Uno dice: esce il nuovo album di Cosmo, Sulle ali del cavallo bianco, un album decisamente più pop del precedente, La terza estate dell’amore. Nel dirlo pensa, certo che Cosmo tira sempre fuori titoli fighi per i suoi album, chissà dove trova spunti per non infilarli, che so?, coi numeri. Comunque, uno dice: Cosmo è un’eccellenza della nostra scena elettronica, speriamo che questa faccenda del disco pop non si traduca in un voler fare l’occhiolino alla robaccia che gira adesso, lui che è sempre stato così originale. E poi uno aggiunge, anche perché ho letto che ha fatto dichiarazioni che giustamente mettevano uno stigma rispetto al mercato per come gira adesso, con questi numeri superdopati, non dotati, pensa, dopati, che citare Rocco di questi tempi è davvero troppo cheap, sia mai che al quinto album solista pecchi di incoerenza. Uno dice: va bene volersi mimetizzare con una idea, anche posticcia, di sperimentazione, e mentre scrivi di sperimentazione, complice il tasto della spaziatura difettoso ti viene in mente che forse potresti giocare con la parola disperimentazione, neologismo che tiene insieme disperazione e sperimentazione, ma forse hai reso anche troppo l’idea, c’era un detto popolare che sosteneva che il troppo stroppia, e si, forse è il caso di passare a altro mood, quel che volevi dire si è capito. Quindi si, è uscito Sulle ali del cavallo bianco, quinto album solista di Cosmo, e ancora una volta ci ha sorpreso, poi giuro di cominciare a usare la prima persona singolare, parlando per me. Perché l’electrocantautore di Ivrea, passaggio mai come oggi rilevante, ha confezionato, con l’aiuto di Alessio Natalizia, meglio noto negli ambienti internazionali come Not Waving, un lavoro che riesce, miracolo, a tenere insieme il suo mondo, quello del clubbing, quindi, ma anche dei rave, impegno e disimpegno che vanno avanti per mano, con quello del cantautorato, sempre presente in controluce nelle sue opere, ma stavolta in rilievo, anche parecchio. Una operazione sulla carta impossibile, non fosse che Cosmo è Cosmo, e che ha la rara capacità di essere se stesso sempre e comunque, sia che decida di raccontarci la contemporaneità sociale, come aveva fatto col suo ultimo lavoro, sia di guardarsi dentro come stavolta. Quindi Sulle ali del cavallo bianco è, per precisa volontà del suo autore, un album pop, dove per pop si intende musica leggera facilmente fruibile dall’ascoltatore, ma è anche un album sperimentale, quindi con più strati di lettura, come certe piadine dell’alto marchigiano fatto di più sfoglie sovrapposte, ma comunque molto leggere e molto buone.
Un album con le chitarre, avrei potuto riassumere, facendo esercizio di sintesi, se io fossi uno che ha capito cosa significa fare esercizio di sintesi, perché in effetti stavolta ci sono anche le chitarre, so che suonerà incredibile, ma è Luca Carboni, proprio quel Luca Carboni lì, tra i mentori citati di questo lavoro, sentitevi L’abbraccio per credere. Ma sentitevi soprattutto Talponia, che parla a sua figlia e di sua figlia e lo fa partendo dal nome della ex sede della Olivetti, ricordate Ivrea, brano cardine di questo lavoro, vero esercizio di stile e di letteratura, lasciatemi dire, dove mai capita di sentire un padre augurare alla figlia di muoversi per il mondo e per se stessa con tanta libertà e curiosità. Sentitevi E se, dove un coro dei compagni di classe dei figli tiene in piedi una canzone in apparenza sospesa, immobile, e per questa quantomai suggestiva. Ma sentitevi, non sia mai che pensiate che siamo solo in zona cantautore, Ho un’idea, che dimostra come chi ce l’ha a prescindere con l’aututune non ha ben capito quante possibilità espressive questo filtro per la voce offra. Sentitevi Tutto un casino, che prova davvero a mettere in musica l’idea contenuta nel titolo. Ma sentitevi tutto questo lavoro, chiuso, si fa per dire, niente di più aperto in circolazione, tra Come un angelo, dove l’elettronica e un pianoforte mezzo stonato convivono alla perfezione, grande ingresso nel mondo del nuovo Cosmo, e Il messaggio, brano conclusivo che ci regala il dolce rumore del Dora all’alba come gran finale del tutto. In mezzo, ripeto, uno dice come sia mai possibile provare a tirare fuori oggi un album, oggi che si lavora solo coi singoli, che tenga insieme tutto, davvero, dove per tutto c’è un uomo, adulto, che si guarda dentro, e che si confronta con un altro uomo, adulto a sua volta, che ha passato brutti momenti ma sempre mantenendo la capacità di guardare musicalmente al futuro, No Waving è il protagonista di Momenti, uno dei brani più riusciti di una raccolta composta esclusivamente di brani riusciti. Un connubio perfetto, quello tra i due, con il co-produttore che, come un’ostetrica, riesce letteralmente e fisicamente a tirare fuori da Cosmo un mondo che fin qui era forse rimasto nascosto, il pop di Gira che ti rigira, con un reaggattino in apparenza lieve, l’Antipop che si fa definitivamente pop, ma che evoca chiaramente la carne. L’antipop che si fa pop, ma pop davvero, rimanendo al tempo stesso antipop, per come l’ha sempre inteso, qualcosa fin qui inimmaginabile pensando al folletto di Ivrea. Uno dice, sì, vabbeh, ma la titletrack, e solo uno che comincia una frase con uno dice potrebbe essere così pedante per chiamare il brano eponimo titletrack, come fossimo ancora tra le pagine di Rockerilla. Ecco, Sulle ali del cavallo bianco è forse il brano più lisergico, che invece è una parola antica, volendo anche sacra, perché Cosmo è uno che scrive e lavora psichedelicamente, non ne fa segreto, e solo chi è sotto effetti psichedelici potrebbe concepire qualcosa al tempo stesso di tanto puro e innocente, come un bambino che intona una cantilena, e tanto tribale, intenso come la versione contemporanea della tribalità, di un coro che potrebbe serenamente trovare ospitalità dentro una curva di uno stadio.
