Stefan Zweig lo chiamerebbe un momento fatale, prima di Giorgia Soleri in viaggio per Marte come Christa McAuliffe nel 2034, questa vittoria schiacciante di Giorgia Meloni il 26 settembre 2022. Se il lavoro da freelance pagasse quanto metà mese di una cam-girl, a quest’ora festeggerei con una boccia di Armand de Brignac. Ma i sindacati si sono fatti rari e pigri, figuriamoci un sindacato per noi lavoratori culturali nel Paese dove il livello è stato portato così in basso da calpestarlo, continuamente, come un festone caduto dopo una retata in una festa illegale. C’è stato un cambio di paradigma, questo è fuori di dubbio da quando il piccolo e medio borghese votava Berlusconi a bassa voce - erano confessioni, e le confessioni sono ‘privilegio dei colpevoli! - che venivano fatte in gran segreto, manco si stesse riformando la P2 nel bar sotto casa. Oggi chi ha votato per quella cloaca di partiti nell’orbita del PD ha fatto la stessa cosa: l’ha detto a bassa voce, o lo ha confessato a tragedia (ah!) già avvenuta.
È il destino, noi donne siamo condannate a essere rappresentate, dal #metoo alla politica, da personaggi che parodiano il mondo maschile, e su questo (stranamente) devo dare ragione alle femministe, in un patriarcato interiorizzato (per finta, perlopiù) e usato come mezzo politico: dal Regno Unito di Margaret Thatcher alla nostra Gorgone Meloni, passando per l’Argentina di Cristina Kirchner e la Danimarca di Mette Frederiksen. Insomma, non proprio donne dall’animo progressista il cui fulcro della campagna si basa sui diritti umani, ma che ce ne frega: negli Stati Uniti afroamericani (neri, come risulta a seconda del trend del momento meno offensivo), donne e figli di immigrati non hanno votato forse per Trump? In fondo se la gente deve scegliere tra due settimane a Capo Verde e attraversare il confine per farsi legare le tube, per cosa opterà? Poi Cristian Mungiu su cosa baserebbe i suoi film?
In queste elezioni, ciò che è certo, è che c’è stato un Effetto Pigmalione, si sapeva che avrebbe (stra)vinto l’estrema destra (chiamiamola così visto che ci fa sentire in un film catastrofico di Roland Emmerich) di Giorgia Meloni, perciò non siamo andati a votare. Soprattutto quella gente lì che compra i libri editi dalla Produzione Nero (che consiglio), che fa sociologia della comunicazione attraverso meme, che si riempie la bocca e la home facebookiana di Deleuze e Guattari, di accelerazionismo e poi, di fronte a un probabile disastro, si caca sotto.
Fosse per me, ma sotto sotto ho un’anima anarchica, premerei su ‘sto pedale dell’acceleratore per forzare le lancette dell’orologio (quello dell’Apocalisse) fino alla gloriosa mezzanotte e al dirupo senza fondo che segue. Così, basta, forse torneremmo in piazza a lamentarci per qualcosa che non sia la parità lessicale, cosa che i miei coetanei non fanno da quando sono stati corcati di botte nel G8 di Genova.
Ci sono dei dati da astensione da paura che ci dicono troppo sulla mia generazione - non chiamateci Millennials - e la generazione TikTok. È inquietante, se ci pensate, come i miei fratellini abbiano formalmente rincoglionito, insieme alla generazione X, questo grappolo di numeri (nell’Eternauta, alcuni esponenti di una delle razze più evolute di alieni, dicono: faremo di voi degli uomini robot) da algoritmi social.
