è quella a Vasco Rossi, quando trovammo da un fotografo di provincia tutta una serie di scatti che erano stati eliminati dalle agenzie, e cioè di un Vasco “fattissimo” agli esordi. Era un giornale decisamente caleidoscopico.
Oggi i giornali e i siti di informazione che fase stanno attraversando?
Vedo molta stagnazione. Alla fine, nella sua incredibile volgarità, perché ha un trattamento inaccettabile della figura femminile, l’unico che spinge in questo senso è il sito Dagospia. Gli altri se ne stanno molto quieti. Oppure non riescono a cogliere quale sia il punto della questione.
Lei a chi dedicherebbe una cover oggi?
Io adesso sto facendo parecchie interviste a figure culturali. Credo sia uno dei pochi modi per estrarre quello che rimane dell’umanità, in un momento in cui l’umanità è estremamente ridotta. Una risposta semplice potrebbe essere Giorgia Meloni, ma l’avevamo fatta anni fa per GQ portandola in un mercato rionale con foto stupende in bianco e nero di lei che appellava i verdurai core de Roma”.
Elly Schlein potrebbe diventare interessante per una copertina?
Ci siamo visti per caso in aereo, su un Roma-Genova, e devo dire che è più interessante dal vivo di quello che sembra in pubblico. È anche più bella. La famosa questione dello stile tirata fuori da Vogue è giusta, perché ha un modo di vestire legato molto all’usato. È encomiabile, poi, che abbia preferito andare al Pride che nella tenuta di Bruno Vespa… Ecco, una cover oggi la farei su Vespa.
Vespa come emblema del potere camaleontico?
Non perché è rock'n roll, ma perché detiene un forte potere. Quindi non sarebbe male andare a rompergli le balle. Anni fa avevo preparato per Rolling Stone una copertina dedicata a Fabio Fazio che aveva come strillo “Il coniglio mannaro”. Poi non se ne fece più nulla. Bisogna giocare sull’inversione di senso. Anche Vespa si presta a questo ragionamento. In politica non vedo niente. Schlein ha avuto un inizio discreto, ma deve ancora marcare una differenza, però non mi sembra così rock. Non parla al ventre delle persone.
È sempre lì che deve parlare un politico per farsi seguire dalle masse?
Sì, perché l’aumento della povertà sta facendo emergere una rabbia sociale enorme. La tensione oggi è su quel versante. Uno che amo molto è Baby Gang, perché tra musica e arresti, esprime questa rabbia di periferia delle seconde generazioni che ha molto da raccontare, come già accaduto in Francia nelle banlieue. Nell'epoca che stiamo attraversando bisogna immergere le dita in queste viscere.
Senta, ma prima di salutarci ci spiega anche il necrologio per Silvio Berlusconi che ha pubblicato sul Corriere firmandolo insieme a Guadagnino? Cos’è, uno sberleffo, una provocazione o un omaggio creativo?
Ci volevamo smarcare dall’ironia facile riguardo alle solite faccende. È stata una cosa immediata, è venuta dalla pancia. Abbiamo descritto un giro malinconico all’inizio di tutto, perché Milano 2 rappresenta quell’inizio, comprese le ombre nemmeno troppo vaghe sulle sue fortune. Già allora l’idea di città ideale era folle, e poi è ai margini di via delle Olgettine che viene evocata. In qualche modo il messaggio contiene vari elementi che vanno decriptati. Ma anche i cigni è la verità, perché mi è successo che in alcuni laghetti sentissi il famoso “canto del cigno”. E altri lo hanno sentito nel tempo dai vari uffici. In qualche modo ci piaceva evocare una sorta di fantasma, come in un film horror, una sorta di poltergeist (una presenza di spiriti rumorosi, ndr) generato dalla quantità incredibile di risate, scherzi e barzellette che erano il cuore fondamentale dell’anima di Berlusconi.
Ne parla con grande ammirazione, in fondo Berlusconi ha affascinato anche lei?
La sua vita è stata tutta un cinema, in questo senso affascina. Ma c’è una cosa che ho sempre fatto. Ho degli amici americani e internazionali e quando mi vengono a trovare li porto a prendere un taxi a Cascina Gobba per fare un giro a Milano 2. Per me è proprio una ossessione. Il fatto stesso che la camera ardente hanno pensatgo che potesse essere allestita in uno degli studi di Mediaset sarebbe stato l'ennesimo colpo di genio totale!