Non so se ho reso l’idea di cosa sia Sulle ali del cavallo bianco. Non credo, ma onestamente credo anche che non sia un problema, perché l’album è lì, gratis, a disposizione di tutti, ascoltabile senza troppi sforzi. In tutti i sensi, e la parola senso, intenso come, cito il vocabolario, la capacità di ricevere stimoli dal mondo esterno, anche interno aggiungo io, è la parola chiave forse di tutta la musica di Cosmo, da sempre, il beat, certo, ma anche la melodia, e anche la trance, e anche quella capacità tutta sua di stare insieme dentro l’idea di ballare perdendo la ragione, o dopo averla persa, e di ragionare, con la mente ma anche col cuore, volendo anche con lo stomaco, su quel che succede intorno a noi, la politica si diceva un tempo, e dentro di noi, l’introspezione, appunto, Luca Carboni che sposta il cantautorato dalla piazza alla cucina di casa illuminata con la luce al neon. Un album perfetto, quello di Cosmo, che probabilmente deluderà una parte dei suoi fan, perché considerato troppo poco underground, e ne potrebbe portare altri, non fosse che l’oggi è un oggi impietoso verso chi pretende, a ragione, un po’ di attenzione e di tempo. Un album importante, denso, mentale e carnale, paterno e sintetico, dove non è di tastiere che si vuole intendere. Un album italiano, molto, e internazionale, altrettanto. Un album contemporaneo che però guarda molto agli anni Novanta, chiamiamola volendo magia. Quando ho letto le dichiarazioni di Cosmo riguardo questo nuovo lavoro, il suo citare, appunto, Carboni, artista che amo follemente e che ritengo figura fondamentale per la musica d’autore, ma trovavo sulla carta troppo distante dal cantautore piemontese, ho cominciato a pensare a come avrei potuto rendere l’idea di qualcuno che voleva provare a fare qualcosa, senza riuscirci. Mi sono venuti in mente, siamo nel 2024, sono innocente, quei reel che girano sui social, e temo che girino sui miei social perché l’algoritmo è molto più intelligente di me, reel che mostrano dei tipi piuttosto bassi e obesi che provano a fare quelle peripezie sui palazzi e per le città, opere di altri tizi, più atletici, in altri reel. Sì, avete visto tutti i tipi che si lanciano dai tetti dei palazzi, scivolano da un balcone all’altro facendo acrobazie, si lanciano nel vuoto per poi aggrapparsi a un lampione, scivolare giù per decine di metri e poi atterrare facendo una capriola. Ecco, ce ne sono altri, di video, dove dei tizi obesi e bassi provano, che so?, a scavalcare un muretto, ovviamente non riuscendoci, o riuscendoci goffamente, strisciando e a fatica. Oppure quei video di pseudomagia dove c’è un tizio che si pone di fronte a un gruppetto di persone, in strada, tira su un telo dorato, e puf, quando il telo, lasciato cade, atterra, dietro non c’è più nessuno. Magia. Video che ha ovviamente generato delle parodie, dove si vede perfettamente il tipo che era dietro il telo che corre in lontananza, altro che magia. O sta nascosto dietro un albero, ma si vede spuntare la pancia. Ecco, avevo pensato questo, ma la magia c’è, eccome. Cosmo salta giù dai palazzi con agilità, scompare dietro un telo dorato, intrattiene lasciandoci modo di pensare. Se dopo lo sforzo che ho fatto per provare a rendere con le parole quello che Cosmo ha fatto con tutto l’armamentario che aveva a disposizione, beato lui, beh, vi meritate di ascoltare la canzone che la prossima estate Fedez tirerà fuori con una nuova starlette della musica e, immagino, una vecchia gloria. Ma di ascoltarla in loop, con uno di quei tipi obesi che non riesce a fare peripezie dei reel su descritti che vi siede di fianco, facendovi stare scomodi. Fortunatamente il mondo è molto più variegato e libero di così. Sipario.