Abbiamo fatto un sogno. E nel sogno vedevamo riprodotta la scena apparecchiata per il videoclip di Two tribes, il brano dei Frankie goes to Hollywood che spopolò nella prima metà degli anni Ottanta. Chi c'era, ricorderà. Si era in piena Guerra Fredda, appesi al fragile equilibrio bipolare della pace armata fra le due superpotenze che pareva dovesse essere eterno, e invece aveva un solo lustro di vita residua. Al centro di quella scena si trovava un'arena angusta, circolare e col fondo sabbioso. E tutto intorno una folla in preda a eccitazione animalesca, ansiosa di scommettere sul sangue pronto a scorrere. Quindi, al centro dell'arena, i sosia di Ronald Reagan, presidente degli Usa, e di Konstantin Ustinovič Černenko, segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS).
Nel video i due se le suonavano nel modo più canagliesco, tale da generare lo sdegno del più vile combattente di MMA. E tuttavia è al sogno che bisogna tornare. Per specificare che al centro dell'arena del sogno non c'erano i leader delle due diverse tribù, ma piuttosto i membri di una stessa tribù (quella dei politologi statunitensi, una schiatta composta da soggetti che in qualche caso hanno trovato l'America in Italia), e per questo ancora più incanagliti nel darsele, poiché l'impeto di guerra civile è sempre più belluino che quello scatenato contro i foresti. E i due nell'arena sabbiosa, bardati come lottatori di sumo, rispondevano ai nomi di Luttwak Edward, il Don Lurio delle Political Sciences, e Kissinger Henry, il sincero spirito democratico che fu architetto e mandante morale del golpe cileno e del macellaio Augusto Pinochet.
Dentro il nostro sogno i due si urlavano primatescamente in faccia i rispettivi punti di vista su come dovrebbe essere risolta la crisi russo-ucraina. E invariabilmente la dicevano uno all'opposto dell'altro, e poi miracolosamente ciascuno faceva sua la posizione dell'altro e contrastava come se fosse una bestialità la propria di cui l'altro si era appena impadronito. Come se davvero le sorti di un conflitto che si svolge nell'Europa del pieno Ventunesimo secolo potessero dipendere dalle ricette di due vecchi arnesi americani in fuga dal secolo Ventesimo. E come se le due maschere tragiche da cui dipende il conflitto corrente – lo psyco-autocrate di Mosca e il capocomico di Kiev – stessero a udire qualcosa di diverso dal proprio ego, figurarsi due barbogi rintronati che fanno il verso al Dottor Stranamore.
Ma sia come sia, nel sogno succedeva che dopo le brevi schermaglie verbali, fra un biascico e una frase smozzicata, partiva lo scontro fisico con turbinar di dentiere e un ballonzolar di panze vizze. Col cantante dei Frankie goes to Hollywood che chiamava il climax e il pubblico bardato di bandiere russe e ucraine che invadeva l'arena e ingrossava la portata della rissa. Poi ci siamo svegliati. E dopo esserci goduti la breve sensazione di veder dissolvere una scena così trash, ci siamo immersi nella realtà. Laddove abbiamo trovato l'inossidabile Luttwak che continua a schierarsi dalla parte dell'invio di armi all'Ucraina. E soprattutto abbiamo trovato Kissinger, che nonostante i quasi cent'anni d'età continua a lesionare i cabbasisi facendo pronostici sull'opportunità che la guerra si concluda entro questo mese, ciò che significa un'esortazione a Zelenski affinché lui e il suo paese si arrendano. E a quel punto, rassegnati, ce ne siamo tornati a dormire.