Che Iddio esista o meno, ci scampi e liberi dal napoletanismo che già ci sommerge in queste prime ore dopo la notte di delirio per lo scudetto che tutta Napoli attendeva da trentatré anni. La gioia, incontenibile, irrefrenabile, inarrestabile, è cosa fisiologica per i napoletani, che vi si abbandonano come solo loro, più ancora dei già tifosissimi italiani. E infatti, probabilmente, l’esultanza di massa si sarebbe lasciata dietro anche in altre città il costo umano di quattro persone investite dalle auto in festa, fra cui una ventenne con trauma cranico ed emorragia cerebrale, un centinaio finiti all'ospedale per i fuochi d'artificio e tre feriti gravi da arma da fuoco, di cui uno alla chiappa destra (mentre il morto scappatoci, il 26enne ucciso a colpi di pistola, gli amici del quale hanno poi pensato bene di sfasciare il pronto soccorso in cui era stato ricoverato, quello no, quello con il party di strada non c’entrerebbe, giurano sindaco e prefetto, e chi siamo noi per non crederci?). Un trionfo doppiamente goduto perché pulito, meritato sul campo, senza trucchi e trucchetti. Onore e gloria dunque ai colori azzurri della capitale del Sud e centro del mondo, se il mondo se fosse fatto a immagine e somiglianza del napoletano, devoto più al Calcio che al Dio di cui sopra.
Ma chiarito ciò, non sappiamo voi, ma noi saremmo tentati di non leggere più un rigo né ascoltare più un verbo che ci stanno diluviando addosso e continueranno nei prossimi giorni a diluviarci sulla testa, ricoprendo la vittoria di retorica, falsa, stupida e offensiva come ogni retorica. A dar fiato alle trombe e ai tromboni è stato, e come poteva essere altrimenti?, Roberto Saviano, con una sbrodolata sul Corriere della Sera che, per quanto evidentemente scritta a caldo, trasuda ipocrisia e luoghi comuni da tutte le virgole. “Il Nord Italia è più ricco rispetto al Sud” (ma dai, ma non mi dire), “siamo di fronte a un miracolo” (il patron De Laurentiis meglio di San Gennaro), s’ode ripetere “la mitica frase don Pietro Savastano: «Ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’» (che sarà sicuramente vero, ma Robbe’, ogni tanto non autocitarsi, no?), la “sensazione di essere sempre ultimi perché nati svantaggiati” (‘o vittimismo, benzina del risentimento depressivo), e, al culmine del discorsetto, come ben sintetizza il titolo, “Siamo una comunità”, “comunità, comunità vera”, “carne e sangue, vita e morte, felicità e nostalgia”. Ma come, Roberto Saviano che fino a ieri sulla Napoli della camorra, della malavita, dell’affarismo, della devastazione sociale ha scritto fiumi di parole e chili e chili di libri, ora, siccome l’allenatore Spalletti è “un costruttore di comunità”, viene a dirci che Napoli è un paradiso comunitarista in cui - “finalmente”, eh – poter immergersi “in un plurale”? Ma va in mona, Roberto, come si dice dalle parti in cui abita lo scrivente.
Come ignobile è l’immagine da incubo che solitamente condanna Napoli a uno stigma di inguaribile malaffare, altrettanto rivoltante è adesso l’alluvione di magnificat che confondono uno scudetto per una lezione di etica di cui gloriarsi, e magari da impartire pure agli altri. Se intendono essere all’altezza del trionfo, suggeriremmo agli amici napoletani di prendere le distanze dalle opposte retoriche della napoletanità, quella di sempre e quella di oggi. Sporcare di untuoso autocompiacimento un risultato come questo, che fa parte della Napoli dritta, che funziona, che c’era prima e che ora ha avuto un’ulteriore conferma e slancio, rende il peggior servizio possibile al lavoro che c’è da fare sulla Napoli storta, che ci sarà ancora una volta finiti i botti, i brindisi e i balli di piazza. Il calcio è uno dei pochi ultimi riti religiosi rimasti in piedi, sia pur a fatica, visto che televisione e business hanno fatto di tutto per seppellirne l’anima ingenua, romantica e laicamente sacra. Ma la fede nella squadra non può diventare l’alibi, per altro di breve durata, giusto il tempo delle celebrazioni, per dimenticarsi il resto. E fa senso, davvero, assistere allo spettacolo di sedicenti portavoce azzurro-colorati che hanno imbastito intere carriere dipingendo una Napoli in mano ai clan, e questa mattina, olèèè-ooooh, si svegliano scoprendone una che pare il regno di Saturno. “Abbesogna fa 'o pireto pe' quanto è gruosso 'o culo”, dice il detto.