Il mio reportage su questa Sicilia alla deriva come un carretta del Mediterraneo inizia domenica sera. A casa mia, con quello che è l'incubo di chi abita in campagna e che magari ha qualche albero di ulivo o di carrubo o di agrumi: il fuoco. Abito nelle campagne tra Noto e Rosolini, nel sud-est, il sud-est più a sud di tutta l'Europa, sotto il parallelo della Tunisia. È luogo di carrubeti e uliveti, di agrumeti e mandorleti, di allevamenti non intensivi, di serre e di vigne. Certo anche luogo, come in tutta la Sicilia, di una certa bestialità. Il luogo dove i mostri sono veri mostri e dove capisci perché l'Odissea, in realtà, altro non è che un romanzo horror. Qui, la mitologia, che non è fatta solo di dèi sereni che si fanno il bidet nei fiumi, ma anche di esseri caprini e di cannibali, è esibita. Passeggia per le strade coi i denti marci e nello sguardo l'assenza di umano. Fino a quel momento eravamo soltanto preoccupati e stremati per il gran caldo e anche qui c'era qualcuno che – probabilmente per chiudere gli occhi davanti alla verità e mettendo la testa sotto la terra che da lì a poco avrebbe avuto quel caratterisco e tragico odore di affumicato – diceva “d'estate c'è sempre stato caldo”. Prima di svenire in un qualche campo di meloni. Fino a quella domenica si sperava che gli incendiatori professionisti (quelli che danno a fuoco le campagne per varie speculazioni, dai pascoli ai contratti stagionali dei forestali – c'è una vera e propria economia del fuoco, in Sicilia, d'estate) riflettessero un attimo, prima di brasare l'isola. Era ovvio che quest'estate, il dio zoppo del fuoco, Efesto, che forgia le saette di Zeus dentro l'Etna, sarebbe stato il padrone incontrastato, svettando sulla sua parentela. Poi la speranza è finita nella fucina e la paura è diventata realtà. Un amico mi aveva dato una mano per la spesa. Abitando in campagna devi fare scorte, e io ancora soffro dei postumi di una frattura al piede. Mentre svuotavamo la macchina l'amico mi fa: ma non è fuoco quello? Alzo gli occhi e vedo un fronte rosso crepitante di mezzo chilometro, come se tramontasse. Mi rendo conto di non sentire l'odore del fumo, questo significa che il vento caldo è forte e spira contro le fiamme così forte da aalontanare persino l'odore dell'incendio.
Si comincia. Ci sono volute 24 ore per domare le fiamme, ma stiamo parlando di una zona agricola, dove tutti hanno già fatto arare proprio per evitare il propagarsi degli incendi, dove ci sono le trincee tagliafuoco e strade ancorché sterrate dove comunque passano agevolmente i mezzi dei vigili del fuoco. Immaginatevi le montagne, i luoghi impervi, i boschi, le zone abbandonate. Anzi, non c'è bisogno di immaginarle. Adesso, purtroppo ci sono le foto. Il lunedì viviamo sotto bombardamenti d'acqua. I canadair sciamano in formazione. Le colonne di fumo si alzano in ogni dove, per tutto l'orizzonte, davvero sembriamo sotto attacco dei B-52. L'aeroporto di Catania funziona ancora meno che parzialmente. I turisti si aggirano come sfollati per la Sicilia: chi doveva partire o arrivare da Fontanarossa è disperso per le strade voraginate simili a mulattiere dell'entroterra che va a fuoco, o sulle tratte ferroviare borboniche monorotaie. Lunedì è stata una gran giornata di comunicati stampa, che stanno proseguendo tutt'ora con un'energia, un ottimisco, una faccia tosta invidiabili. Una cornucopia di dichiarazioni. Tutti i politici avevano e hanno da dare strabilianti notizie. Hanno tutti idee che sfiorano la genialità. L'intelligenza cola dai muri, la buttano a secchiate sulla folla come acqua ai concerti. Le idee non spengono le fiamme, non aiutano i turisti, non accendono la luce. Perché siamo anche senza energia elettrica: va e viene. Più va che viene. E non essendoci l'energia elettrica non funzionano le pompe per il sollevamento acque dei fornitori. E quindi siamo anche senz'acqua. E senza aria condizionata. Anche gli alberghi a molte stelle non hanno gruppi di continuità adeguata, così i vacanzieri dopo avere affrontato avventure alla Indiana Jones, dopo non avere capito a chi chiedere informazioni per arrivare da un posto all'altro, dopo avere fatto a botte per una bottiglietta d'acqua, si ritrovano in alberghi senza aria condizionata. Non si dorme. Il nervosismo è alle stelle. Le fiamme si avvicinano ai fabbricati, un hotel viene evacuato. C'è chi decide di abbandonare la Sicilia, di tornare a casa, di rinunciare alle ferie e ai soldi spesi. I più abbienti decidono di andare altrove. Non si può. Martedì mattina chiude anche l'aeroporto di Palermo. Restano Comiso e Trapani. La Sicilia diventa Alcatraz. Un'isola dalla quale è impossibile evadere.
