Il libro segreto di CasaPound, scritto da Paolo Berizzi ed edito da Fuori Scena (che ripetutamente abbiamo contattato, invano, per avere una copia del suddetto libro) è un buon libro, dai. Dopo averlo comprato pure di tasca nostra, evidentemente per il troppo da fare dell’ufficio stampa, oppure per un certo snobismo, dire che sia un libraccio sarebbe una vera e propria disfatta. Ma le recensioni servono o per elogiare, o per stroncare un libro. Non crediamo sia facile stroncare un libro di un grande giornalista come Paolo Berizzi, anzi sarebbe più che altro arrogante, perché in qualche modo il racconto è decisamente approfondito, però ci si aspettava qualcosa di più per cui saltare sulla sedia. Cose interessanti ce ne sono, e parecchie, a partire dal racconto estremamente dettagliato dell’interno della torre di CasaPound in via Napoleone III, occupata dal 2003, Nessuno, prima di Berizzi, aveva raccontato con questa dovizia di particolari la vita interna dell’edificio simbolo del movimento. La divisione degli spazi, le gerarchie, i piani riservati, le stanze dei dirigenti, i meccanismi di controllo e di disciplina, che nel tempo sono stati anche oggetto di attenzioni da parte della magistratura romana, soprattutto in relazione alla gestione economica dell’occupazione e ai flussi di denaro. Poi c’è la sezione su capi e capetti, che è certamente quella che più interessa un qualsiasi giornalista d’inchiesta, a partire dai contatti del signor Carlo Clemente con il cosiddetto “mondo di mezzo” milanese e con quello delle curve. Qui il riferimento è a quel sottobosco che negli anni ha visto intrecciarsi ambienti dell’estrema destra, tifoserie organizzate, gruppi neonazisti e criminalità comune. In questo senso lo scontro tra CasaPound e gli Hammerskin di Lealtà e Azione è decisamente interessante ed è uno dei pochi passaggi in cui CasaPound appare davvero come un club di cattivoni. Qui, paradossalmente, il figurone lo fanno gli irriducibili hammerskin, che nel libro emergono come più coerenti, più radicali e meno inclini a compromessi politici. D’altronde un libro scritto grazie a una gola profonda non può essere tutto una bomba.
È ovvio che le veline servano a chi le fa girare: c’è sempre uno scopo preciso, quello di indirizzare verso una verità, o verso una menzogna, oppure di portare chi indaga in un vicolo cieco, o ancora di mandare un messaggio a qualcuno. È una dinamica ben nota a chi frequenta le cronache giudiziarie e le inchieste su movimenti politici opachi, soprattutto quando questi sono stati più volte sfiorati da procedimenti per associazione, istigazione all’odio razziale o violenze di piazza, senza però mai arrivare a una condanna complessiva del gruppo. Dunque vi sono parti quasi del tutto inutili, come quella delle fasciste su OnlyFans, anche se, non si sa mai, un giorno quei passaggi potrebbero tornare utili. Da prendere e mettere da parte. È il classico materiale di colore che in un’inchiesta può sembrare superfluo, ma che a volte, col senno di poi, serve a ricostruire reti relazionali, finanziamenti laterali o semplicemente il clima culturale di un ambiente. Ad ogni modo è un libro abbastanza clemente verso l’immagine del partito CasaPound, e non si capisce perché Di Stefano lo abbia stroncato con così tanta rabbia. Forse non lo ha letto fino in fondo, perché in ogni caso, a parte tutta la questione dei riti pagani che, per carità, fanno molta scena, in verità poi contano poco rispetto alle questioni monetarie raccontate, che sono il vero nervo scoperto del movimento e che negli anni hanno attirato l’attenzione della Guardia di Finanza e delle procure, soprattutto in relazione a donazioni, fondazioni, associazioni satellite e rapporti con imprenditori romani. Verso la fine ritorna la ormai nota storia della vicinanza degli Spada a CasaPound, famiglia al centro di numerose indagini per mafia a Ostia, e della missione fallita dell’eroe buono Di Stefano, rimasto coerente fino alla fine, il quale pure agli Spada e alla loro violenza non voleva piegarsi, e nessuno, Iannone incluso, è intervenuto ad aiutarlo. Poi c’è anche la questione di Fratelli d’Italia, che fallisce nel tentativo di inglobare in sé CasaPound per l’intransigenza, ma pur sempre per la coerenza di Di Stefano, che, ragazzi, da questa storia esce come un eroe dark, ma comunque come un buono, trascinato a fondo dal declino di una macchina-partito che occupava con esemplare ordine e disciplina un palazzo abbandonato tra due stazioni di polizia, aiutando chi, senza una casa, poteva trovare un tetto sotto cui stare per cento euro al mese a un tiro di schioppo da Santa Maria Maggiore. Cioè, in questo libro CasaPound, a parte i donatori – che vabbé, non saranno stati contenti di finire citati, ma si sa che certi personaggi di una certa Roma che conta non sono stati nominati per evitare querele – e a parte quei personaggi di Fratelli d’Italia e della Lega che vengono messi in relazione con l’ex partito fondato da Iannone e Di Stefano, non fa affatto una brutta figura. È una storia drammatica, dettagliata, non particolarmente “segreta” tranne che per alcuni passaggi, ma davvero non si capisce perché debba essere attaccata come un libro pieno di falsità e sciocchezze. Ci è parso anzi piuttosto clemente nei confronti di CasaPound. Dunque ve lo consigliamo, anche se siamo stati costretti a sborsare la modica cifra di quindici euro per leggerlo. Poi si legge facilmente, è scritto in un italiano semplice semplice, a prova di imbecille, quindi non c’è nemmeno la scusa di dire “è troppo complicato, è troppo lungo”. Ecco, quindi accattatevi il libro di Berizzi e andate in pace.