Credo sinceramente che la vittoria di oggi possa avere, tra le tante cause, i miei coevi e il politicamente corretto; la cultura formato stories delle femministe da Instagram; i rassicuranti video nozionistici degli amici di Tlon per chi è troppo impegnato per aprire un libro (o leggere un e-book) in questa campagna senza fine che è la banda larga, priva di coordinate in cui è, logicamente, impossibile muoversi in uno spazio ben preciso, limitato. E quello spazio ve lo concedono loro, loro, i divulgatori culturali che non sono altro che l’indottrinamento sottocutaneo di cui parlava Peter Finch nel film Quinto Potere (Network). Soltanto che oggi l’indottrinamento non arriva dalla stupidissima televisione, ma dai reel e dai video su TikTok, tra un prete di dubbio gusto e l’ennesima cartomante che dalla tv regionale si è spostata lì, e come darle torto?
Oggi bisognerebbe avere l’umiltà di mettersi a mani giunte e prendere una porzione di colpa, tutti quanti. Invece no. Non solo non cambierà niente perché non abbiamo il coraggio di esagerare e non ci avviciniamo per nulla ai deliri dell’Ungheria e della cattolicissima Polonia (benché qui siamo uno Stato laico solo di nome, purtroppo), ma non avremo neanche quella reazione uguale e contraria, al prossimo oscurantismo politico, nel mondo dell’industria culturale. Peccato.
Ora, io non so l’ora precisa in cui è successo l’affaire Dreyfuss Cathy La Torre ma immaginiamoci lo scenario: un ottuagenario si reca al seggio e trova La Torre che si lamenta perché non esiste un’unica fila, non binaria, ma due divise: uomo e donna. Immagino quest’uomo con un piccolo vassoio di paste per moglie, figli e nipoti a casa (figli e moglie si sono astenuti, va il nonno in rappresentanza di tutta la famiglia) che non vuole fare altro che piazzare il culo sul divano e guardare Dazn e si trova nell’ennesima sterile polemica da primo mondo, in quell’esercizio estenuante dell’appropriazione culturale dei problemi altrui, nella forma più perversa di benaltrismo in un paese che sta morendo manco in piedi, in ginocchio. Oppure immaginiamolo nel tardo pomeriggio, con la moglie che lo aspetta a casa, una coppia solitaria, i tipi di anziani che fanno notizia quando chiamano i carabinieri per avere un po’ di compagnia, magari per terminare la serata con una bella pasta al burro (ed è successo, e lo sapete).
E poi vi stupite se vince Giorgia Meloni.
Il gruppo ragiona per immagini, le immagini devono essere semplificate, e non lo dico io ma Susan Sontag. Una immagine davvero efficace è la scritta: RENZI APPESO firmato BR. Che meraviglia, quella è politica o, per dirla, con Ugo Tognazzi quando si finse il capo delle Brigate Rosse durante gli Anni di Piombo - che ha lo stesso atroce sapore di fare una battuta sull’infibulazione in Somalia: ‘Rivendico il diritto alla cazzata!’.
E se viviamo nell’epoca della follia, dell’estetica del brutto, dell’assenza della cultura, se viviamo in un’epoca in cui toccare dare ragione (o lei lo dà a me) a Guia Soncini che coglie la realtà oggettiva, allora viviamo fino in fondo questa cosiddetta tragedia manifesta.
Ma qualcosa mi dice che domani non sarà cambiato nulla, se non che ci saranno nuovi terreni da colonizzare da parte di pseudo femministe e divulgatori vari il cui trend crescerà in modo inversamente proporzionale alla nostra voglia di farla una Marcia su Roma, ma questa volta, nel nuovo millennio, con una connotazione positiva.
O, ancora, riprendendo Zizek: "I problemi della orwelliana neolingua politicamente corretta mostrano chiaramente che l’imposizione diretta di nuove regole può produrre risultati ambigui e a dare vita a nuove e più sottili forme di razzismo e sessismo".
Un po’ come chi ha tempo per lamentarsi della mancanza di una fila unica proteggendo una generazione che si è messa, da sola, delle rigidissime pastoie linguistiche: she/her/he/him/they/them.
E arrivederci amor* , ciao.