In Brasile è rivolta: dopo il fallito assalto alla cittadella del potere, con il saccheggio dei palazzi del governo, del tribunale federale e del Congresso legislativo, il bilancio del giorno dopo conta 1200 arresti fra i sostenitori dell’ex presidente di destra Jair Bolsonaro, che ha condannato le violenze e le devastazioni ma al contempo ha promosso i blocchi stradali, con incendi a cielo aperto, che si stanno diffondendo in tutto il Paese, e specialmente nella zona amazzonica del Mato Grosso. Le proteste erano cominciate da giorni davanti alla sede delle Forze Armate, con l’evidente intento di fare pressione sui militari per indurli a rovesciare il presidente socialista Ignacio Lula de Silva. Obbiettivo fallito, tanto che Silva è immediatamente passato a una dura repressione degli organi amministrativi e di polizia sospettati di bolsonarismo. “Quel che succede in Brasile dovrebbe interessare non solo noi italiani, ma il mondo intero”, esordisce Massimo Fini, schierato con Lula. In passato lo scrittore ed editorialista del Fatto Quotidiano aveva suggerito, alle plebi nostrane, di insorgere, sia pur pacificamente. Ma tenendo fermo un principio generale, valido anche nell’attuale caso brasiliano: “Una rivolta di piazza è inaccettabile, se si crede alla democrazia. Altrimenti, vale tutto”.
Evidente che il tentativo di golpe ha una regìa, anche se Bolsonaro nega.
Lula ha definito gli insorti “vandali fascisti”. Quel che sta succedendo in Brasile è importante perché non dobbiamo mai dimenticarci che Bolsonaro è quello che deforestava l’Amazzonia, che è il polmone verde del pianeta. Lula, al contrario, fa parte di quella famiglia ideale, il socialismo bolivariano, dal mitico Simon Bolivar, che assieme a Chavez prima e Maduro poi in Venezuela, e a Morales in Bolivia, ha cercato una via per realizzare l’idea socialista, che è coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili. Il che non c’entra con il comunismo (benchè anche nel comunismo bisogna distinguere: pensa a Cuba, dove un ragazzo, certo, cresce in condizioni molto modeste, ma ha la sanità e la scuola gratuiti, e per il resto, come scriveva Albert Camus, "grazie al sole e al mare anche un ragazzo povero può essere felice"). Il socialismo è ancora attualissimo.
Anche da noi in Europa?
Certo. Basta vedere cosa sta facendo il governo della Meloni, che è un governo di destra-destra-destra, perché in realtà, rispetto alla Meloni che pure è una donna capace, Berlusconi è il più a destra di tutti. Stanno facendo il rovescio del Passator Cortese: anziché prendere ai ricchi per dare ai poveri, prendono ai poveri per dare ai ricchi. Solo che in Europa, e in particolare in Italia che è il popolo più anziano di tutti, non c’è la vitalità per ribellarsi. Siamo attaccati a un benessere medio che ci rende meno vitali.
Siamo troppo smidollati, nonostante si viva sempre più a fatica e le prospettive per i giovani siano sempre meno?
Basta fare il confronto con gli immigrati dell’Africa, che sopportano traversate tremende nel deserto e sul mare. Oppure, pensiamo a quando succede una rapina o a qualcuno che si trova in difficoltà in strada: a intervenire è sempre un immigrato, un africano, un rumeno, uno straniero, mai un italiano.
Roberto Saviano ha scritto sul Corriere che siamo imbambolati dai social. Ha ragione?
Certamente c’è anche questo aspetto, l’uso compulsivo degli strumenti digitali che fanno perdere il senso della realtà. Solo con la vera fame anche un giovane da noi si ribellerebbe.
I social come le brioches di Maria Antonietta, lo zuccherino con cui ammansire il popolo affamato. Ma esiste ancora qualcuno in Italia che difende i diritti dei più disgraziati?
Mi pare che l’unica forza politica che faccia ancora un po’ di battaglia sociale siano i 5 Stelle, e infatti sono attaccati da tutti. Sono molto cambiati rispetto alle origini, è vero, ma proprio per essere stati isolati hanno dovuto, diciamo, adattarsi, secondo le leggi della politica.
Anni fa hai caldeggiato l’idea di un popolo che scende in piazza pacificamente, anche se magari con le mazze da baseball. Lo scrittore Luciano Bianciardi diceva che bisognerebbe occupare le banche e la tv, però, non tanto il governo. Oggi potremmo aggiungerci i padroni di Internet. Contro chi dovremmo protestare, noi?
Sono d’accordo con l’anarcoide Bianciardi. Le banche hanno fatto una lunga strada e sono diventate i custodi del vero nocciolo della nostra economia, che è il debito. “Alla lunga i debiti non vengono mai pagati”, diceva Vittorio Mathieu, e infatti i ricchi hanno molti più debiti della gente che risparmia. La televisione, da ottima e di qualità com’era ai tempi della Rai di Bernabei, con le commerciali si è trasformata in quella cosa istupidente che sappiamo. Sicuramente, però, dovremmo piazzarci davanti le banche.
E non davanti a Palazzo Chigi?
È la finanza internazionale a dominare il mondo. Altro che Stati Uniti o Cina. In Italia invece, a differenza per esempio della Spagna, non si può parlare nemmeno di patrimoniale che subito ti saltano addosso. Nella mia Costituzione ideale, le banche andrebbero chiuse e al loro posto bisognerebbe farci dei campi coltivati.