Nello Musumeci indice una conferenza stampa. Spiega che i cavi dell'Enel sono interrati e si surriscaldano. Cavi in cui passa l'alta tenzione che si surriscaldano per il meteo? Sta dicendo sul serio? La faccia di Musumeci è seria. Dà la strepitosa notizia che in due anni l'Enel spenderà parte dei soldi del Pnrr per ammodernare le infrastrutture energetiche. A molti viene il dubbio: allora non è il caldo, è che proprio i cavi sono vecchi come le monorotaie, come i vagoni dei treni, come le strade sbrecciate. Le persone iniziano a morire: una anziana muore a Monreale, le viene un malore e i soccorsi non possono arrivare causa un muro di fiamme. In un'abitazione vicino l'aeroporto di Punta Raisi viene trovata una coppia carbonizzata. Il ministro Adolfo Urso e il presidente della Regione Renato Schifani litigano a distanza. Urso critica, Schifani difende. Urso chiede cosa minchia sta succendendo, Schifani invita all'unità. Loro litigano, ma la situazione peggiora. Anche i Canadair oramai sembrano minchie confuse e non sanno più manco dove andare. Io devo andare a Taormina. Devo vedere un concerto di musica classica. In questo momento me ne fotterei della musica classica, e per non passare come l'Elkann di turno preciso che mi piacciono i R.A.T.M., il nu rock in generale, il crossover metal da night. Ma la cantante è una conoscente, devo fare atto di presenza. Non sono stazzonato perché non saprei cosa stazzonare. Sono in pantaloni corti, vans e maglietta col buco. Se mi fanno entrare bene, altrimenti mi leggo Proust, per l'esattezza il volume “Spinterogeni fusi”. Il problema non si pone. A Siracusa passiamo una stazione di servizio con le fiamme alle spalle. Acceleriamo. Le sterpaglie in mezzo agli spartitraffico sono tutte a fuoco, per chilometri e chilometri, mi sento come in una scena di DOOM, ricordate il vecchio videogame ambientato in un inferno? Palle di erba secca incendiata rotolano sulle strade. Ma veramente vogliamo andare per dove dobbiamo andare? Mi telefona un'amica: torna indietro. La Catania-Taormina è chiusa. Chi era già dentro prima della chiusura sta scappando contromano! Io mi chiedo perché l'autostrada che sto percorrendo non sia chiusa. Ah, vero, fino a Catania caselli non ce ne sono, non ci sarebbe dove chiuderla né personale che la chiude. Se esplode il benzinaio facciamo un comunicato positivo e ottimista che segua le regole della pnl, la programmazione neuro linguistica. La neuro non linguistica ci vorrebbe. Torniamo indietro riattraversando le fiamme che nel frattempo, eccitate dai comunicati stampa, stanno danzando allegre. Incendi qui è lì sulle montagne sembrano accoglienti paeselli che tremolano all'orizzonte nella notte di Natale.
Arrivo a casa.
Mi corre incontro il Barone Mariannina, il bianco capostipite di una stirpe di una ventina di gatti. Mi salta addosso. Ha il muso nero di carbone di chi ha attraversato la campagna bruciata. Vorrei abbracciarlo forte. Si divincola. Sono le 22 e ci sono 39 gradi. D'estate, dicono, ha sempre fatto caldo. Gli incendi ci sono sempre stati. I turisti sono sempre rimasti intrappolati e abbandonati. L'aria condizionata negli alberghi non c'è mai stata. Le coppie carbonizzate ci sono sempre state. E la politica e i manager non sono mai stati così intelligenti.