Una notizia coperta dal fragore delle bombe su Gaza e dai comici russi che raggirano lo Stato italiano, ma pur sempre una notizia. Triste e importante. AP scrive il 31 ottobre – due giorni dopo anche il Washington Post ci fa un editoriale – che i tre membri della Tor Band, gruppo bielorusso dalle tinte combat folk-rock, arrestati nell’ottobre 2022, sono stati condannati (dopo un processo tenutosi, ovviamente a porte chiuse, lo scorso 14 ottobre) rispettivamente a 9 anni (Dzmitry Halavach) e 7 anni e mezzo (Yauhen Burlo e Andrey Yaremchyk) di reclusione. L’accusa è incitazione all’odio, costituzione di un gruppo estremista, vilipendio al presidente. Inoltre, i tre sono rei di aver “gettato discredito sulla nazione”. Nulla di raro nella democratica Bielorussia di Alexander Lukashenko, che dal 1994 si è impegnato affinché la sua polizia arrestasse 35.000 persone (il reato? La protesta) e ne menasse svariate migliaia.
Una prova, l’ennesima, di quanto la repubblica presidenziale bielorussa sia di fatto, nonostante il voto, un regime totalitario. Tutto risaputo? Con la Tor Band che è solo una vittima più visibile di altre? Può essere, ma allora qualcuno avvisi Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, che lo scorso luglio, non nell’estate del 1993, ospite a un festival a Vitebsk (cuore della Bielorussia), dichiarava: “Non conosco Lukashenko, non l’ho minimamente incontrato. Sono qui solo perché invitato dal presidente del festival, un raffinato conoscitore di musica”. E proseguiva: “Devo la mia popolarità agli ucraini, ai russi, ai bielorussi... si può essere neutri?”. Mah, un po’ difficile – in certi casi – essere “neutro” se sei davvero libero. Perché Pupo si è orgogliosamente definito libero, e forse, in cuor suo, si sente davvero tale: “Sono qui gratis – disse sulla sua presenza a Vitebsk – e solo per fare il mio lavoro: sono qui perché sono un uomo libero”.
Forse sono le parole, il problema. Quando non costano nulla escono fuori così, come fossero impronte che un solo soffio è capace di cancellare. Che Pupo non vada in Bielorussia non è gesto in grado di spostare alcun equilibrio o, addirittura, salvare dalla galera la Tor Band. Solo, in una geografia globalizzata che ci sbatte in faccia con sempre maggior vigore le nostre plateali contraddizioni, si sta allungando la lista di personaggi – vedi Jordan Henderson, giocatore del Liverpool passato la scorsa estate all’Al-Ettifaq, in Arabia Saudita, nonostante il suo impegno a favore della comunità LGBTQ+ – che, messi davanti alla faticaccia di iniettare “senso” nelle loro parole, si ritrovano spaesati. Se i petrodollari chiamano, che sarà mai una parola, “libertà”, così scioccamente gratuita? Ma forse siamo noi che esageriamo con la morale e dimentichiamo che chi canta “Gelato al cioccolato”, in effetti, non ha nulla da temere. Quale governo potrebbe mai avere interesse a zittirlo?