Fiumicino, metà luglio, una fila che si allunga come al solito e un nugolo di passeggeri armati di trolley, noia e sudore. Poi, d’improvviso, la scena: una donna, accompagnata da un bambino e da alcuni uomini della scorta, avanza tra la folla e salta l’attesa. “Prego, signora”, dice uno degli agenti. La signora è Olga Sokhnenko, moglie del ministro Adolfo Urso. A notare tutto, con occhio allenato da commissario Montalbano, c’è Luca Zingaretti, che sbotta sui social con un video che diventa subito virale: “C’era la moglie di un politico nazionale che è passata davanti a tutti. La scorta le diceva ‘prego’. Non vi vergognate?” La polemica esplode nel giro di poche ore, con Urso costretto a intervenire: “Ero al telefono, non mi sono accorto di nulla. Le decisioni operative spettano alla scorta”. In effetti, lui era lì, presente al gate, mentre la moglie e il figlio venivano accompagnati al check-in senza dover attendere. C’è chi grida al privilegio di casta, chi vede l’ennesima dimostrazione dell’arroganza del potere, chi si indigna perché “noi comuni mortali dobbiamo farci la fila con i bambini e le valigie”. Ma non è certo la prima volta che accade. Anni fa, Paola Severino fu criticata per le due scorte che la seguivano anche in vacanza. E poi ci sono stati i casi delle “scorte eterne”, con ex politici accompagnati ovunque ben oltre la fine del loro mandato. I nomi? Pivetti, Bertinotti, Diliberto. Tutti finiti al centro del dibattito pubblico su costi e legittimità. Il punto, però, è sempre lo stesso: quando una misura di sicurezza si trasforma, agli occhi dei cittadini, in un privilegio mascherato.
Eppure, in questo caso, tutto è stato formalmente corretto. Le regole parlano chiaro: la scorta viene assegnata dal Ministero dell’Interno attraverso valutazioni di rischio fatte dagli apparati di sicurezza. E quando un ministro viaggia con la famiglia, quella famiglia entra nel perimetro del rischio. Non è una questione di status, ma di esposizione. Se qualcuno volesse colpire Urso, potrebbe farlo attraverso la moglie o il figlio. È cinico, ma è così che funziona la logica della protezione. Inoltre, la scelta di accompagnare rapidamente i familiari in un aeroporto affollato spetta alla scorta, non al politico. Se il contesto lo richiede – e basta poco, una segnalazione, un volto sospetto, una ressa – gli agenti possono decidere di accelerare le procedure. Non per saltare la fila, ma per chiudere in fretta una potenziale vulnerabilità. Quindi sì, Olga Urso ha saltato la fila. Ma lo ha fatto seguendo le regole, non approfittandone. È giusto indignarsi? Forse sì, perché la rabbia per i privilegi veri e presunti è un sentimento legittimo. Ma è anche giusto sapere che esistono norme, valutazioni operative, responsabilità che non riguardano solo l’estetica della giustizia, ma la sostanza della sicurezza. E in questo caso, almeno da quanto emerso finora, nessuno ha infranto la legge. Semmai, ha solo dato fastidio vederla applicata.
