La madre di Diana, Alessia Pifferi, è una colpevole con molte aggravanti. Pensate. Aveva addirittura azionato un giro di prostituzione. Sì, avete capito bene. Alessia Pifferi vendeva il suo corpo per racimolare denaro. Per battere cassa. Non perché in preda alla disperazione. Non perché non sapeva come sfamare sua figlia. E neppure perché tentava disperatamente di rendersi indipendente dai soldi che provenivano da sua madre. Ma lo faceva per soddisfare i suoi più effimeri e bassi bisogni. Giri a pagamento, dicevamo, che verranno approfonditi stasera anche dalla trasmissione Le Iene su Italia 1 in un servizio del giornalista Antonino Monteleone. Giri che hanno portato ad indagare anche un vicino di casa della donna per favoreggiamento della prostituzione. L’accusa parla chiaro. “L’aiutò ad incontrare uomini a pagamento”. Agghiacciante. Una barbaria con degli spettatori, ciechi e sordi. Dunque, non solamente quelli che dividevano il letto a pagamento con lei. Lei che si intratteneva per potersi pagare vestite e gite a lago con il compagno Angelo Mario. Torno sull'indifferenza, complice fino alla morte. Quella di una donna, prima che madre, che vendeva il suo corpo. In uno dei messaggi scambiati con un “cliente” si legge addirittura l’uomo che scriveva: “Nudi sotto il piumone abbracciati… e Diana che dorme”. E lei che rispondeva “Siii”. E poi lui che chiedeva: “Ti piace baciare... ma posso anche davanti a Diana?". E qui arriva il peggio. La risposta di Alessia: “Certo che puoi..”. Alessia Pifferi si era idealmente posta su di un piedistallo e osservava gli altri, ma in particolar modo Diana, da un punto di vista strategico.
Non riuscendola mai a vedere come una sua simile. Al contrario, abbandonandola ripetutamente, le faceva da scudo per nutrile le sue fragilità. Alternava presenza e assenza. Parole e silenzio. Pieno e vuoto. Lo ha fatto per mesi, per giorni. Fino alla morte. Organizzava incontri a pagamento e le sue tecniche di organizzazione degli incontri erano talmente attente e pertinenti da dimostrare, sempre che ancora ce ne fosse bisogno, quanto fosse totalmente capace di comprendere il valore delle sue azioni. L’esito psichiatrico del dottor Pirfo, perito nominato dal giudice per valutare la piena capacità di intendere e di volere della Pifferi, non può pertanto che trovare l’ennesimo riscontro. Alessia era perfettamente in grado di organizzare, pianificare la sua vita. E ciò perché o certi aspetti della personalità funzionano oppure no. Non sono intermittenti né a compartimenti stagni. La differenza l’ha fatta la volontà e l’interesse. Alessia era completamente disinteressata a sua figlia. La utilizzava quando gli faceva comodo. Come quando parlava di un finto battesimo per riscuotere cassa e sperperare gli averi. Purtroppo, niente di più. E niente di meno. Faccio un passo in più. Alessia non era neppure così sprovveduta come si è voluto far credere. Ricordatevi che il diavolo sta nei dettagli. Rileggendo e analizzando le diverse testimonianze a ritroso c’è un dettaglio che mi ha colpito in questa terribile storia. Quando Diana è stata ritrovata senza vita indossava un vestitino giallo. Come giallo era l’abito indossato dalla Pifferi al momento dell’arrivo del 118. Il giallo non è un colore a caso. Mi spiego. Analizzando la psicologia del colore, il giallo rappresenta il colore dei bambini. Alcuni studi infatti ritengono che proprio il giallo sia in grado di stimolare la parte sinistra del cervello. Spingendo così il minore a pensare in maniera più logica e a sviluppare un crescente ottimismo. Inoltre, i bambini sembrerebbero cogliere inavvertitamente la gioia del giallo. Che non a caso è il colore del sole. Dal quale siamo inevitabilmente attratti. Certo la Pifferi non poteva avere queste conoscenze. Ma, di fatto, potrebbe aver deciso di indossare un abito dello stesso colore per generare empatia. L’empatia di una madre che non ha mai avuto. E lei questo lo sapeva benissimo sin dal momento in cui ha scoperto di essere incinta.