Il funerale di Stato al Duomo di Silvio Berlusconi, ripreso dalle telecamere della RAI, è stato celebrato dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini. L’omelia, che secondo alcune indiscrezioni sarebbe stata scritta nei giorni scorsi, ha sollevato qualche critica. Come nota Enrico Mentana fuori dalla chiesa (dovere di cronaca dice): “Non tutti l’hanno apprezzata allo stesso modo. C’era qualcuno che era sconcertato”. E a confermare la sensazione del direttore del TgLa7 c’è l’ultimo post di Daniele Capezzone che inizia così: “L’omelia pronunciata da monsignor Delpini è stata costruita in modo furbo, perché suscettibile di interpretazioni opposte”. La tesi di Capezzone è che la prima parte del testo pronunciato da monsignor Delpini possa orientare a una lettura benevola di Silvio Berlusconi, come uomo mondano che ha cercato di fare esperienza della vita per ciò che è: “Un orecchio benevolo vi coglierà la naturale tensione di ogni essere umano alla gioia, al desiderio, alla dimensione terrena”. Tuttavia, “un orecchio malevolo vi coglierà tutt’altro: la descrizione di esseri umani immersi nei vizi mondani, nell’apparenza, nella superficialità. Rispetto ai quali i paragrafi conclusivi dell’omelia restano freddi, duri, senza il calore di una carezza”. È chiaro che Enrico Mentana abbia più ragione di Capezzone, nonostante entrambi si siano mossi nella stessa direzione. La cronaca infatti non può omettere che vi sia stato malcontento per l’omelia (sembra che ai critici si debba aggiungere anche un Piersilvio spazientito che durante il discorso dell’arcivescovo scuoteva la testa come a dire “No”). Ma Capezzone ha invece torto nel personalizzare l’omelia, come se il prete officiante stesse parlando solo ed esclusivamente di Berlusconi. O meglio: l’omelia non deve certo far piacere alla famiglia o ai cari del defunto. Immaginare che l’omelia sia un servizio da ufficio stampa, neanche la famiglia fosse sponsor di Dio, è abbastanza superficiale, e rivela una scarsa propensione all’ascolto (cristiano) dell’omelia.
Mentre è chiaro che vi siano degli elementi ammonitori nel testo dell’omelia, pensare che questi siano una semplice critica al Cavaliere è fare della messa funebre un servizio al defunto, piuttosto che un servizio a Dio. Il fraintendimento alla base della lettura di Capezzone poggia sulla convinzione che ogni uomo sia avversario agli altri uomini, persino un uomo di Dio. Ma l’operazione messa in atto da Delpini è più sottile e meno da pica di quanto non creda il buon vecchio Daniele, così lanciato nei giudizi e nelle polemiche da dimenticare che nel Regno di Cieli vi si accede per il fatto di essere uomini e non per il fatto di essere Berlusconi. Nella sua omelia l’arcivescovo lo spiega benissimo: “Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento”. Questa non è, nell’interpretazione benevola, la sospensione del giudizio, come crede Capezzone, in attesa che sia Dio a giudicare. Questa è una dichiarazione di ottimismo, comunque la si voglia vedere. Si dice che la vanità dell’essere personaggi, la testardaggine dell’essere imprenditore e la partigianeria dell’essere politico, peseranno sul piatto della bilancia molto meno di amore, gioia e conoscenza. La conoscenza, infatti, della precarietà del successo e della felicità per esempio (Delpini dice: “Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria”), è la chiave per il paradiso. Non perché basti essere coscienti ma perché la conoscenza è prima di tutto un dare sapore alle cose. Kurt Flash, parlando della teologia di Cusano e della figura dell’idiota, scrive: “La sapienza, sapientia significa 'gustare', un sapere, un assaporare la verità. E il gustare lo si fa di persona”. Non si avverte nessuna distanza da questa idea nell’omelia di Delpini, che quindi non condanna, se si legge in modo approfondito, gli errori di Berlusconi.
Che l’omelia abbia destato reazioni mi sembra dimostri più un gioco al ribasso dell’intelligenza collettiva, che guarda al funerale con gli occhi dei tormentoni mediatici e non con quelli di un cristianesimo da assaporare, cioè da imparare a conoscere. Capezzone, purtroppo, apre uno spiraglio polemico in un momento in cui avrebbe preferito che non vi fossero polemiche. Finendo per generare, cioè, quanto voleva che si evitasse. Facendo dietrologia, ovviamente, in un’occasione che, tra le tante, poteva facilmente rimaner fuori dalla diatriba giornalistica e politica. Anche perché Dio non è al libro paga né di Berlusconi né della sinistra, e a differenza di come tendiamo a impostare il discorso, anche una certa chiesa, quella di Ratzinger (che nominò vescovo vicario proprio Delpini) sta provando a smarcarsi dalla teologia politica e dai calcinacci di un pensiero cristiano troppo immerso nelle questioni temporali. Dovremmo chiuderla come l’ha chiusa Delpini: “Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio”, senza farsi troppo prendere la mano da un eccessivo desiderio di proteggere una figura come quella di Berlusconi, che agli occhi di Dio certo non necessita di nessun avvocato difensore. Anzi, avvocato Capezzone.
L'omelia integrale dell'arcivescovo Delpini per Silvio Berlusconi
1. Vivere.
Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che c’è sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora.
Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.
2. Amare ed essere amato.
Amare e desiderare di essere amato. Amare e cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande.
Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi.
Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.
3. Essere contento.
Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia.
Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.
4. Cerco l’uomo.
Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari.
Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte.
Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta.
Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà.
Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento.
Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio.