Se ne è andato un amico, a cui la vita un anno fa aveva regalato l’ultima gioia, un figlio che ha chiamato Giorgio come suo padre, ucciso dai nazisti. Roberto Cavalli se ne è andato a 83 anni, lo avevo sentito da poco, la voce era affaticata, ma era sempre stato anche il suo modo di parlare, da ex fumatore di sigari, un po’ alla Montalbano. Mi ricordo ancora la telefonata di un anno fa, era appena diventato padre del suo sesto figlio. Sapevo dell’arrivo del bimbo fin dai primi mesi, ma per volontà sua e della sua compagna da vent’anni, Sandra Bergman, svedese, avevo taciuto. Poi finalmente è nato, “Roberto, sì, sono diventato papà di nuovo. Un maschio, Giorgio!”. La sua voce, testosteronica, profonda, calda come quella di un attore di prosa, mi ha comunicato così la notizia, con una dolcezza infinita e non erano certo i suoi ottantadue anni a rendere meno magica l’emozione di un padre, anche se oggettivamente l’età mi colpiva. Come detto, era da mesi che ero a conoscenza della gravidanza della sua compagna, donna straordinaria, da decenni legatissima a Cavalli, ma la prudenza era d’obbligo e non è stato facile per me, un giornalista, trattenermi, ma chi mi conosce lo sa: di fronte a bambini da tutelare, anziani da proteggere e malattie da affrontare, faccio sempre un passo indietro. Ma che fatica. Un anno fa il bambino è nato, Roberto era così felice mentre me lo comunicava. Cavalli era un genio della moda, un uomo gentile, colto, un amico che conoscevo da tanti anni, ma mi sembrava così emozionato che quasi dimenticavo che per lui era il sesto figlio. Perché Cavalli aveva due figli, Tommaso e Cristiana, nati dalla sua prima moglie Silvana, e tre, Robert, Rachele e Daniele, avuti dalla geniale e bellissima Eva Maria Düringer, austriaca, che tanto ha contribuito al successo del suo marchio, griffe famosa in tutto il mondo. Mi disse: “Il bambino è nato a Firenze, è bellissimo ed è stata una grande emozione vederlo appena nato, una vita che sboccia, cresce. L’abbiamo chiamato Giorgio, come il nonno, mio padre”. Ogni volta che raccontava di suo padre, la voce di Cavalli aveva un momento in cui si incrinava. Aveva solo quattro anni quando Robertino, così lo chiamavano in casa, seppe che suo padre Giorgio non sarebbe più tornato, preso nel 1944 dai nazisti della Wehrmacht e fucilato a Cavriglia, in Toscana.
Fu una delle pagine più buie della guerra, era il 4 luglio del 1944 e le truppe tedesche della divisione Hermann Göring rastrellarono, mitragliarono e bruciano i corpi di centonovantuno maschi tra i quattordici e gli ottantacinque anni nei paesi del comune di Cavriglia, in Valdarno. Tra loro c’era anche Giorgio Cavalli. E così la madre, figlia di un grande pittore macchiaiolo, Giuseppe Rossi, rimasta sola con due figli, lui e Lisetta, andò a Firenze per mantenere la famiglia. Furono anni durissimi e quel dolore Roberto non l’ha mai dimenticato, non è mai riuscito a soffocarlo del tutto e questo bambino che era arrivato da Sandra era una sorta di omaggio a un padre, Giorgio, che lui non ha potuto amare quanto avrebbe voluto. E per Cavalli la quotidianità era fatta soprattutto d’amore, per Sandra, per i cinque figli, anche per l’ex moglie Eva, che era in buoni rapporti con Sandra, nata a Ystad, in Svezia, e che in passato è stata una modella famosa nel mondo. E in questa famiglia allargata era arrivato Giorgio, un bambino fortunato, nato dall’amore, il sesto figlio di un uomo speciale che anche a un’età in cui per altri ogni passione è spenta, vuole ancora amare la vita negli occhi di un bambino. Ma quando nacque Giorgio fu uno scandalo. Dello stilista, ormai ritiratosi e dopo aver venduto tutto, ricordo che dissero: a ottantadue anni non si può diventare padri. E lo dissero tutti, o quasi. Lo sdegno fu tale che mi sentii in dovere di scrivere una lettera aperta a Giorgio. Quella lettera la scrissi perché ho pensato che anni dopo Giorgio l’avrebbe letta e gli sarebbe sembrata meno cattiva la gente che era stata così indelicata a giudicare il suo arrivo. E oggi quella lettera pubblica ha forse un valore più assoluto. Eccola.
Caro Giorgio, hai pochi giorni di vita e sei già una celebrità. Non è certo merito tuo, il fatto è che hai un papà, Roberto Cavalli, famoso in tutto il mondo e sapere che è diventato ancora papà a ottantadue anni e tu sei il suo sesto bambino, il primo di tua mamma Sandra, ha fatto notizia. Ne hanno parlato tutti, dal "Corriere della sera" a Dagospia, dal "Fatto Quotidiano" a "Repubblica", dal Sussidiario.net al "Messaggero". E tutti hanno ripreso la notizia data da me e che avevo anticipato su Instagram ed è così che a nemmeno due settimane dalla tua nascita tu sei già un personaggio. Ma non lo sei solo perché tuo papà è un grande artista (non solo stilista, ma anche disegnatore, pittore, fotografo), ma perché tu rappresenti una decisione che parte da un atto d’amore infinito, quella tra tuo papà e tua mamma. Non stare a dar retta a quelle persone (forse mosse da considerazioni superficiali, nemmeno cattive) che dimenticando che si parlava di te, un bambino, si sono permessi di giudicare, di tirare in ballo l’età più che ragguardevole di tuo papà. Io di fronte a un bambino faccio sempre un passo indietro e non esprimo giudizi, ma solo un sorriso di benvenuto in questo mondo. Tua mamma è una donna intelligente, perbene, anche giovane (solo trentotto anni) e pure ricca (il che non guasta) e sognava in questi anni diventare madre. Tu nasci in una famiglia allargata, hai già cinque fratelli, stupendi, tutti figli di papà Roberto, e anche mamma Sandra ha una famiglia bellissima. Non sarai mai solo, caro Giorgio. In più hai la fortuna di nascere tra due culture, quella fiorentina di papà, e quella svedese di tua mamma. Imparerai le lingue, viaggerai e avrai una famiglia allargata che ti accoglierà e, lo spero per il bene di tutti, saprà amarti, consapevole che un bambino è sempre e comunque una ricchezza del cuore e dell’anima. Sì, come ho voluto scrivere nel titolo di questa lettera tu sei un bambino ben nato e in me e in tutti gli amici di tuo papà e di tua mamma avrai sempre qualcuno su cui contare. A te, auguro tutta la felicità che una nuova vita può dare. Sei ben nato, lo ripeto. Anzi, viva che sei nato, Tuo Roberto.
Ecco quella mia lettera aperta a Giorgino terminava così. Giorgio oggi ha poco più di un anno, ma sono certo che quando potrà saprà apprezzare quel padre geniale, che ha saputo essere con me anche un buon amico. Ciao, Roberto, hai lasciato in noi bellissimi ricordi.