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La campagna Fatty Patty
dimostra che fare il pubblicitario
nel 2023 è un lavoro di merd*

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

10 ottobre 2023

La campagna Fatty Patty dimostra che fare il pubblicitario nel 2023 è un lavoro di merd*
Non c'è pace per i creativi. Dopo lo spot Esselunga diventato un caso di cui si sono occupate perfino le più alte cariche dello Stato, oggi l'indignazione social si scaglia contro la catena di fast food Fatty Patty per una campagna Instagram decisamente politicamente scorretta: "Che squallore! Ma chi ve li fa questi post? Adolescenti vergini?". Tra fanciulle discinte, meme su Bocelli e battute sui "Vucumprà", più che di panini sale la voglia di polemica. Che poi è la stessa cosa?

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Fare il pubblicitario nel 2023 è proprio un lavoro di m*rda. Appena scemato il vespaio sul famigerato spot Esselunga - sì, quello della pesca - accusato di essere troppo tradizionalista, ecco l'indignazione del web scatenarsi sulla campagna social di una catena di fast food, Fatty Patty. Stavolta, la furia si scatena di fronte a post politicamente scorretti con sottotesti "razzisti, sessisti e abilisti" si legge su Twitter (pardon, X!) che si sta affollando di cinguettii livorisissimi. Tra la pubblicità dell'oramai famigerato supermercato che gioca su emotività infantile (nonché senso di colpa genitoriale) e questi post di certo beceri con fanciulle discinte, meme su Bocelli e "vucumprà", da che parte stare? Da quella dei pubblicitari, di giorno in giorno via via più stressati, che non sanno più da che parte indignare pur di far parlare di sé, o meglio, del brand. Finché ci riescono, però, hanno vinto loro. 

La campagna choc di Fatty Patty
La campagna choc di Fatty Patty

Fatty Patty ha un profilo Instagram, almeno per il momento, minuscolo. Duemila follower e spicci per tre sedi (Padova, Jesolo e Torino). Già da queste primissime informazioni dovrebbe essere chiaro che parlarne significhi dare visibilità a una realtà che, se evitata, rimarrebbe sommersa negli abissi social. Finendo così per cambiare da sé tone of voice. Ma il buonsenso, è noto, non appartiene ai bacchettoni di Twitter (pardon, X!) che devono necessariamente passare le giornate ad alimentare shitstorm contro il nulla o quasi. I post di Fatty Patty sono offensivi? Secondo il galateo del politicamente corretto che vige oggigiorno: assai. Potrebbero essere ignorati e restare una parentesi, brutta o bella fate voi, di cui nessuno si accorge. E invece, no. 

Invece no perché ci professiamo tutti così sensibili a ciò che potrebbe o non potrebbe essere offensivo da farlo durare, dargli spazio. E finché sragioneremo in questo modo, fanno bene i pubblicitari a pigiare sull'acceleratore della tradizione a ogni costo o del più sfacciato anticonfermismo. Il punto chiave è: dare fastidio. A specifiche "minoranze" o a una maggioranza di persone. Che, cascandoci, si dimostrano parimenti fesse. 

La campagna choc di Fatty Patty
La campagna choc di Fatty Patty

"Questi si credono Taffo ma fanno schifo", cinguettano alcuni. "I vostri post sembrano fatti da adolescenti vergini", commentano indignatissimi altri. Il vespaio c'è, sta nascendo e l'agenzia di comunicazione che ha covato tale "scempio", gongola asciugandosi il sudore dalla fronte. Non deve essere stato facile farsi approvare dal cliente un pitch tanto "eversivo", dai toni alla "Pastorizia Never Dies" (che, controversa da sempre, vanta comunque due milioni e mezzo di follower su Instagram, ben più di una piccola nicchia di mercato). 

In un mondo ideale, ognuno comprerebbe dove meglio crede, a seconda della pubblicità che più lo attira. In questo mondo, invece, hic et nunc, è l'indignazione a vendere. Le pesche (durissime) dell'Esselunga come i panini. Il target di Fatty Patty è sicuramente super giovane e, non nascondiamoci, tutti abbiamo nelle nostre insospettabili chat qualche meme politicamente scorretto che ci fa molto ridere ma che "non è il caso di postare". La catena di fast food se ne frega e proprio da quel bacino di ignominia collettiva attinge, tentando lo scacco matto, tra chi la trova eroica e chi vorrebbe finisse presto segnalata sul rogo del santo algoritmo. 

La campagna choc di Fatty Patty
La campagna choc di Fatty Patty

Chi ha ragione? Dopotutto, nessuno. Questo ennesimo nascente e scalpitante vespaio sul nulla ci porta solo a provare empatia, se non proprio solidarietà sindacale, verso le agenzie pubblicitarie, i cui liberi professionisti si svegliano ogni giorno sapendo che dovranno spararla grossa, più grossa di ieri, meno di domani, per accaparrarsi un cliente. Cliente che sarà poi destinato a passare per "fascio" o imbecille. Una campagna, uno spot che accontenti tutti, specie oggi come oggi, anno del Signore 2023, non può esistere. Però esistono le nicche di mercato a cui rivolgersi, esiste il dogma per cui buttarla in caciara, da un estremo o dall'altro, significa rendersi visibili, ossia esserci. Ed è questo ciò che conta davvero. Gli applausi, poi, vendono tanto quanto le pernacchie. L'engagement sale, l'emicrania dei pubblicitari pure. Amen. 

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