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La storia di Gaetano, morto per salvare il figlio da una moto, ci ricorda che al posto di chi uccide potevamo esserci noi

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

1 agosto 2022

La storia di Gaetano, morto per salvare il figlio da una moto, ci ricorda che al posto di chi uccide potevamo esserci noi
Esci da una pizzeria vicino al lungomare, attraversi la strada, una macchina si ferma per farvi attraversare. Gaetano De Felice è stato velocissimo, abbracciando il figlio di sette anni per salvarlo da una moto che ha tirato dritto contro di lui. E si, fa paura perché al suo posto potevamo esserci noi


di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Le notizie si confondono tra loro: c’è chi dice era una moto, chi uno scooter. Di solito, a noi, queste cose importano. Di solito è rilevante. Di solito da quella parte, infastiditi da un traffico ingolfato da automobilisti distratti, ci siamo noi con la moto, a sbuffare sotto il sole mentre loro rallentano inebetiti dalla ricerca di un parcheggio o da chissà che altro. Dallo smartphone, magari. In moto lo smartphone non lo usi perché hai i guanti. Perché devi guardare la strada, essere svelto, sul pezzo. D'estate sul lungomare tutto rallenta, come nelle giornate di pioggia in città d’inverno. Risultati uguali in situazioni opposte. In via Cristoforo Colombo a Bari, nell’ultimo venerdì di luglio, una macchina si ferma per far passare una famiglia: Gaetano De Felice, 47 anni, il figlio di sette, la moglie Grazia. Passano sulle strisce pregustandosi il fine settimana dopo aver mangiato una pizza. Una moto, uno scooter - qualunque cosa fosse - non si ferma. Tira dritto, infastidito dal traffico come lo siamo stati anche noi, come lo siamo anche adesso che è estate.

Schianto sordo, roba che non ci puoi credere. Che succede davanti a te mentre sei impegnato a fare altro. Dicono che è un attimo, hanno ragione anche se tu non ci credi mai. “Un attimo” è come una tragedia lontana, non ti tocca. Un attimo è stato anche quello che è servito a Gaetano De Felice per abbracciare suo figlio, proteggendolo senza pensare ad altro mentre la moto gli sbatteva addosso buttandolo per terra. Sangue, moltissimo. Rumore che diventa silenzio, passanti che diventano testimoni.

Il Corriere, nel dare la notizia, riporta le parole di una signora che abita lì vicino: “Abbiamo sentito un tonfo tremendo, il classico rumore di uno scontro tra auto - racconta - quando ci siamo avvicinati abbiamo visto i due a terra e la moto, finita contro una macchina qualche metro più avanti. La moglie era disperata, ripeteva al marito ‘non mi abbandonare, non mi abbandonare’”. Il bambino è ricoverato all’ospedale in codice rosso ma non rischia la vita, la moglie - illesa - è sotto shock. Chi guidava, un ventenne, è accusato di omicidio stradale. Per Gaetano De Felice non c’è stato nulla da fare. Morte violenta, in mezzo alla strada, davanti alla famiglia. Gli è rimasto da pensare ‘meglio a me che a mio figlio’, qualcosa così. Il tempo di vederlo vivo che strilla, di capire cos’è successo. Gli è rimasto un attimo.

In qualche modo questa storia storta, crudele e vera, esce dalle notizie di cronaca e dai titoli sui social per darci uno schiaffo. L’amarezza della tragedia lascia il posto all’idea che si, almeno un paio di volte nella vita avremmo potuto essere al posto di chi guidava. Avere vent’anni, di venerdì sera, e vedere la macchina che si ferma senza pensare, in quell’istante, che si è fermata perché ci sono delle strisce pedonali che qualcuno sta attraversando. Tirare dritto uccidendo qualcuno. Potevamo essere noi anche al posto di Gaetano, fuori dal ristorante dopo una cena con la famiglia, con il figlio che a sette anni sa che si può attraversare quando le macchine si fermano. Un attimo solo per capire e buttarsi, prendendo in braccio il bambino e salvandogli la vita prima di perdere la propria. O, peggio, prima di restare a guardare.

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