Mentre l’Europa è impegnata con le prove generali per l’apocalisse imminente, c’è un altro evento di portata storica (?), almeno per quello che riguarda la televisione nazionalista. In una nota serie televisiva c’era un simpatico leitmotiv che faceva così: Life is short, talk fast. Quel ‘life in short’ negli ultimi due anni sembra più vero che mai, e se per ora (è presto per dirlo) le nuove generazioni non sono prese dall’inquietudine dei figli dell’atomica (persona nate durante la guerra fredda), è pure vero che molti di noi si affidano a diversi canali Telegram per aggiornamenti continui sulla guerra in Ucraina. Questa è l’informazione nel 2022. Da una parte troviamo la struttura bulimica e quasi straniante à la Welcome to Favelas; dall’altra l’esaltazione di Enrico Mentana su La7 (un mix tra l’informazione seria e i deliri di Emilio Fede durante la Prima Guerra del Golfo). Chi vuole uno sguardo più internazionale si affida a Sky Tg24 o direttamente alla CNN, ma la Rai (tra le tre reti storiche e RaiNews) è la vera rivelazione giornalistica di questa drammatica situazione.
Guardare RaiNews e, in particolare modo, Rai1, non mi ha suscitato, inizialmente, chissà quale sconvolgimento. Sono quasi tutte donne, sia chi tiene banco in studio, la direttrice Monica Maggioni (classe ‘57) che le inviate sui territori di guerra tra cui: Maria Grazia Fiorani (Kiev), Emma Farnè (Severodonetsk) e Stefania Battistini (Slovjansk). Perché a vedere un grappolo di donne fare della buona informazione dovrebbe sconvolgermi? Dovrebbe essere la regola, la normalità, invece qualcuno mi ha fatto notare che non era mai successo prima, non che io ricordi: né di fronte alle due guerre cecene o durante la crisi del Teatro di Dubrovska (per rimanere sempre in territorio russo). L’impronta di Monica Maggioni è quella di non perdere tempo, di alleggerire la struttura di analisi della guerra in Ucraina, ma non per questo offrire un servizio superficiale o confusionario. Ritrovare sulla televisione nazionale un tale livello di preparazione, organizzazione e compattezza desta stupore e meraviglia. Anche questa dovrebbe essere una situazione data per assodata, ma non è così. Non col decadimento che c’è stato in termini di giornalismo da più di vent’anni a oggi. Non con quel giornalismo che forma e informa fatti per dirla con Carmelo Bene che, a sua volta, citava Jacques Derrida. Il fronte femminile, ma a noi importa il genere basta sia efficace, dimostra che un’altra informazione è possibile, che una informazione migliore può essere anche buona.
La direttrice del Tg1 sa benissimo cosa serve e quando serve: grazie alle sue esperienze pregresse in Siria, Iraq e Afghanistan, nelle vesti di inviata di guerra, sa come fornire un servizio con un punto di vista più realista, efficace e chiaro rispetto a giornalisti di altro stampo. Un centro nevralgico che diventi l’epicentro per una nuova informazione, ma con la serietà che sembriamo avere perso per strada e, al contempo, veloce per adattarsi ai ritmi della generazione TikTok. Prendere un pubblico trasversale è possibile, con la speranza che chi guarda sogni un giorno, come facevano alcune bambine americane, di diventare la nuova Christiane Amanpour o, per rimanere in Italia, la nuova Monica Maggioni.